Elena Longo, nata a Roma nel 1955, è entrata nell’Opus Dei nel 1971, dopo aver
frequentato per poco piú di sei mesi Villa
delle Palme,
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Viene descritta in questo articolo, forse per la prima
volta nella imponente bibliografia riguardante l’Opus Dei, la vita quotidiana
di una numeraria, membro dell’Opera per un periodo di circa 17 anni, dal 1971
al
.
Elena Longo
VITA QUOTIDIANA DI UNA NUMERARIA DELL’OPUS
DEI
(1971-1988)
I. INTRODUZIONE[1]
Nelle prossime pagine tenterò di descrivere la vita quotidiana di una numeraria dell’Opus Dei così come l’ho vissuta io, che lo sono stata dal gennaio 1971 all’aprile del 1988 - quando l’Opus Dei era istituto secolare e poi, dal 1982, prelatura personale - , con alcuni limiti ben precisi che qui è importante sottolineare.
Innanzitutto il mio racconto si riferisce alla realtà italiana, quella di una nazione che fu tra le prime ad ospitare l’allargamento della presenza dell’Opus Dei dalla Spagna verso il resto del mondo, e che sempre ha conservato caratteristiche particolari rispetto ad altre nazioni, o regioni, come vengono designate in termini giuridici propri dell’Opus Dei le singole entità nazionali in cui esso è presente.
L’Italia è un paese ad alta presenza di cattolici, retto da governi di democrazia cristiana nel periodo qui considerato, quindi almeno teoricamente orientati ai valori cattolici, ma soprattutto è il paese che ospita il Vaticano.
Questo ha provocato nella regione d’Italia, nell’ottica dell’Opus Dei, una singolare aporia, dovuta alla necessità di fare di questo paese, agli occhi della Santa Sede, una specie di vetrina di quello che l’Opus Dei avrebbe dovuto essere e che ognuna di noi credeva con fede che sarebbe sicuramente diventata col tempo. Cosicché in Italia, pur non avendo mai raggiunto un numero veramente alto di vocazioni, paragonabile a quello di altre regioni, si è sempre avuta la necessità di comportarsi come se il lavoro apostolico fosse in effetti molto sviluppato. Questa situazione ha avuto delle ricadute molto concrete nella vita quotidiana delle numerarie dell’epoca. Una di esse è stata quella del basso numero di persone che vivevano in un singolo centro, spesso i tre membri del consiglio locale[2] e poco piú, con la conseguenza che gli incarichi, apostolici e concreti della vita di famiglia, erano concentrati in poche persone.
Un’altra conseguenza importante era lo scarso numero di numerarie che avevano la possibilità di dedicarsi effettivamente ad attività professionali esterne. La maggior parte, infatti, erano costrette a rinunciare al lavoro professionale per il quale sentivano una precisa vocazione, o a qualunque altro che le circostanze della vita imponesse loro, per dedicarsi a un lavoro interno dell’Opus Dei[3], come per esempio un incarico di consiglio locale, o di amministrazione[4] o di governo in una delegazione o nell’assessorato[5]. E questo in un’epoca nella quale il numero di opere corporative - quali scuole e università, che invece caratterizzano l’attuale panorama di azione dell’Opera, costituendo un campo di impiego professionale per molte numerarie[6], aggregate[7] e soprannumerarie[8] - era inizialmente inesistente e in seguito comunque piuttosto ridotto.
Nonostante ciò, noi numerarie dell’epoca eravamo consapevoli che tale realtà non doveva essere la situazione normale dell’Opus Dei, che col passare del tempo e con la nostra fedeltà nel portare avanti il lavoro di apostolato e soprattutto di proselitismo la nostra situazione si sarebbe evoluta e sarebbe aumentata la percentuale di persone che avrebbero avuto la possibilità di dedicarsi a santificare la propria attività professionale esterna.
Infine è da notare che quello che narro si riferisce alla sezione femminile dell’Opus Dei. Quando uscii dall’Opus Dei mi resi presto conto che, nonostante nell’istituzione si sostenga con parole del fondatore che i vari tipi di membri ed entrambe le sezioni traggano il loro nutrimento formativo da un mismo puchero - cioè dalla stessa pentola, alludendo alla pietanza che una madre di famiglia numerosa utilizza per fare la porzione, in quantità variabili, ma con la stessa sostanza, ai differenti membri di un’unica famiglia -, questo di fatto non avviene. Sono diverse alcune consuetudini ed alcune esigenze ascetiche, per la verità alquanto marginali, ma che fanno comprendere la diversità del ruolo che uomini e donne svolgono all’interno dell’istituzione; ma soprattutto sono diversi alcuni diritti giuridici[9] che i membri della sezione femminile e quelli della sezione maschile si vedono riconosciuti ed esercitano nella loro vita di numerari. Oltre a ciò, esiste poi tutta una gamma di differenze operative di cui è possibile, per una numeraria, diventare consapevole solo una volta uscita dall’istituzione e arrivata a confrontarsi, per avventura, con qualche ex membro dell’altra sezione.
II. DIVERSI TIPI
DI CENTRI
I numerari dell’Opus Dei sono in linea di massima tenuti, appena possibile, a lasciare le loro famiglie d’origine per vivere in un centro dell’Opus Dei. L’Opus Dei è considerata la vera famiglia di coloro che chiedono l’ammissione all’istituzione, e se questo è vero per tutti i tipi di membri, lo è specialmente per i numerari che, se tutto va bene, trascorreranno tutta la vita in un centro dell’Opera.
In realtà, col passare del tempo, tale esigenza si è
parecchio evoluta. Mentre nel periodo 1971-
I centri dove vivono le numerarie possono essere di vario tipo, ma tutti debbono riflettere l’aspetto di una casa di famiglia cristiana, gradevole e accogliente[10]. In alcuni di essi - residenze universitarie, sedi di club giovanili, eccetera - si fa lavoro apostolico esterno; in altri - centri di san Michele, centri di governo - entrano per lo piú solo le numerarie che appartengono al centro, qualche altra persona dell’Opera di passaggio o in visita per motivi di lavoro e, solo molto eccezionalmente, persone estranee che hanno un qualche tipo di rapporto con le persone del centro[11].
Innanzitutto ci sono i cosiddetti centri di san Michele: sono quei centri nei quali vivono esclusivamente numerarie, il piú delle volte quelle che in spagnolo venivano chiamate numerarias mayores, numerarie maggiori, espressione che non indica necessariamente una maggior età.
I centri di san Michele sono quelli nei quali la prassi e lo spirito dell’Opus Dei sono vissuti nella maggiore interezza e fedeltà possibile, dato che non sussistono fattori esterni che consiglino, per motivi di discrezione, la dissimulazione se non addirittura l’eliminazione di alcune pratiche e abitudini. In tutti i centri esiste una divisione, spesso non molto netta, ma comunque chiarissima nella mente delle abitanti di ogni singolo centro, fra alcune zone della casa aperte alle persone esterne che la visitano, e altre nelle quali è meglio che non entrino estranei, anche se poi ci potranno essere eccezioni che comunque è ben chiaro a tutte che costituiscono, appunto, un’eccezione[12].
Tale chiusura di alcune zone viene spiegata alle persone di fuori che si incuriosiscono, ma anche alle giovani numerarie che ricevono la prima formazione, come il pudore naturale che in ogni famiglia normale fa evitare di introdurre chiunque in qualunque stanza della casa. In realtà a una numeraria non è possibile portare una collega d’università a studiare nella sua stanza, nemmeno se vive in un centro molto piú aperto alle persone esterne di quanto non lo sia un centro di san Michele, per esempio in una residenza universitaria.
Questi criteri restrittivi vengono applicati anche anche agli inviti a pranzo o a cena. Come regola generale, è preferibile portare parenti o amici al ristorante. Quando fosse giustificato un riguardo speciale a coloro che vengono in visita - per l’aiuto che prestano ai lavori apostolici, o per contraccambiare alle loro attenzioni -, si può offrire loro una colazione, un tè, un caffè, eccetera. Allora, com’è abituale, l’amministrazione lascia tutto apparecchiato, in modo tale che, nella sala da pranzo o dove si offre il rinfresco, non ci sia bisogno di nessun altro servizio[13].
Un secondo tipo di centri molto importante nella vita quotidiana dell’Opus Dei sono le amministrazioni.
Questa definizione riunisce diversi tipi di realtà, tutte accomunate dall’attività che vi viene svolta, che è quella di accudimento domestico delle persone che abitano un determinato centro, definito dal fondatore dell’Opus Dei come l’apostolato degli apostolati, un servizio direttissimo a Dio[14].
Anche nel caso delle amministrazioni, si possono avere amministrazioni di san Michele, cioè abitate esclusivamente da numerarie e numerarie ausiliari[15], oppure amministrazioni dirette da numerarie ma la cui operatività è garantita esclusivamente o prevalentemente da ragazze o signore non appartenenti all’Opera. La maggior parte delle volte si cercherà di fare in modo che i centri in cui si svolge lavoro di governo e i centri di studi, specialmente se della sezione maschile, siano seguiti da una amministrazione fissa formata da sole associate, numerarie e numerarie ausiliari che possibilmente hanno in tale amministrazione il loro centro.
Dato che, per il numero di membri della sezione femminile, questa soluzione non è sempre possibile, negli stessi centri della sezione femminile - delegazioni, assessorato e centro di studi - il piú delle volte l’amministrazione è formata da una numeraria responsabile di essa, spesso membro del consiglio locale del centro amministrato, e da alcune numerarie ausiliari che però non dormono e non fanno vita di famiglia nel centro, bensí appartengono a un grande centro di numerarie ausiliari, soluzione che permette una certa rotazione delle ausiliari stesse e pertanto una ottimizzazione delle risorse disponibili.
Nell’Opus Dei è tassativo che l’amministrazione, specialmente se di un centro della sezione maschile, sia totalmente isolata dal centro amministrato. Questa condizione è garantita da una serie di norme e procedure accuratamente codificate e che permettono che i numerari e le numerarie non si incontrino mai personalmente. Il direttore del centro della sezione maschile e l’amministratrice, cioè la numeraria responsabile di dirigere il lavoro dell’amministrazione, si parlano attraverso un telefono interno dedicato esclusivamente a questo, e che nessun altro deve utilizzare se non esplicitamente autorizzato in caso di assenza dei responsabili. I due si salutano con la formula stabilita per i soci dell’Opera, “Pax”, a cui si risponde “In aeternum”[16], quindi il direttore comunica il numero dei commensali previsti a tavola, eventuali anniversari o festeggiamenti, richieste di lavanderia e qualunque altra richiesta riguardante la conduzione domestica della residenza. Vicino al telefono interno c’è un’agenda nella quale l’amministratrice appunta tutti questi dati e richieste. A sua volta, se occorre, fa presenti altre situazioni: stanze lasciate troppo in disordine, qualche chiarimento rispetto a richieste precedenti, richiesta di denaro per coprire le spese necessarie. Se in quel momento la residenza non ha disponibilità di liquidi, bisognerà attendere per fare qualche spesa o farla a credito.
La logistica della residenza maschile e dell’amministrazione è tale da permettere di isolare in compartimenti stagni la residenza in modo tale che l’amministrazione possa passare a fare pulizia nelle diverse zone senza incrociare mai nessun residente. Quando, nonostante le precauzioni prese, qualche incontro si verifica, ognuno da entrambe le parti mette in atto le misure opportune per risolvere il piú rapidamente possibile questo incidente increscioso.
La maggior parte delle volte si utilizza il tempo nel quale i residenti sono in oratorio per l’orazione e la messa per pulire la zona delle stanze da letto e dei relativi servizi, mentre allo stesso tempo si prepara la colazione.
Mentre i residenti si trovano in sala da pranzo per la colazione, si approfitta per pulire altre zone della casa e così via, fin quando, a metà mattinata circa, l’amministratrice e le numerarie ausiliari sono libere dai lavori di pulizia e si dedicano alla cucina, alla lavanderia e alla stireria, compiti quotidiani, e ad altri lavori che hanno cadenze piú distanziate, i cosiddetti straordinari.
Quando la residenza è della sezione femminile, le misure per salvaguardare l’autonomia del lavoro di amministrazione si osservano ugualmente, ma senza l’ansia di assicurare la distanza fra le due sezioni volta a garantire la custodia del cuore, e vengono attuate con una maggiore elasticità e un maggiore buon senso.
E in ogni caso è molto diverso vivere e lavorare in un’amministrazione che attende a una residenza là dove tutto l’edificio è stato predisposto e costruito per assolvere a queste necessità, o vivere e lavorare laddove residenza e amministrazione sono state adattate in un edificio preesistente: in tal caso spesso è necessario fare autentiche acrobazie per osservare le norme di buono spirito previste dalla prassi dell’Opera.
Le Residenze universitarie sono dei pensionati per studentesse universitarie che ospitano sia numerarie che ragazze non appartenenti all’istituzione.
All’inizio degli anni ’70 l’apostolato e il proselitismo dell’Opus Dei era orientato principalmente a studentesse degli ultimi anni del liceo e a universitarie. Precedentemente, in epoche nelle quali l’educazione accademica non era tanto diffusa fra le donne, era piú che altro la fascia d’età e l’ambiente sociale a identificare il target a cui era rivolta l’attività di proselitismo. In seguito la sezione femminile si andò allineando, pur con molte eccezioni, ai criteri di selezione della sezione maschile, e uno di tali criteri era l’orientamento verso la vita intellettuale e una discreta riuscita negli studi[17].
Nelle Residenze universitarie un’ampia zona della casa è aperta alle attività apostoliche, perché il lavoro apostolico che vi si svolge non è orientato solo alle universitarie che abitano il centro, ma anche alle universitarie che lo frequentano dall’esterno. Quando non erano ancora molto diffusi i club di liceali, agli inizi degli anni ’70, nelle Residenze universitarie si svolgeva anche il lavoro apostolico con liceali, che comunque formavano un gruppo a sé rispetto alle ragazze piú grandi.
Come ho già accennato, nei primi anni ’70 iniziarono a diffondersi centri dell’Opera specialmente dedicati al lavoro apostolico con liceali, i Club. Sono centri progettati in modo tale da offrire strutture che facilitino lo studio, la formazione spirituale e la possibilità di praticare tutta una serie di attività ricreative e culturali sempre orientate, comunque, a coltivare e accrescere le virtù umane e una personalità modellata secondo l’ideale proposto dall’Opus Dei.
Molte volte le numerarie responsabili di queste attività hanno in queste strutture una zona della casa nella quale abitano e svolgono la loro vita di famiglia. Il piú delle volte questi centri sono privi di amministrazione, e la loro manutenzione è affidata a una amministratrice aiutata da qualche altra numeraria o da qualche collaboratrice esterna stipendiata.
Il Centro di studi è un centro esclusivamente dedicato alla formazione ascetica, dottrinale e dello spirito peculiare dell’Opera che viene impartito alle numerarie giovani che iniziano a fare vita di famiglia. Normalmente questo periodo di formazione dura due anni. La veste esterna, ufficiale, di un Centro di studi è quasi sempre quella di una Residenza universitaria. In effetti ne ha tutte le caratteristiche, perché la maggior parte delle numerarie che percorrono questo iter formativo appartiene alla fascia d’età delle normali residenti, solo che in questo caso le residenti sono tutte numerarie e l’orario della casa è scandito in maniera particolarmente codificata dai mezzi di formazione. Anche se normalmente nei Centri di studi si svolge lavoro apostolico con universitarie esterne, le zone della casa aperte a queste persone sono piú ridotte di una normale Residenza universitaria, e si tende a proteggere molto la vita di famiglia delle numerarie del Centro di studi.
Anche le numerarie ausiliari svolgono un loro peculiare Centro di studi, cha ha la stessa durata, due anni, di quello delle numerarie, ma un differente piano di formazione e normalmente non è aperto ad attività esterne di apostolato.
I centri nei quali si svolge attività di governo dell’Opera sono le Delegazioni e l’Assessorato.
Normalmente questi sono centri di san Michele, nei quali cioè si evita di far entrare persone estranee e quindi non vi si svolgono attività apostoliche, anche se lo sviluppo dell’Opus Dei all’epoca era tale da richiedere alcune eccezioni a questa regola. Normalmente questi centri hanno un’amministrazione condotta da numerarie ausiliari che permette alle numerarie che vi abitano e vi lavorano di dedicarsi pienamente alla loro attività, anche se sempre ogni numeraria dedicherà almeno un’ora al giorno a un incarico di manutenzione del centro in cui vive.
In questi centri, oltre agli ambienti della vita di famiglia simili in tutto e per tutto agli stessi ambienti degli altri centri di numerarie, ci sono le stanze adibite a ufficio delle singole direttrici, piú una sala di riunioni e una o piú stanze adibite ad attività che si possono definire di back office, in cui lavorano le oficiales, numerarie che svolgono attività di supporto al lavoro di direzione dell’Opera.
III. GLI AMBIENTI
DELLA CASA
Il cuore di ogni centro dell’Opus Dei è l’oratorio[18]. È la stanza che ospita il Santissimo Sacramento, che viene spesso indicato come il padrone di casa. Si cerca di adibire a questo uso la stanza piú bella della casa. Spesso è possibile, aprendo qualche porta, ampliarlo in modo tale da aumentarne la capienza in occasione di qualche celebrazione piú solenne e numerosa. Si evita di designare questo ambiente con il termine cappella, che viene percepito nell’Opera come un termine poco laicale.
È consuetudine affacciarsi in oratorio per una rapida genuflessione, accompagnata interiormente da un giaculatoria come “adoro te devote, latens deitas” entrando ed uscendo dal centro per salutare. È anche un modo per coltivare la presenza di Dio durante la giornata quello di affacciarsi in oratorio per salutare il Signore: o solo una genuflessione, o una visita breve restando qualche istante inginocchiate a un banco vicino alla porta.
Nei centri dell’Opus Dei l’altare, anche dopo l’entrata in vigore delle riforme previste dal Concilio Vaticano II, continua ad essere addossato alla parete centrale o poco discosto da essa, lasciando uno stretto passaggio per le pulizie e la sistemazione degli arredi liturgici. Il sacerdote continua a celebrare rivolgendo le spalle al popolo per evitare di farlo dando le spalle al tabernacolo, dato che alla sensibilità dei soci dell’Opus Dei appare una mancanza di rispetto situare il tabernacolo lateralmente all’altare. Solo per oratori particolarmente grandi di opere corporative importanti e ai quali hanno accesso con frequenza persone non appartenenti all’Opera, vengono studiate soluzioni architettoniche che permettano, pur adottando le riforme stabilite dal concilio, di evitare di dare le spalle al tabernacolo lasciandolo in una posizione centrale. Una delle soluzioni architettoniche che prese piede all’epoca fu quella di costruire una cappella del santissimo sacramento in una stanza posteriore e sopraelevata rispetto all’oratorio, e di porre il tabernacolo dietro una finestra ad oblò che si trova nella parete divisoria fra l’ambiente principale dell’oratorio e la cappellina del tabernacolo. Tale soluzione permetteva, appunto, al sacerdote di celebrare coram populo senza dare le spalle al tabernacolo, che restava in tal modo in una posizione sopraelevata.
Per poter fare l’orazione davanti all’eucarestia esposta anche in mancanza del sacerdote che possa legittimamente aprire il tabernacolo per ostendere la pisside, si adotta volentieri la soluzione di dotare il tabernacolo, dietro alla porticina che dà accesso alla pisside, di una seconda porticina con le ante in cristallo, che lascia quindi vedere l’interno del tabernacolo senza bisogno di aprirlo[19].
L’altare, dunque, si trova sempre nei centri dell’Opera in una posizione centrale. È spesso in legno stuccato, qualche volta in marmo. La parte dell’ara sulla quale si celebra il sacrificio eucaristico è coperta da due tovaglie corte di lino, della misura esatta della superficie che devono ricoprire, ricamate a mano con un orlo a giorno, sovrastate da una tovaglia superiore di uguale larghezza ma che ricade lateralmente fino a pochi centimetri da terra, anch’essa in lino e bordata a mano, semplice per i giorni feriali e ricamata o rifinita in pizzo per le celebrazioni piú solenni[20]. Quest’ultima tovaglia, quando non si celebra, è ricoperta da un copritovaglia corto, spesso in semplice cotone. Nella parte posteriore dell’ara, al centro, si trova il tabernacolo. Lateralmente al tabernacolo restano liberi due spazi lungo i quali vengono disposti, in maniera simmetrica, tre candelieri. Oltre a questi candelieri fissi ce ne sono due piú piccoli, che vengono messi e tolti secondo la necessità, che si accendono per gli atti comuni e per la celebrazione della messa feriale. Le candele sono sempre in cera.
Per la disposizione dei banchi si adottano soluzioni diverse. La piú comune è quella di due file parallele che lasciano un passaggio nel mezzo, ma spesso, se l’ambiente lo consente, viene volentieri adottata una disposizione a coro. Si cerca abitualmente di fare in modo che gli inginocchiatoi e i poggiabraccia siano imbottiti: ogni numeraria trascorre, ogni giorno, qualche ora in oratorio, e la devozione personale e lo spirito di mortificazione spingono a mantenere a lungo la posizione inginocchiata, che viene resa piú sopportabile da questo accorgimento. A ogni modo, per spirito di povertà, che comporta l’evitare di usurare per trascuratezza gli arredi, si fa in modo che tali inginocchiatoi siano ribaltabili, cosicchè si possono appoggiare i piedi senza rovinare l’imbottiture con la suola delle scarpe.
Gli arredi sacri piú importanti, quelli cioè che entrano a diretto contatto con le specie consacrate, saranno sempre in metallo prezioso, oro o almeno argento dorato, qualche volta anche riccamente decorati. Ogni centro dispone di vasi sacri per le celebrazioni feriali e di altri piú ricchi per le celebrazioni festive. I modelli sono sempre molto classici, spesso barocchi. Si evitano accuratamente modelli troppo moderni e l’uso di materiali - anche ricchi - ma non tradizionali. Soprattutto si vuole che il materiale di calice, pisside e patena sia tale da permettere una pulizia profonda, la purificazione del vaso sacro, con batuffoli di cotone intrisi di alcol che verranno poi accuratamente bruciati per evitare la dispersione involontaria di particelle anche minuscole di pane consacrato.
Per gli altri arredi dell’oratorio che non entrano a diretto contatto con le sacre specie - candelieri, spegnicandele, portafiammiferi, campanelli, eccetera - si possono usare metalli meno nobili, meglio se argentati, e per le ampolline si opterà per il cristallo e, qualche rara volta, per l’argento.
Tutti questi arredi sono fatti oggetto di accurata pulizia quotidiana, così come i lini sono sempre scrupolosamente puliti e inamidati.
Anche la chiave del tabernacolo è oggetto di particolare cura e deve essere custodita sotto chiave dal direttore del centro, che generalmente è deputato a portarla sull’altare e a riprenderla al termine della celebrazione[21].
Pareti, soffitto e pavimento sono decorati accuratamente, con maggiore o minore semplicità o ricchezza secondo l’importanza del centro e le risorse economiche di cui si dispone. Di solito si farà uno sforzo maggiore per la ricchezza di tutto l’arredo dell’oratorio nei centri di studi, anche se questi sono centri per loro natura cronicamente deficitari dal punto di vista economico, perché tutto in queste case contribuisce alla formazione allo spirito dell’Opera di chi vi abita. Il piú delle volte la pala d’altare è costituita da un dipinto, spesso realizzato da qualche numeraria con capacità artistiche, con scene del Vangelo, realizzato in modo tale da alimentare la devozione di chi lo guarda.
Su una delle pareti dell’oratorio, in genere vicino alla porta di accesso, è appesa una croce di legno nero opaco, senza crocifisso, di misura variabile, ma il cui rapporto fra i due bracci è esattamente determinato in modo tale da renderla inscrivibile all’interno di una circonferenza come quella dello stemma dell’Opus Dei[22]: la circonferenza rappresenta il mondo campeggiato, appunto, dalla croce che lo abbraccia completamente. Come è spiegato in un punto di Cammino[23], questa croce senza crocifisso rappresenta per ogni numeraria la sua croce personale, quella della sua lotta ascetica e delle circostanze di vita che possono rendere arduo il cammino di ognuna verso la santità. È una devozione raccomandata a tutte quella di baciare frequentemente il legno di questa croce, in atto di accettazione e di amore verso queste croci personali. Davanti a questa croce si celebrano gli atti pubblici delle diverse cerimonie di incorporazione all’Opera.
Adiacente e, possibilmente, direttamente comunicante con l’oratorio c’è la sacrestia, una stanza arredata con un armadio piú o meno grande attrezzato per contenere senza rovinarli i diversi arredi sacri: pianete dei differenti colori liturgici, cappe piviali, camici e cotte, ascigamani, tovaglie e lini, calici, pissidi, l’ostensorio per l’adorazione eucaristica, i conopei, anch’essi di differenti colori liturgici, che abitualmente velano il tabernacolo, oltre a tutti i materiali per apparecchiare la messa e per la pulizia dell’oratorio. Le scope e gli stracci della polvere utilizzate per la pulizia di oratorio e sacrestia sono diversi da quelli utilizzati per il resto della casa.
In tutti i centri della sezione femminile è inoltre prevista l’esistenza di un confessionale che permetta di ricevere il sacramento della penitenza in una situazione di separazione fisica totale fra penitente e sacerdote: solo la voce passa attraverso la fitta rete che sovrasta l’inginocchiatoio della penitente permettendo la comunicazione. La confessione è settimanale, ed è spesso accompagnata dalla direzione spirituale che il sacerdote dà al di fuori del sacramento. Pertanto anche a queste norme si finisce per dedicare un certo tempo, il che consiglia le stesse piccole comodità previste per i banchi: inginocchiatoio imbottito e il miglior isolamento possibile dall’ambiente esterno che permetta di poter parlare con comodità e con la possibilità di potersi capire senza dover fare troppa attenzione al tono della voce. Queste esigenze ispirano le piú diverse soluzioni di arredamento.
La direzione è l’ufficio dove lavora la direttrice del centro, in cui si svolgono le riunioni di consiglio locale, in cui si custodiscono i documenti interni dell’Opera e la corrispondenza che ogni centro scambia con la delegazione da cui dipende e con l’assessorato, in cui si custodiscono le chiavi che è responsabilità della direttrice amministrare: quelle dell’armadietto dei medicinali, del mobile della televisione, le chiavi del centro, eccetera. Separatamente da queste chiavi, spesso in un cassetto della scrivania, sono custodite le chiavi del tarbernacolo, chiuse in una scatolina piú o meno preziosa, e le chiavi e i documenti dell’automobile del centro.
Molto spesso, ma non necessariamente, in questa stanza si svolge il circolo breve e si custodisce un armadietto, anch’esso chiuso a chiave, che racchiude i medicinali di primo soccorso.
A seconda della grandezza del centro, e del numero dei locali disponibili, la direttrice dorme in questa stessa stanza, in un divano letto o in un mobile letto che viene aperto alla sera, o in una vera e propria stanza da letto adiacente all’ufficio, in modo tale che possa custodire anche durante la notte quanto affidato alla sua responsabilità.
Mentre la vicedirettrice del consiglio locale non necessariamente dispone di una stanza particolare, la segretaria, come la direttrice, dispone di una stanza specificamente legata al suo ruolo, che è molto spesso ufficio e stanza da letto, sempre utilizzando gli stessi accorgimenti che permettono durante il giorno di utilizzarla indipendentemente dall’uso fatto di notte.
Particolare attenzione si presta alla cassa che custodisce il denaro, custodito sotto doppia chiave: quella della cassa in cui è riposto, e un’altra, che può essere quella dell’armadio o del cassetto in cui il denaro viene riposto. Il segretario ha una chiave; l’altra, il direttore o il vice direttore. Queste chiavi non si portano in tasca[24].
In segreteria sono inoltre custoditi i libri della contabilità, gli archivi di fatture e varie pezze di appoggio ai diversi movimenti contabili e i fogli personali nei quali ogni numeraria annota le proprie entrate e uscite.
Anche quando è il caso di un centro di san Michele, senza alcuna connotazione ufficiale, tutti i movimenti in denaro del centro vengono gestiti come un’amministrazione ufficiale, perché in ogni caso ogni singolo centro risponde davanti alla delegazione, e questa poi all’assessorato che riporterà a sua volta, una volta l’anno, al governo centrale di Roma.
Se non è una stanza troppo piccola e sacrificata, come a volte avviene, qui la segretaria riceverà una o due volte la settimana le numerarie che debbono fare cassa: versare alla cassa del centro le proprie entrate provenienti dal lavoro, da aiuti familiari, eccetera; prelevare le piccole quantità di denaro che ognuna riceve per le proprie spese ordinarie - mezzi di trasporto, francobolli per le spedizioni postali, un paio di calze o qualche articolo di profumeria - o qualche somma, debitamente autorizzata, per le spese straordinarie: un libro universitario, un capo di vestiario, un viaggio, eccetera. Queste somme ricevute, e che ogni numeraria non considera proprie ma elargitele dall’Opera, verranno da ognuna giustificate a fine mese in un resoconto dettagliato, la nota spese[25], che ognuna consegna alla persona con cui fa il proprio colloquio[26].
L’amministrazione, piú che una stanza, è una zona della casa costituita a sua volta da una serie di ambienti.
In un centro dell’Opus Dei per amministrazione si intende tutto ciò che ha a che vedere con la cura materiale - ma con importanti ricadute spirituali, nella mente del fondatore - dei centri dell’Opera. Chi lavora nell’amministrazione ha la responsabilità di far sì che nell’Opera ci si senta in famiglia, curati, perfino coccolati quando una malattia o qualche altra situazione particolare renda consigliabile mitigare le esigenze ascetiche della donazione. È inoltre responsabilità dell’amministrazione far sì che nei centri tutte queste cure e attenzioni siano rese compatibili con la virtù della povertà, così come viene intesa dalla spiritualità specifica dell’Opus Dei: distacco, piú che mancanza di qualcosa; evitare gli sprechi dovuti a capricci e disattenzioni; non considerare le cose come proprie; applicare in ogni cosa il criterio che applicherebbe una madre di famiglia numerosa e povera.
Il soggiorno è un ambiente molto importante in ogni centro dell’Opus Dei, data la centralità che la vita di famiglia ha, al pari del compimento delle norme del piano di vita e dell’apostolato, nell’ascetica dell’istituzione.
Normalmente è arredato con divani e poltrone accoglienti, e spesso con tappeti e cuscini che permettono di aggiungere posti improvvisati a fronte di riunioni piú numerose. Con l’oratorio e la direzione, è uno degli ambienti del centro abitualmente aperti alle persone non dell’Opera che frequentano il centro.
Mobili e complementi sono allegri e calorosi, non troppo formali anche se accuratamente studiati e affiancati. Qualche dettaglio - un ritratto fotografico dei parenti del fondatore, le paperelle e gli asinelli a cui questi faceva spesso riferimento nei suoi scritti e nei suoi discorsi per alludere all’audacia di buttarsi a nuotare senza addestramento e alla pazienza e alla fortezza - serve a dare un tono intimo e familiare, e un ambientamento legato alla realtà geografica del centro serve ad aumentare la naturalezza e la spontaneità con cui chiunque entra ed usa la stanza riesce a sentirsi a casa sua. L’unica differenza immediatamente percepibile da chi entra nel soggiorno di un centro dell’Opus Dei rispetto al soggiorno di qualunque altra casa di una famiglia qualunque è che, qui come in ogni altro ambiente del centro, regna un ordine scrupoloso e senza eccezioni.
In tutti i centri in cui vivono numerarie alcune stanze vengono arredate in modo tale da facilitare gli incontri personali in cui ogni associata pratica il proprio apostolato personale di amicizia e confidenza. Pertanto al momento di progettare l’arredamento di ogni centro si prevederanno almeno uno o, ancor meglio, vari di questi ambienti: stanze non necessariamente ampie, ma arredate con cura, nelle quali sia possibile sedersi comodamente a parlare in un ambiente intimo e accogliente. Queste stesse stanze vengono utilizzate per lo svolgimento di alcuni mezzi di formazione: circoli, lezioni dottrinali, lezioni sullo spirito dell’Opera alle vocazioni recenti, eccetera.
La sala di studio è un altro ambiente fondamentale per lo svolgimento dell’attività apostolica. Pertanto sarà sempre presente nei centri aperti alle attività apostoliche e in quelli in cui vivono numerarie che studiano, mentre invece mancano nei centri di san Michele e in quelli in cui si svolge attività di direzione.
Normalmente si destinano a tale scopo ambienti ampi. Lungo le pareti solide e spaziose librerie, a giorno per i libri di consultazione e per gli scaffali su cui appoggiare il materiale di studio di ognuna, e ad ante chiuse a chiave per i libri di consultazione della biblioteca. Al centro della stanza vengono disposti tavoli, anch’essi comodi e spaziosi, che abitualmente accolgono dalle quattro alle sei persone ciascuno, ognuno illuminato, oltre che dalla luce centrale, da punti soffusi che permettono la concentrazione. Entrando in una di queste sale di studio, è abituale trovare varie ragazze, numerarie e loro amiche, che studiano in silenzio, con davanti un’immagine sacra - il crocifisso, una raffigurazione della Madonna, la foto del Padre - per aiutarsi a soprannaturalizzare il proprio lavoro.
In determinate occasioni - conferenze o attività culturali di vario tipo - la sala di studio può essere utilizzata per accogliere un uditorio specialmente numeroso.
La stanza da letto di una numeraria è la stanza della casa nella quale, piú che altrove, è difficile che entri qualche estraneo, soprattutto se non appartiene all’istituzione.
Tutte le volte che è possibile le stanze da letto sono singole: questo permette di vivere al meglio il raccoglimento del tempo notturno, la modestia personale, la responsabilità dell’ordine e della povertà, e soprattutto permette di evitare familiarità con le altre che potrebbero portare ad amicizie personali troppo intime, che vengono indicate nell’ascetica dell’Opera, con una connotazione negativa e riprendente un’espressione abituale nella storia della vita religiosa, come amicizie particolari.
Quando la struttura del centro non permette di dare a ognuna una stanza da letto personale, il numero di posti letto ospitati in ogni stanza sarà sempre dispari.
Una numeraria dorme senza materasso fino al compimento dei cinquant’anni[27], direttamente su un asse di legno su cui è posta una coperta di lana messa doppia. Su questa coperta viene rifatto il letto normalmente, con lenzuola e con il numero di coperte richiesto dal clima e dalla stagione, e con un normale cuscino che però, una volta alla settimana, nella notte che precede il giorno di guardia[28], viene eliminato o sostituito con un sostegno duro, normalmente un libro, come pratica aggiuntiva di penitenza.
La consuetudine di dormire senza materasso ha, tra l’altro, i suoi vantaggi pratici: può capitare con una certa frequenza che, nell’impossibilità di disporre di un letto vero e proprio, una numeraria dorma durante un’epoca della propria vita su un tavolo, magari in una stanza che di giorno funge da sala di studio, o se la presenza di un parquet lo permette, direttamente per terra. La mattina, rifatto il letto, è molto agevole avvolgere in un rotolo di piccole dimensioni coperte e lenzuoli già pronti per essere poi ristesi e utilizzati, e riporli in uno spazio ridotto Nei primi anni di vocazione tali eventuali disagi vengono vissuti con un’allegra disinvoltura; successivamente si cerca di evitare che persone piú adulte si trovino ad affrontare scomodità del genere, anche se nei racconti dei primi tempi ricorrenti nelle tertulie si narra della dedizione con cui, in ogni nazione, le prime hanno affrontato disagi e scomodità dovuti all’estrema povertà degli inizi.
Oltre al letto, nella stanza si dispone di un armadio, mai troppo grande dato che, per spirito di povertà, ogni numeraria dispone di un guardaroba non abbondante anche se completo e di buona qualità, e di un comodino sul quale si appoggia spesso il proprio crocifisso quando non lo si utilizza, e una bottiglietta che contiene l’acqua benedetta con la quale aspergere il proprio letto la sera prima di coricarsi.
Le numerarie non tengono, nelle loro stanze, foto dei loro familiari, neppure quando hanno una stanza singola, perché la loro famiglia è l’Opera[29].
Al di là di queste suppellettili, si potranno trovare altri complementi d’arredo volti a dare alla stanza un aspetto gradevole e familiare (tavoli e sedie, una poltrona, qualche scaffale, eccetera) ma che possono di volta in volta venire a mancare senza causare seri problemi, dato che la stanza da letto resta, nella giornata di una numeraria, sostanzialmente una stanza nella quale si trascorrono le sole ore notturne[30], e che spesso non è utilizzabile dalla sua inquilina durante la giornata per essere adibita ad altre funzioni.
Il servizio di centralino e portineria non è, nei centri dell’Opus Dei, un servizio di poca importanza, seguendo in questo le raccomandazioni del fondatore[31].
A seconda dell’ampiezza del centro, al servizio di centralino e di portineria possono venire destinati locali piú o meno definiti. In un centro di san Michele dove vivono poche numerarie e dove il lavoro apostolico con esterne è poco o nullo, ci si limita a dare l’incarico a una persona perché prenda le telefonate e riferisca alle assenti, e di fatto questo incarico verrà vissuto con molta elasticità e con un’ampia delega. Al contrario, la responsabilità di filtrare e controllare i contatti con l’esterno del centro sarà vissuta con maggiore precauzioni nei centri grandi: residenze universitarie, centri di studi, club di liceali, centri di governo. Tutte le volte che questo è possibile, specialmente nel caso di centri dove si svolgono attività di governo, è l’amministrazione che rende questo servizio.
Quando la posta viene recapitata al centro, viene consegnata dalla portineria in direzione. È la direttrice che consegnerà alle singole destinatarie le lettere loro indirizzate, dopo aver aperto le buste e, se lo considera opportuno, aver letto per prima il contenuto del messaggio. Allo stesso modo, le lettere pronte da inoltrare vengono lasciate aperte sul tavolo della direttrice, che provvede, nel caso, a leggerle, e quindi a chiuderle e a spedirle[32]. Non è infrequente che la direttrice richiami e dia indicazioni riguardo al contenuto della posta. Tali indicazioni riguardano soprattutto la positività e il senso soprannaturale dei contenuti, dato che è considerato di cattivo spirito fare critiche o commenti negativi[33], l’opportunità di comunicare o meno, piuttosto che di enfatizzare, determinate notizie riguardanti l’Opera; il tono apostolico, eccetera.
IV. NORME,
CONSUETUDINI, BUONO SPIRITO
Il contesto ambientale, quasi geografico - sopra descritto -, nel quale si svolge la vita quotidiana di una numeraria, si trova completato da una mappa psicologica e spirituale che fa da scenario alla sua vita quotidiana.
Nell’Opus Dei la spontaneità è vissuta come una virtù direttamente collegata con lo spirito laicale[34] con il quale un membro dell’istituzione ben formato vive la propria vocazione di cristiano in mezzo al mondo. Tale spontaneità viene concepita come una forma, la cui sostanza è costituita dall’immedesimazione di ogni membro, tramite la formazione interna, con consuetudini familiari ereditate da una famiglia concreta - quella del fondatore - e dal primissimo nucleo di coloro che furono le prime vocazioni che si raggrupparono attorno a monsignor Escrivá; da una specifica spiritualità che si incarna in norme di vita di pietà che, vissute lungo l’arco della giornata, permettono di mantenere l’unione con Dio e di avere vita contemplativa; e in criteri di comportamento che vanno a costituire il buono spirito della numeraria ideale, a cui le singole persone, tramite la formazione e la propria lotta ascetica vanno piú o meno avvicinandosi[35].
Mentre le norme del piano di vita sono codificate nella vita quotidiana di ogni membro dell’istituzione e, per esempio, vengono lette settimanalmente nel circolo breve a cui ogni associata è tenuta ad assistere, le consuetudini sono qualcosa di trasmesso oralmente e, soprattutto, con gli esempi e l’imitazione. La recita della Salve Regina il sabato, la confessione sacramentale settimanale e l’esame di coscienza sono per esempio norme del piano di vita, mentre invece il passare in oratorio per “salutare il Signore” nell’entrare e nell’uscire di casa, l’utilizzo di strumenti di mortificazione corporale, il colloquio settimanale con la direttrice laica sono consuetudini, cosí come lo è lasciare la propria corrispondenza aperta sul tavolo della direttrice perché provveda a inoltrarla dopo averla letta, se lo ritiene opportuno, o il distaccarsi dai regali ricevuti personalmente mettendoli a disposizione perché vengano dati a qualcun’altra che non sia la destinataria originale del dono.
Sia la fedeltà al compimento delle norme che l’osservanza delle consuetudini sono per una numeraria cammino di santità, e costituiscono oggetto di direzione spirituale.
3. Filiazione.
Le numerarie dell’Opus Dei si considerano una famiglia con legami piú forti di quelli di sangue, per usare una frase spesso ripetuta nei mezzi di formazione. Tali legami sono costituiti dall’essere figli dello stesso Padre, il Padre[36], come viene designato per antonomasia, dapprima monsignor Escrivá fino all’anno della sua morte nel 1975, quindi il suo successore, passando il fondatore ad essere designato come nostro Padre. La filiazione al prelato è la base della fraternità fra i membri dell’Opera, e nell’ottica dello spiritualità dell’istituzione è il canale attraverso il quale passa la filiazione a Dio: la volontà di Dio arriva a ogni membro della prelatura attraverso la mediazione del prelato, che trasmette indicazioni, disposizioni, consigli e criteri attraverso i direttori dell’Opera da lui designati; nella direzione opposta, ogni membro dell’Opera dimostra la sua reale ed effettiva filiazione a Dio essendo un buon figlio del prelato nell’Opus Dei, subordinandosi con docilità alle sue indicazioni, pregando e mortificandosi quotidianamente per lui e per le sue intenzioni.
Tutto questo ha una serie di manifestazioni concrete: dall’offerta quotidiana della mortificazione della doccia fredda per il Padre; allo scrivergli periodicamente raccontandogli dei propri progressi interiori e delle proprie azioni apostoliche; al meditare frequentemente, nella propria orazione, i suoi scritti; al portargli - nelle convivenze di Pasqua e Roma - le proprie amiche piú vicine alla vocazione perché possano ricevere dal Padre stesso la spinta finale a pronunciare il proprio “sì”.
Questa filiazione, dopo la morte del fondatore, diventa nei suoi confronti, devozione: ogni associata pratica e cerca di diffondere fra le sue amiche e fra i suoi familiari e conoscenti la devozione al Padre, chiedendogli piccoli e grandi aiuti e mettendo un particolare impegno nel registrare e inviare alla postulazione per la causa di beatificazione il racconto di tali “favori” ricevuti.
4. Il buono spirito.
Col tempo, con la formazione e con la maturazione, sulla base dell’esperienza, di una certa capacità di astrazione, ogni singola associata acquista una sorta di giudizio pratico che le permette di valutare le circostanze concrete in cui agisce e quali siano quindi - in una serie di criteri e di direttive a volte contraddittorî[37] fra loro, nello sforzo di rendere possibile l’elasticità necessaria a una santità cercata in mezzo al mondo - quelle valide nel momento concreto, quelle che le permettono di agire come agirebbe, al suo posto nelle stesse circostanze, il fondatore. Questo giudizio pratico costituisce il cosiddetto buono spirito, una capacità sintetica e pragmatica capace di calare nelle circostanze concrete i criteri opportuni che permettono di agire restando fedeli allo spirito dell’Opus Dei.
Quando di un membro dell’associazione si dice che è una persona di buono spirito, si sta facendo una valutazione globale molto positiva, indicando che al retto criterio e alla solida formazione si uniscono docilità ed identificazione profonda con la mente del Padre e dei direttori, proattività nel voler fare ed essere Opus Dei, capacità di rettificare prontamente quando si accorge di non essere in linea con quanto ci si aspetta da lui, prontezza a fare propri criteri e decisioni che possono riguardarlo piú o meno direttamente anche se può avere difficoltà iniziali nel comprenderle e condividerle, convinzione e iniziativa personale nella lotta contro eventuali conati di spirito critico.
In una numeraria di buono spirito le direttrici centrali possono confidare con tranquillità, ed affidarle incarichi interni di direzione e di formazione con la sicurezza che la delega affidata non verrà disattesa o tradita.
Nella formazione data alle vocazioni si sottolinea che i membri dell’Opera non sono religiosi[38], e che pertanto i tre consigli evangelici di povertà, castità ed obbedienza non sono prioritari, nella spiritualità che sono chiamati a vivere, rispetto ad altre virtú soprannaturali ed umane quali la laboriosità, la filiazione divina, la sincerità, eccetera.
Ciò nonostante, di fatto, fino al 1982, anno del riconoscimento dell’Opus Dei come prelatura personale, i membri dell’istituzione erano tenuti a formulare i tre voti in quanto membri di un istituto secolare, e anche in seguito, quando con la prelatura personale questi voti si trasformarono nella formula contrattuale di impegni qualificati, il riferimento esplicito e privilegiato a queste tre virtù rimase intatto.
Il criterio per vivere nell’Opus Dei la povertà consiste nella mentalità di un Padre di famiglia numerosa e povera. I membri dell’istituzione si prefiggono di essere cristiani normali in mezzo al mondo, e quindi la loro povertà deve distinguersi da quella dei religiosi, che viene in qualche modo ostentata per la sua natura di segno escatologico. Un Padre di famiglia numerosa e povera non ostenta la propria povertà, anzi cerca di dissimularla con dignità, e questo è lo spirito che deve incarnare ogni numeraria. Pertanto essa si vestirà e si comporterà sempre secondo canoni che le permettano di muoversi con disinvoltura negli ambienti sociali piú diversi, dai piú alti ai piú modesti, ma allo stesso tempo dovrà vivere secondo criteri di profondo distacco e temperanza.
Il distacco è appunto la chiave di lettura dello spirito di povertà che si vive nell’Opera. Con parole del fondatore, la povertà piú che nel non possedere consiste nel non considerare nulla come proprio, e questo criterio costituisce la spiegazione di molte consuetudini che si vivono nell’istituzione.
Una di queste consuetudini è il non possedere nulla economicamente. Ogni numeraria versa alla cassa del centro qualunque provento economico, sia che provenga dal proprio lavoro, che dalla propria famiglia naturale, che da qualunque altra fonte[39], e poi chiede di volta in volta il necessario per le piccole spese della sua vita quotidiana: l’acquisto dei biglietti per l’autobus, o per i francobolli, o per qualche medicinale, per pagare le tasse all’università, per acquistare un paio di calze o una crema cosmetica[40].
Tutto quello che esula dalla normale quotidianità di questo tipo di spese - per le quali è prevista una contabilità di entrate e uscite[41] - , e che pertanto acquista un livello minimo di straordinarietà, viene “consultato”[42] nella direzione spirituale e sottoposto al criterio della direttrice.
Ogni numeraria richiede alla segretaria del centro, che ne mantiene poi una minuziosa contabilità, il denaro necessario alle sue spese ordinarie, e, nel caso, quello per le spese straordinarie autorizzate. Ogni prelievo viene registrato in un foglio personale nel quale sono specificate sia le entrate che le voci di spesa, a seconda che siano di vitto e alloggio, di abbigliamento[43], di viaggi (a questa voce corrispondono eventuali spese di partecipazione a corso annuali e corso di ritiro, mentre invece le spese di partecipazione a convivenze e corsi di ritiro ai quali ci si reca per ragioni apostoliche vengono coperte dagli introiti dell’attività stessa), le spese straordinarie e il denaro dato ad ognuna per le spese ordinarie. A fine mese ogni numeraria è tenuta a consegnare alla propria direttrice la nota spese, un fogliettino sul quale ha annotato l’utilizzo del denaro ricevuto per le proprie spese ordinarie. È di buono spirito far quadrare la propria nota spese, e a volte l’utilizzo che si fa del denaro secondo quanto descritto in questa noticina può essere un argomento da affrontare nel colloquio.
Un’altra consuetudine relativa allo spirito di povertà è quella di non utilizzare mai personalmente i regali che si ricevono. Quando una numeraria riceve un regalo, dai propri genitori o fratelli, da colleghi o amici, lo consegna alla direttrice del centro, che salvo rare eccezioni non lo restituisce alla destinataria originale del dono, ma lo conserva nel magazzino della casa o lo destina direttamente a qualche altra numeraria che possa averne bisogno.
Nell’epoca a cui mi riferisco, non ho mai conosciuto nessuna numeraria che disponesse di un proprio libretto di assegni[44], né di una carta di credito o di un bancomat. Gli unici libretti di assegni erano quelli relativi al conto in banca del centro, ed erano sempre conti a doppia firma, normalmente quella della direttrice e quella della segretaria. In realtà le firme depositate erano tre, ma bastavano due per il prelievo, in modo tale che a turno si poteva assentare una delle tre persone senza bloccare la possibilità di prelevare denaro per le necessità del centro.
Oltre a queste norme, se una numeraria vuole vivere bene la propria donazione, è tenuta ad esaminarsi riguardo a possibili attaccamenti, ed eventualmente a fare un atto di distacco, consegnando alla propria direttrice oggetti di uso personale ai quali si ritiene troppo attaccata. La direttrice, compiuto questo atto di distacco, valuterà di volta in volta se trattenere l’oggetto o restituirlo all’interessata.
In prossimità della festa di san Francesco d’Assisi ogni membro dell’Opera è tenuto a riflettere e a fare esame di coscienza sul proprio spirito di povertà e di distacco. La consuetudine di ispezionare l’armadio di ogni numeraria in questo periodo per valutare l’esistenza di cose superflue non era in verità molto praticata, forse per il fatto che la scarsità dei mezzi di cui disponevano la maggior parte dei centri dava la certezza che la sobrietà fosse vissuta con sufficiente fedeltà.
7. Castità.
Il senso ultimo della virtù della castità è per lo spirito dell’Opus Dei quello di mantenere il cuore intero, indiviso, per Dio. È pertanto una virtù positiva, un’affermazione gioiosa, per dirlo con parole del fondatore, un rinunciare per l’Amore con la maiuscola ai piccoli amori di chi non sa di avere una vocazione soprannaturale.
Ciò nonostante, per chi vive quotidianamente in mezzo al mondo, c’è il continuo pericolo del richiamo esercitato dalla sensualità e dall’affettività che si vedono negate il loro oggetto piú naturale e piú ovvio, e occorre quindi vivere quella prevenzione, quella prudenza che nel lessico dell’Opus Dei - ripresa, comunque, da un’antichissima tradizione ascertica - è indicata come custodia del cuore[45].
Nell’Opus Dei, forse piú che in qualunque altra realtà della Chiesa, le vocazioni maschili vivono, con parole del fondatore, a cinquemila chilometri di distanza dalle vocazioni femminili, meno nel caso, ovviamente, dei membri soprannumerari, molto spesso sposati fra di loro, che comunque frequentano separatamente i rispettivi centri e i mezzi di formazione, i mariti nei centri della sezione maschile, le mogli nei centri della sezione femminile.
Già descrivendo, fra i diversi tipi di centri, le residenze universitarie, avevo descritto le rigide norme che permettono di vivere la separazione fra la sezione femminile e quella maschile. Quando ci si muove fra membri dell’Opera, è relativamente facile l’osservanza di tali norme. Tuttavia l’ascetica propria dell’istituzione richiede una severa custodia del cuore anche nelle altre circostanze della vita quotidiana, fra colleghi e conoscenze di ogni tipo.
Alle numerarie, come ai numerari della sezione maschile, è richiesto di evitare con tutti i mezzi di lavorare abitualmente o anche solo eccezionalmente da sole nella stanza con colleghi di sesso opposto, di fare in modo almeno di lasciare sempre aperta la porta della stanza nella quale si trovano occasionalmente in tali circostanze. Si evita anche di dare o accettare passaggi in automobile con persone di sesso opposto. Se le circostanze professionali in cui si trova ad operare una numeraria arrivassero a rendere seriamente difficoltosa l’osservanza di tali norme di prudenza, si preferisce rinunciare all’esercizio della professione piuttosto che mettere in pericolo la propria scelta di vivere il celibato apostolico.
Anche nel modo di vestire una numeraria, assieme all’ordine, alla cura e perfino all’eleganza richiesta per muoversi senza problemi in ogni tipo di ambiente sociale, deve curare la modestia: evita accuratamente di portare abiti senza maniche, gonne al di sopra del ginocchio, abiti che fasciano troppo la figura o scollati, ed indossa sempre sotto gli abiti tutti i capi di biancheria intima che aiutano ad evitare di evidenziare troppo il proprio fisico. Verso la metà degli anni ’70, quando dappertutto si iniziò a vestire con una maggiore disinvoltura, vennero date le prime indicazioni restrittive riguardanti i costumi da bagno, che dovevano essere sempre interi, possibilmente foderati per evitare che, bagnati, diventassero trasparenti, e tagliati in modo tale da coprire lo scollo delle gambe. Spesso era veramente difficile riuscire a trovare nei negozi costumi di tale foggia.
Una numeraria, inoltre, non portava mai i pantaloni salvo che per praticare qualche sport che lo rendeva quasi obbligatorio (gite in alta montagna, equitazione, ginnastica a corpo libero)[46], e indossava sempre, anche d’estate, le calze per assistere alla messa e alla benedizione eucaristica.
Dopo la morte del fondatore, nel 1975, ci fu una stretta di vite rispetto a molte consuetudini, probabilmente nell’intento, da parte di don Alvaro Del Portillo succeduto a monsignor Escrivá, di tutelare il mantenimento del buono spirito originario. In quell’occasione tornarono in vigore antiche consuetudini di cui avevamo sentito parlare dalle prime vocazioni, mai del tutto cadute in disuso ma rispetto alle quali si era diventati piú tolleranti, e, per esempio, alle direttrici delle delegazioni e dell’assessorato che si riunivano con una certa frequenza con i sacerdoti della commissione regionale - il consigliere, il sacerdote segretario e il direttore spirituale - venne chiesto di indossare sempre abiti con le maniche lunghe fino al polso in tali occasioni.
Oltre che negli abiti, la castità è ricercata anche nei comportamenti e negli atteggiamenti: le numerarie non frequentano abitualmente stabilimenti balneari pubblici o piscine che non siano interne ai centri dell’Opera. Evitano di sdraiarsi per abbronzarsi, mantenendo posizioni piú modeste sedute o appena allungate, ma soprattutto evitando di dedicare troppo tempo a prendere il sole. Anche se non ci sono preclusioni a sedersi accavallando le gambe, si evita accuratamente di farlo durante il circolo breve o quando si sta in oratorio, criterio - quest’ultimo - all’epoca abbondantemente condiviso da tutti anche all’esterno dell’Opera.
Sempre nell’ottica della custodia del cuore, veniva consigliato alle numerarie di non indulgere troppo in coccole o tenerezze verso i bambini piccoli, e un criterio orientato alla custodia del cuore oltre che allo spirito di povertà era quello di evitare di partecipare al matrimonio dei propri familiari, anche di quelli piú stretti. Questa indicazione venne poi rettificata, dato che si giudicò che tale assenza da eventi familiari tanto importanti andava contro lo spirito laicale dell’Opera, e verso la fine degli anni ’80 le numerarie iniziarono a partecipare a queste cerimonie, solo alla celebrazione religiosa, però, continuando ad evitare di partecipare al festeggiamento che seguiva.
Anche i programmi a cui si assiste sono oggetto di grande prudenza da parte delle direttrici, sia per quello che riguarda la custodia del cuore che la purezza dottrinale. Nei centri si fa un uso molto limitato della televisione. Se, nonostante le rare occasioni in cui si assiste ad uno spettacolo, ci si trova inaspettatamente di fronte a scene che possono offendere anche solo remotamente il senso del pudore, non si esita a cambiare canale o interrompere, temporaneamente o definitivamente la visione del programma. Lo stesso accade nella proiezione casalinga di qualche spettacolo cinematografico, e se nel centro si acquista qualche giornale non si esita a usare le forbici per eliminare qualche immagine o qualche testo giudicati troppo procaci, prima di metterlo a disposizione di tutte nel soggiorno[47].
Mentre da un lato, per la laicità del suo spirito e della sua ascetica, nell’Opus Dei si enfatizza la libertà di cui godono i membri dell’istituzione nel loro agire quotidiano di cristiani in mezzo al mondo, dall’altro il ruolo dello spirito d’obbedienza è fondamentale per raggiungere la santità, scopo della vocazione, e la perseveranza nel cammino[48].
Per vivere con buono spirito l’obbedienza nell’Opus Dei, è necessario compiere su se stessi un lavoro di immedesimazione con le indicazioni che vengono, da parte delle direttrici, appena suggerite o addirittura lasciate spesso implicite, o che comunque una numeraria sa, per la formazione ricevuta, che sono criteri, o applicazioni concrete, del buono spirito[49].
Anche la formazione spirituale continua che ogni numeraria riceve è volta a far sí che ognuna, in prima persona, conosca determinati criteri e lavori su se stessa per adeguarvisi a monte di qualunque attuazione concreta, riducendo cosí al minimo le occasioni in cui si rende necessario chiedere criterio esplicitamente alle direttrici o, peggio ancora, trovarsi ad agire in prima persona secondo criteri che debbano poi essere corretti e rettificati dall’esterno.
Quando un’indicazione, un consiglio di direzione spirituale, un criterio, una correzione fraterna, non trovano nell’anima di una numeraria un’immediata e spontanea accoglienza a causa di una diversità di opinione o di sensibilità, l’obbedienza, per come è intesa nell’Opera, richiede che l’interessata ne faccia oggetto di riflessione e meditazione personali, che ne parli nella direzione spirituale, che preghi per ottenere una comprensione di quanto le viene richiesto, che la porti a farlo proprio con convinzione ed accettazione assolute. Tale adeguamento del proprio criterio a quello dell’istituzione viene considerato come segnale della presenza della libertà personale, indispensabile secondo l’Opus Dei a vivere la virtú dell’obbedienza secondo modalità proprie del cristiano laico.
Quando invece si hanno difficoltà a giungere a tale adeguamento, scatta il pericolo dello spirito critico, che nell’Opus Dei è considerato sinonimo di spirito chiuso e gretto[50].
L’accettare in nome di santa obbedienza - secondo un cliché tipico della vita religiosa - un’indicazione con la quale non si è d’accordo interiormente ed esplicitare tale disaccordo, pur piegandosi all’impegno preso di vivere la virtù, non è considerato nell’Opus Dei un autentico atto di obbedienza.
V.
VI.
Varie norme, consuetudini e atti che scandiscono la vita di una numeraria non hanno frequenza quotidiana, ma si succedono con ritmi settimanali, mensili, e qualcuna addirittura annuali. Iniziamo a vedere quelle settimanali.
Il colloquio, o confidenza, o colloquio fraterno costituisce lo strumento principale, nell’Opera, di direzione spirituale[73]. È una consuetudine che si narra essere nata spontaneamente fra i primi numerari che seguirono il fondatore, i quali, non avendo ancora la possibilità di confessarsi con sacerdoti provenienti dalle fila dell’Opus Dei, presero l’abitudine di trattare con il Padre argomenti di lotta ascetica e di vita interiore, per essere certi di vivere correttamente lo spirito dell’Opera. In seguito, sempre secondo questa tradizione orale, diventò impossibile per il fondatore seguire in prima persona la direzione spirituale di tutti i suoi figli, ed egli delegò questo compito ai direttori di ogni centro, che a loro volta hanno la facoltà di delegare a persone di loro fiducia, del consiglio locale o meno, tale incarico per ogni singolo membro dell’istituzione.
Il fatto stesso che tale consuetudine non viene indicata con un unico termine vuole significare che è un qualche cosa di spontaneo, di non formalizzato, piú un’esigenza della singola persona che non una prescrizione dell’istituzione.
Il colloquio è il luogo per antonomasia per vivere una virtú fondamentale nell’Opus Dei: la sincerità. La formazione data dall’Opera assicura che se tale mezzo di formazione viene vissuto bene, con generosità e fino in fondo, la perseveranza nella propria vocazione è assicurata, e di fatto si torna a insistere una volta e un’altra, nei mezzi di formazione, su tale consuetudine, sui suoi contenuti[74], sulle disposizioni interiori con cui occorre farla, sulle modalità concrete per realizzarla[75].
Ogni numeraria fa la propria confidenza con la direttrice del centro o con una persona da questa designata. Non è previsto che l’interessata esprima un parere o una preferenza riguardo alla persona con la quale dovrà aprire la propria anima, anzi è di buono spirito accettare docilmente e senza riserve l’assegnazione del proprio colloquio.
Il colloquio si fa una volta alla settimana, e un altro comportamento di buono spirito è il prendere l’iniziativa di sollecitare alla propria direttrice l’appuntamento di volta in volta, senza aspettare di essere cercate.
Il colloquio fraterno, essendo un mezzo di direzione spirituale, da vivere con visione soprannaturale, deve essere preparato nell’orazione mentale, possibilmente utilizzando l’agenda sia per ripassare i propri punti di lotta concretati nei colloqui precedenti, sia per appuntarsi gli avvenimenti e gli argomenti di cui si intende parlare, evitando in questo modo improvvisazioni ed approssimazioni.
Il colloquio ben fatto è caratterizzato, secondo un’espressione del fondatore, da quattro “c”: deve essere chiaro, concreto, conciso, completo.
Normalmente nel corso annuale si cambia la persona con cui si fa il proprio colloquio, nell’ottica di evitare una monopolizzazione della direzione spirituale.
Sempre con cadenza settimanale si riceve il sacramento della penitenza con il sacerdote designato per il centro[76]. Dato che, come nel caso del colloquio, non è una determinata persona a dare direzione spirituale, ma è l’Opera in quanto tale, nelle persone da essa designate, a svolgere questo compito, ogni numeraria si confessa abitualmente con il sacerdote incaricato di assistere il centro a cui appartiene. Di fatto non ci sono problemi a che una numeraria, che per qualunque ragione non abbia ancora compiuto nel suo centro questa norma settimanale del piano di vita, si confessi con il sacerdote di un centro in cui si trova di passaggio o che, per esempio, sta seguendo un corso di ritiro o una convivenza alla quale la numeraria assiste, purché tale comportamento resti un’eccezione.
Come si è già detto, una numeraria si confessa esclusivamente utilizzando un confessionale che impedisce il contatto diretto con il sacerdote. Periodicamente, oltre che per l’amministrazione della penitenza, il buono spirito vuole che si parli col sacerdote di argomenti di direzione spirituale, curando molto che i due momenti - quello dell’amministrazione del sacramento e quello della direzione spirituale - risultino ben distinti.
Dato che in questo modo la permanenza in confessionale di ogni singola persona può prolungarsi e che spesso la fila di coloro che attendono di poter entrare è lunga, capita, senza che questa pratica venga di fatto né incoraggiata né sconsigliata, che si faccia una lista su un biglietto in cui chi deve passare dal sacerdote appunta il suo nome in modo tale da avere la sicurezza di essere chiamata dalla persona che la precede, quando questa termina, e potersi nel frattempo dedicare ad altre cose senza passare ore in oratorio.
Settimanalmente tutte le numerarie appartenenti allo stesso centro si riuniscono per il circolo breve. Se il centro è formato da molte persone, come per esempio nel caso di un centro di studi o durante un corso annuale, le numerarie appartenenti allo stesso centro vengono suddivise in vari sottogruppi.
Il circolo breve viene diretto abitualmente dalla direttrice del centro e periodicamente da qualche altra persona del consiglio locale. È consuetudine che chi dirige il circolo porti il cilicio durante il tempo necessario allo svolgimento di questa riunione, offrendo questa penitenza per le altre numerarie che assistono. Il circolo inizia con un breve commento al vangelo della liturgia del giorno. Subito dopo le numerarie, in piedi, ascoltano la lettura del piano di vita e a seguire, sedute, una conversazione relativa al commento di una di queste norme. Segue un esame di coscienza nel quale chi dirige il circolo legge delle domande, sempre le stesse, contenute nell’apposita guida, quindi si fà, profondamente inchinate, un atto di contrizione collettivo recitando il confiteor. Segue l’emendatio, un’accusa fatta in ginocchio dalle singole numerarie di colpe quotidiane leggere alle quali la direttrice del circolo commina altrettanto leggere penitenze. Per fare l’emendatio, occorre consultarsi prima dell’inizio del circolo breve con la persona che lo dirige, e tale atto non è obbligatorio, anche se è di buono spirito viverlo periodicamente e con frequenza, per crescere in spirito di umiltà e di contrizione. Segue una seconda conversazione su argomenti vari. Può essere la lettura di una nota arrivata dalla delegazione o dall’assessorato riguardante un criterio da chiarire, un comportamento da evitare o da promuovere a fronte di avvenimenti pubblici che riguardano l’Opera o la fede cristiana, oppure ancora il commento di un aspetto dello spirito dell’Opera che si è deciso in consiglio locale di dover approfondire, eccetera. Terminata questa seconda conversazione, segue una breve tertulia nella quale si trattano soprattutto argomenti apostolici, proselitistici o si scambiano notizie riguardanti il Padre, quindi si conclude il circolo con la recita delle preci dell’Opera.
In questo mezzo di formazione, come in tutti gli altri tradizionali dell’Opera - conversazioni su argomenti ascetici, lezioni su argomenti dottrinali, lezioni sullo spirito dell’Opera, eccetera - chi assiste resta in silenzio e non interviene mai con domande: lo spirito, che viene spiegato anche alle ragazze di san Raffaele e alle signore nel lavoro di san Gabriele, non è quello di discutere ma di imparare. Eventuali dubbi e domande di approfondimento possono essere rivolte, successivamente e privatamente, alla persona che ha diretto il mezzo di formazione, oppure per iscritto al sacerdote.
4. Benedizione
eucaristica e Salve Regina il sabato.
Oltre all’offerta di alcune mortificazioni, la devozione
alla Madonna si concreta, il sabato, con la benedizione con il Santissimo
Sacramento esposto solo estraendo la pisside contenente le sacre specie dal
tabernacolo nei giorni feriali, oppure piú solennemente mettendo la particola
nell’ostensorio nei giorni di festa, e a seguire, già riposto il Santissimo
Sacramento nel tabernacolo, si canta
La penitenza corporale ha un ruolo piuttosto importante, anche se non primario, nell’ascetica dell’Opus Dei[77]. Le pratiche in cui si concreta non sono considerate norme del piano di vita in senso stretto, ma piuttosto delle consuetudini.
Oltre alla consuetudine di dormire senza materasso sul legno, penitenza che come abbiamo visto è esclusiva delle numerarie all’interno dell’Opera, queste condividono con numerarie ausiliari, numerari della sezione maschile e aggregati di entrambe le sezioni l’uso del cilicio per due ore al giorno in tutti i giorni feriali (escluse, cioè, le feste della Chiesa universale, di quella locale e le feste proprie dell’Opus Dei), e quello settimanale della disciplina, una frusta di cordicelle intrecciate con la quale ci si colpisce sulle natiche mentre si recita una qualche orazione concordata nel colloquio di direzione spirituale. La consuetudine che tutti, eccetto i soci soprannumerari, vivono nell’Opus Dei, è quella di fare questa penitenza il sabato[78]; è però di buono spirito concordare con la propria direttrice altre occasioni nelle quali utilizzare la disciplina: nel proprio giorno di guardia, o per raccomandare la vocazione delle persone particolarmente seguite, o per qualche altra intenzione particolarmente importante. Anche quando capita di dover lottare particolarmente sulla virtù della purezza può essere visto come opportuno moltiplicare l’uso della disciplina, che comunque non deve mai diventare troppo importante rispetto ad altre mortificazioni piú nascoste ed umili, perché si conosce bene la tentazione di orgoglio spirituale che si può nascondere sotto un’enfasi eccessiva nella pratica della penitenza fisica[79].
L’uso della disciplina, che è fatto privatamente, crea spesso qualche problema pratico, specialmente per chi vive in residenze universitarie, a stretto contatto con persone non dell’Opera, e per le vocazioni recenti, che utilizzano gli strumenti di mortificazione corporale nelle ore che passano nel centro. È difficile in queste occasioni dissimulare il rumore ed evitare che estranee si accorgano di quello che si sta facendo, e ognuna cerca come può di passare inosservata.
Ho già fatto allusione varie volte al giorno di guardia[80], una consuetudine che si vive settimanalmente nell’Opus Dei per concretare lo spirito di fraternità.
In ogni centro, ciascun giorno della settimana è coperto da una numeraria che durante quel giorno si impegna a vegliare particolarmente sulla santità delle proprie sorelle con le quali convive. Se la quantità di numerarie che abitano il centro non è sufficiente a coprire i sette giorni della settimana, una o piú persone si faranno carico di piú di una giornata.
Questa speciale fraternità si concreta con varie modalità di preghiera, mortificazione e fatti di carità.
Si intensifica, per esempio, la pratica quotidiana di recitare almeno un Memorare[81] per ognuna delle numerarie del centro, si moltiplicano le mortificazioni e vi fa qualche penitenza extra, come utilizzare la disciplina o aumentare il tempo durante il quale si porta il cilicio, probabilmente si farà qualche mortificazione in piú durante i pasti, e soprattutto si cercherà di aumentare l’attenzione e la responsabilità per aiutare, tramite la correzione fraterna, le proprie sorelle a migliorare la propria lotta ascetica.
Durante la notte che precede il proprio giorno di guardia si fa la penitenza di dormire senza cuscino e, volendo, di sostituirlo con un libro[82].
Per facilitare la vita contemplativa, lo spirito
dell’Opera propone ai propri membri di vivere una particolare devozione in
ciascun giorno della settimana. Abbiamo già visto la devozione per
Fa parte delle consuetudini dell’Opera il cercare di fare in modo che, in mezzo alle esigenze ascetiche e lavorative di cui è piena la vita di una numeraria, sia data ad ognuna anche l’occasione di riposarsi e distrarsi. È previsto pertanto che ogni associata faccia settimanalmente una passeggiata con questo scopo[83]. Di fatto, nel periodo a cui faccio riferimento, questa consuetudine era largamente disattesa, per quell’accumularsi di impegni cui ho fatto riferimento all’inizio. Ad ogni modo l’esistenza di questa possibilità permetteva a chi lo voleva di prendersi di tanto in tanto una piccola parentesi appellandosi al buono spirito. Spesso la passeggiata settimanale finiva per coincidere con un’uscita a scopo apostolico, con una romeria, o con un giro per negozi per fare qualche acquisto di abbigliamento.
Oltre alle norme del piano di vita e alle consuetudini dell’Opera, il ritmo settimanale marca anche altri aspetti della vita quotidiana, come ad esempio il cambio della biancheria e la cura dei capelli.
L’amministrazione provvede settimanalmente a ritirare la biancheria personale usata e a restituire quella pulita consegnata la settimana precedente.
Ogni numeraria normalmente utilizza una sacca in stoffa per raccogliere la propria biancheria personale, che è abitualmente marcata con le iniziali della proprietaria. In un giorno prestabilito, questa borsa viene lasciata ai piedi del letto e raccolta dal personale domestico, o nei centri piú piccoli e piú semplici dalla numeraria incaricata, che la porterà nella lavanderia dove verrà lavata assieme ad altri capi analoghi secondo un adeguato programma di lavaggio, e poi, dopo essere stata asciugata e stirata, restituita alla proprietaria sempre dentro la sacca di stoffa, anch’essa lavata, che è servita per consegnarla.
Il cambio della biancheria della casa - tovaglie, asciugamani, lenzuola - viene fatto direttamente dall’amministrazione.
La cura dei capelli è un aspetto della vita abituale di una numeraria che spesso acquista caratteristiche divertenti e pittoresche. Per spirito di povertà si cerca di evitare di andare troppo spesso dal parrucchiere, per cui in ogni centro si finisce per identificare una persona che ha maggiori capacità nell’aiutare le altre numerarie a curare la propria capigliatura e cosí a mantenere un buon tono umano richiesto dalla laicità della vocazione di numeraria. Qualcuna piú audace si spinge addirittura in qualche taglio, in tinture e permanenti. I risultati non sono sempre all’altezza della buona volontà dell’improvvisata parrucchiera, che è comunque una persona sempre piuttosto generosa, dato che le richieste delle altre numerarie finiscono per incidere non poco nell’utilizzo dei suoi ritagli di tempo. Talvolta occorre ricorrere con urgenza all’opera di un parrucchiere professionista per rimediare ai danni prodotti dall’inesperienza e dalla mancanza di professionalità, comunque in genere si riesce a mantenere un buon livello di ordine personale. Il convivere nel proprio centro con una numeraria che abbia buone capacità come parrucchiera è una vera fortuna, che si rimpiange quando cambiano le circostanze.
Prima di lavarsi la testa, è di buono spirito avvisare la direttrice. È un dettaglio di povertà, per non disporre in maniera totalmente autonoma del proprio tempo, di obbedienza, e anche, non ultimo, di organizzazione, perché normalmente le numerarie non dispongono di asciugacapelli personali e occorre regolare l’utilizzo di quelli disponibili nel centro, evitando che troppe persone ne abbiano bisogno contemporaneamente.
VII. NORME DI
SEMPRE E ALTRE CONSUETUDINI
Prima di passare a narrare la vita di una numeraria negli aspetti che restano meglio caratterizzati da ritmi mensili e annuali, mi fermerò a descrivere il collante di queste giornate già ormai sufficientemente familiari dal punto di vista quotidiano. Questo collante che, come la calce e il cemento uniscono i mattoni di un edificio, cerca di unificare gli atti quotidiani piú umili e normali con le norme del piano di vita e le consuetudini, con l’obiettivo di rendere contemplativa la vita quotidiana di ogni numeraria, sono le cosiddette “norme di sempre”.
Mentre le altre norme del piano di vita sono ben determinate quantitativamente, le norme di sempre sono indeterminate e si collocano a metà strada fra gli atti e gli abiti. Sono di fatto dei minuscoli atti che si cerca di ripetere talmente tanto da farli diventare abiti.
La presenza di Dio è la prima e piú universale fra le norme di sempre, quella da cui nascono tutte le altre e a cui tutte tendono. Tale consapevolezza della presenza di Dio di fronte alla quale si svolge la vita di ogni essere umano è perseguita mediante la considerazione della propria filiazione divina; con la ripetizione - il piú consapevole possibile - di centinaia di giaculatorie - brevi preghiere lanciate come dardi, jacula, verso la divinità; con la ripetizione di tante piccole e meno piccole mortificazioni nelle quali il proprio io - la propria comodità, il proprio egocentrismo, la propria vanità… - si nega per lasciare maggior spazio a Dio e alle altre; con lo studio inteso non solo come ore passate sui libri, ma come una mentalità di attenzione e di comprensione della realtà che ci circonda; con il lavoro, anch’esso inteso non tanto, o non solo, come cose da fare, ma come laboriosità, come capacità di intervenire sulla realtà nella quale siamo immersi per completarla e migliorarla; con l’ordine esteriore visto come indice dell’ordine che regna nell’intimo di ogni persona; con l’allegria con la quale si affrontano le difficoltà sapendo che uniscono l’anima alla croce redentrice di Cristo; con gli sguardi alle immagini della Madonna che si trovano in ogni stanza dei centri dell’Opera, rivolgendosi a lei per chiederle aiuto e consolazione nella propria lotta ascetica; con la recita di memorare alla Madonna per vivere in questo modo il proprio sostegno alla vita e alla lotta interiore delle altre numerarie.
La correzione fraterna costituisce una modalità concreta con la quale nell’Opera si cerca di vivere la carità con le altre numerarie, vegliando sulla loro lotta ascetica, per quello che questa può essere percepita dall’esterno[84], e preoccupandosi per i loro progressi nel cammino di santità.
Oggetto di correzione fraterna è qualunque materia che susciti in una persona una reazione critica nei confronti di un’altra: tutte le manifestazioni esterne di mancanza di senso soprannaturale, quindi, ma anche dettagli che sembrino mancanze di buona educazione umana, atteggiamenti inopportuni per il contesto, aspetti del temperamento troppo caratterizzati, allontanamenti anche episodici dal buono spirito dell’Opera.
Quando succede di prendere coscienza di questi moti di spirito critico, si portano innanzitutto all’orazione personale per vagliare la propria personale rettitudine d’intenzione e per spogliare, mediante la contrizione interiore, tale giudizio da quanto possa avere di pura reattività personale; quindi, se al vaglio di questa riflessione si ritiene che ci sia materia per correggere la propria sorella, si consulta con la direttrice del centro l’opportunità di fare una correzione fraterna. Tale consulta ha soprattutto una ragione soprannaturale, per evitare di far prevalere il giudizio proprio e per sottoporre la propria iniziativa allo spirito d’obbedienza (così, anche se è una determinata persona a fare una concreta correzione fraterna, in qualche modo è l’Opera stessa a farla all’interessata, avendola vagliata e autorizzata), ma ha anche la ragione pratica di evitare che a una stessa persona arrivino piú correzioni sulla stessa mancanza.
Se la direttrice autorizza la correzione fraterna, magari dopo aver qualche volta corretto alquanto il tiro e spesso chiedendo a chi le si rivolge se si è esaminata lei stessa su questo aspetto che vuole correggere in un’altra persona, si aspetta l’occasione di poter parlare da soli con la persona interessata, e presala da parte le si spiega in maniera il piú possibile concisa e concreta quanto le si vuole far notare. L’interessata ascolterà in silenzio, senza giustificarsi e senza commentare, quanto le viene detto, e al termine ringrazierà chi l’ha corretta. Normalmente il contenuto delle correzioni fraterne che si ricevono viene portato successivamente al proprio colloquio. Una volta fatta la correzione fraterna, chi ha preso l’iniziativa informa la direttrice di aver compiuto quanto concordato.
A livello di singolo centro l’esercizio dell’autorità, che garantisce l’unione col Padre e offre i vantaggi dell’esercizio dell’obbedienza, è svolto dai membri del consiglio locale.
Normalmente un consiglio locale è formato da una direttrice, che lo presiede, una vice direttrice e una segretaria, in ordine gerarchico.
Quando i centri sono molto numerosi, come può essere il caso di un centro di studi, possono esservi piú vice direttrici, ma di fatto, nel periodo qui preso in considerazione, la realtà della regione d’Italia era tale che quasi mai si verificò la necessità di nominare piú persone contemporaneamente per questo incarico.
Le direttrici sono nominate dall’assessorato regionale con l’approvazione dell’assessorato centrale, e dallo stesso possono essere rimosse, per scadenza del mandato o per gravi cause.
La direttrice presiede la vita del centro, ha un posto fisso a tavola da dove dirige il servizio, conclude le norme vissute in famiglia con la giaculatoria “Sancta Maria, spes nostra, ancilla domini, ora pro nobis”, autorizza le correzioni fraterne.
La vice direttrice ha un ruolo di affiancamento e consulenza alla direttrice. Non è raro il caso che sia una persona di maggior età e criterio della direttrice: quando si adotta tale soluzione, spesso è per la ragione di far crescere e far fare esperienza come direttrici a persone piú giovani, con la tranquillità di mettere loro accanto una persona di criterio e in grado di intervenire in caso di necessità, non direttamente, ma tramite i canali previsti.
Spesso - ma non necessariamente - la vice direttrice riceve il colloquio della direttrice; è a lei che bisogna rivolgersi per chiedere di poter fare una correzione fraterna alla direttrice, ed è quella che presiede in caso di assenza temporanea della direttrice.
La segretaria si occupa degli aspetti economici e pratici della conduzione del centro.
I membri del consiglio locale si riuniscono periodicamente in sessioni di lavoro che vengono indicate all’interno dell’Opera come, appunto, “riunione di consiglio locale”, o piú frequentemente consiglio locale tout court, nel quale vengono affrontati tutti i vari aspetti della conduzione del centro: dagli aspetti di vita interiore delle numerarie, alla gestione economica e materiale della casa, agli aspetti burocratici di interfacciamento con la delegazione e l’assessorato, ai quali bisogna periodicamente mandare informazioni ascetiche, relazioni apostoliche, rendiconti economici, eccetera.
A seconda della complessità della situazione del centro, queste riunioni di consiglio locale possono svolgersi con frequenza variabile: anche tutti i giorni in un centro di studi nel quale gli aspetti di formazione e di crescita delle vocazioni recenti richiedono un’attenzione diuturna e sollecita; una o due volte la settimana in un centro di san Michele senza particolari problemi.
VIII. IL MESE
1. Ritiro
mensile.
Ogni mese il piano di vita di una numeraria prevede una giornata di ritiro, che si svolge dal mattino presto e si conclude a metà pomeriggio[85].
Come anche il corso di ritiro annuale, che però dura cinque giorni interi, durante tutta la durata del ritiro mensile si osserva un profondo silenzio, interrotto solo dalle pratiche di pietà. Durante il pranzo, a tavola, le partecipanti si alternano nella lettura ad alta voce che serve a facilitare l’osservanza del silenzio.
Normalmente un ritiro mensile prevede una prima
meditazione predicata dal sacerdote, seguita dalla messa, dalla colazione (in
silenzio e senza lettura a voce alta), una conversazione data da una delle
numerarie partecipanti o da una direttrice venuta appositamente, la recita del
rosario, l’esame di coscienza fatto con la guida di domande codificate per ogni
mese dell’anno[86], una
seconda meditazione prima del pranzo ed una terza nel pomeriggio. Il ritiro
mensile si conclude sempre con la benedizione eucaristica. È di buono spirito
che, in piccoli gruppi, si faccia
Normalmente questi ritiri vengono organizzati di domenica, e durante il mese se ne organizza piú di uno in centri diversi in modo tale che le numerarie dei vari centri possano alternarsi senza lasciare vuoto il proprio centro. In alcuni centri (centro di studi, delegazione o assessorato) il ritiro mensile è diretto specificamente alle numerarie che vivono nel centro, anche se eccezionalmente capita che partecipi qualche numeraria di fuori. Normalmente si evita di organizzarli in centri nei quali vivono persone che non appartengono all’Opera, e si privilegiano invece centri di san Michele che garantiscono una maggiore riservatezza e un maggior raccoglimento.
2. Veglia
eucaristica il primo venerdì.
Sempre che sia possibile si organizza un’intera notte di veglia eucaristica nella notte del primo venerdì del mese. Questa veglia si può organizzare solo in quei centri in cui sia possibile garantire la presenza di almeno due persone contemporaneamente durante turni di circa mezz’ora o tre quarti d’ora durante tutta la notte. Sono perciò abituali nei centri di studi, nei corsi annuali e nei corsi di ritiro, nelle residenze universitarie. In quest’ultimo caso, partecipano anche le residenti piú coinvolte nel lavoro apostolico, e non è raro il caso che qualche ragazza di san Raffaele particolarmente vicina si fermi a dormire presso la residenza per poter partecipare alla veglia notturna.
Viene organizzata una lista di persone, come dicevo due per ogni frazione di orario. Dopo l’esposizione solenne fatta dal sacerdote, iniziano i turni di adorazione.
Durante il tempo previsto, le persone di turno fanno la loro orazione mentale davanti al’ostensorio che contiene l’eucarestia. Dieci o quindici minuti prima che inizi il turno successivo, una persona si alza e va a svegliare le persone che dovranno subentrare. In tal modo non si lascia mai l’eucarestia incustodita nell’oratorio. Solo quando sopraggiungono le persone del turno successivo, chi ha già fatto il proprio turno di adorazione può alzarsi e uscire dall’oratorio per andare a coricarsi.
Nello scegliere il proprio turno di adorazione, spesso entra in gioco la generosità e lo spirito di mortificazione di ognuna: i turni piú “facili” sono i primi della sera e gli ultimi del mattino, quando basta semplicemente ritardare l’ora di andare a letto o anticipare un po’ quella di alzarsi, magari approfittando di questo tempo extra per fare tante cose per le quali non si trova mai il tempo. È molto piú duro e sacrificato, invece, vegliare nel cuore della notte, quando occorre svegliarsi dal primo sonno - il piú profondo - o quando magari si fa fatica a conciliare un’altra volta il sonno.
Dopo la veglia notturna, abitualmente non si fa nel centro l’orazione del mattino. Il sacerdote arriva all’ora abituale della messa, e dopo aver riposto l’eucarestia, celebra come di consueto.
3. Nota spese.
La nota spese è la consuetudine mediante la quale ogni numeraria rende conto, mensilmente, delle piccole quantità di denaro che le vengono fornite dalla segretaria per le sue piccole spese personali. Tale consuetudine risponde alla logica di una povertà assoluta: ogni membro dell’Opera non si considera padrone della piú piccola cifra di denaro che utilizza, pertanto rende conto dell’utilizzo dei soldi necessari a vivere la propria vita in mezzo al mondo: l’utilizzo di mezzi pubblici, il pieno di benzina, qualche piccola spesa di profumeria, eccetera.
Data l’ovvietà di questi utilizzi, a volte è veramente molto difficile far tornare i conti, perché spesso ci si distrae dal registrare immediatamente la spesa, e dopo, quando si cerca di ricostruire le proprie uscite, la memoria gioca brutti scherzi.
La nota spese, alla fine del mese o nei primi giorni del nuovo, viene consegnata alla direttrice di persona o lasciandola sul tavolo di direzione. Naturalmente le voci di tale nota non vengono riportate nella contabilità del centro, che registra solo la voce generica “spese ordinarie” nel foglio di ogni singola persona, riportando solo la cifra totale.
IX. L’ANNO
Sarebbe lunghissimo elencare e descrivere i molti appuntamenti annuali di una numeraria: consacrazioni, consuetudini legate a qualche festa, e molti altri eventi del genere. Mi limito a segnalare gli eventi attorno ai quali gravitano interessi che richiedono un’apposita preparazione e lasciano conseguenze che incidono nella quotidianità di una numeraria.
1. Corso annuale.
Una volta all’anno, spesso ma non necessariamente in estate, le numerarie partecipano a un mezzo di formazione che riunisce le caratteristiche della vacanza, della formazione ascetica e della formazione dottrinale: il corso annuale[87].
I corsi annuali vengono organizzati dall’assessorato per tutta la regione di competenza. Tutte le volte che è possibile si svolgono presso qualche casa di ritiro specialmente attrezzata perché questi periodi siano un’autentica pausa di riposo e di ricarica per le partecipanti. Sono centri provvisti di un’amministrazione ordinaria, che provvede a tutti gli aspetti di conduzione domestica. Se possibile le stanze sono singole, spesso ognuna con servizi privati. Vi sono sale e aule adeguate perché vi si possano svolgere lezioni dottrinali, mezzi di formazione, tertulias. La casa è circondata da un giardino, o addirittura da un parco, e spesso provvista di piscina. La maggior parte di queste case di ritiro sono provviste di una dipendenza piú spartana, con stanze da letto multiple e con servizi piú giovanili. In queste dipendenze, spesso contemporaneamente a un corso annuale di numerarie grandi, si svolgono i corsi annuali delle vocazioni recenti, che cosí possono usufruire del vantaggio di avere vicino e disponibili molte persone di solito felici di poter dar loro conversazioni ascetiche, di partecipare a tertulie edificanti, di dare una mano, insomma, in tutti i modi possibili. Altre volte, in queste dipendenze piú austere, si organizzano in contemporanea corsi annuali di numerarie ausiliari, o di aggregate o convivenze di soprannumerarie giovani, piú brevi dei corsi annuali.
Gli obiettivi di ogni corso annuale sono ascetici, dottrinali, di vita di famiglia e di riposo per ognuna delle partecipanti. I consigli locali sono nominati dall’assessorato e sono di solito formati da persone ben formate e con buone capacità di direzione. Partecipando a un corso annuale, tutte hanno l’occasione di uscire da una routine giornaliera spesso pesante, di evadere, anche, da qualche convivenza a volte penosa e irritante, di cambiare la persona con la quale si fa il colloquio e il sacerdote con cui ci si confessa, di disporre di qualche ora al giorno di tempo libero e di approfondire la propria formazione dottrinale. In un corso annuale si riuniscono persone che vengono da centri e da delegazioni diverse, spesso qualcuna viene anche da qualche regione limitrofa, e questo scambio rianima e risveglia generosità e desiderio di donazione. Per contro, la convivenza con gente tanto numerosa e tanto diversa da quella abituale, spesso può provocare in qualcuna una certa fatica o un certo disorientamento. Il numero di partecipanti è condizionato dalla capienza della casa di ritiri e dalla possibilità di turnarsi delle persone che abitano nei vari centri; può andare da un minimo di una dozzina di persone a un massimo di trenta, trentacinque, ma queste cifre non sono codificate.
Ogni giorno, durante il corso annuale, la meditazione del mattino è predicata dal sacerdote[88]. Dopo la colazione, spesso, ci sono una o piú lezioni di argomento dottrinale, per lo piú materie di teologia relativi agli studi interni che ogni associata svolge allo stesso modo dei numerari che si preparano al sacerdozio, ma senza riconoscimenti esterni, pur dovendo sostenere e superare un esame per ogni materia. Prima di pranzo c’è un po’ di tempo dedicato al riposo e allo sport: si fa qualche passeggiata se il corso annuale si svolge in montagna, o si scende in piscina, ci si dedica al proprio incarico personale, si fa o si riceve il colloquio settimanale.
La tertulia è particolarmente curata durante il corso annuale: è cura del consiglio locale programmarle accuratamente in modo tale che emergano racconti apostolici e proselitistici, ricordi dei primi tempi dell’Opera o racconti in qualche modo edificanti. Se è il compleanno di qualcuna, questo anniversario viene celebrato con particolare cura, dato che c’è piú tempo e piú gente disponibile per preparare una tertulia divertente o uno spettacolo.
Nel pomeriggio si vive naturalmente il tempo di lavoro: le prime ore sono dedicate ad altri mezzi di formazione: conversazioni ascetiche, il cui svolgimento è affidato a turno ad alcune delle partecipanti al corso annuale, lezioni sullo spirito o sul catechismo interno dell’Opera, il circolo breve settimanale che si fa divise in sottogruppi meno numerosi, eccetera. La merenda interrompe questo ritmo di formazione, che a volte poi riprende, a volte cessa del tutto per un ulteriore periodo di tempo libero e di riposo fino all’ora di cena.
Quando si parla di “tempo libero” non bisogna farsi troppo impressionare: la quantità di questo tempo libero, nelle normali giornate di corso annuale, può variare dalle due alle tre ore in tutto fra mattina e pomeriggio. Occorre però tener presente che questo tempo libero è quello che ognuna ha disponibile per svolgere i propri incarichi, per compiere alcune norme (la lettura spirituale, qualche volta il rosario) che non è previsto fare in comune, per fare e ricevere il colloquio fraterno, per scrivere lettere apostoliche alle amiche che si trattano apostolicamente in maniera piú assidua… A ogni modo, rispetto agli abituali ritmi di vita, questa maggiore disponibilità di tempo è risentita e vissuta con gratitudine.
Durante il corso annuale si cerca di curare di piú anche le ore di sonno e, normalmente, vivendo in una casa di ritiri aperta a tutti, le numerarie durante quel periodo dormono su un normale materasso.
Inoltre in questo periodo di formazione piú intensa, proprio perché si cerca di vivere con particolare fedeltà tutti gli aspetti dello spirito dell’Opera, oltre a una giornata dedicata al ritiro mensile, c’è sempre un’altra giornata dedicata alla gita mensile. Si può scegliere una meta comune, magari affittando un pulmann per raggiungerla, o piú volentieri, perché si passa piú inosservate, si organizzano nella stessa giornata gite diverse con mete differenti, e ognuna si iscrive a quella che le viene piú congeniale.
2. Corso di
ritiro.
Una volta all’anno tutte le numerarie lasciano le loro normali attività per dedicare cinque giornate intere al corso annuale di ritiro[89]. Normalmente anche per questa attività vengono utilizzate le case di ritiro, a cui affluiscono per l’occasione numerarie di centri e di delegazioni diverse. Abitualmente si arriva la sera, si cena normalmente, approfittando dell’occasione per rivedere e salutare persone conosciute e con le quali si è magari convissuto a lungo in altri tempi, spesso si fa la tertulia, poi ci si riunisce in oratorio per la meditazione predicata dal sacerdote che da inizio al corso di ritiro, che continuerà poi in un silenzio profondo nei cinque giorni seguenti.
Ogni giornata prevede quattro meditazioni, su argomenti abituali, predicate dal sacerdote, una conversazione ascetica svolta a turno da qualcuna delle partecipanti, alcune norme del piano di vita svolte assieme, come il rosario. Prima di pranzo, oltre al proprio esame particolare, le partecipanti si riuniscono in oratorio per un esame che viene svolto sugli argomenti che quel giorno caratterizzano meditazioni e conversazione mediante domande codificate, che chi ha il turno di preghiera legge ad alta voce, come abbiamo già visto succedere nel ritiro mensile. È di buono spirito recitare, in queste giornate, tutte intere le tre parti del rosario, e fare la via crucis, anche se quest’ultima devozione si preferisce non farla comunitariamente, ma divise in piccoli gruppi. Nonostante tale quantità di impegni, resta molto tempo libero che si trascorre in parte in oratorio, meditando e riflettendo sugli argomenti trattati nei mezzi di formazione e sugli aspetti della propria vita interiore che ognuna desidera approfondire, spesso su invito della direttrice che riceve abitualmente il suo colloquio; in parte si riflette e si prega a contatto con la natura, approfittando del fatto che le case di ritiro sono dotate, come già detto, di giardini o di parchi.
Durante i pasti, per mantenere silenzio e raccoglimento, si legge abitualmente ad alta voce. Fino alla morte del fondatore, i testi scelti per questo tipo di letture ad alta voce erano per lo piú biografie edificanti, come quella di santa Bernadette, dei pastorelli di Fatima o del curato d’Ars; in seguito, con il prolificare di testi che raccoglievano la vita e le virtú di monsignor Escrivá, invalse l’abitudine di utilizzare questi testi.
Sempre per fedeltà al buono spirito, ogni partecipante al corso annuale di ritiro passa in confessionale a parlare personalmente con il sacerdote incaricato del corso, per concretare i propositi fatti e ricevere orientamenti in proposito.
3. Romeria.
Ogni anno, durante il mese di maggio, ogni numeraria è tenuta a fare almeno una romeria[90], cioè una visita a una chiesa o meglio a un santuario della Madonna, nella quale si recitano le tre parti del rosario: nella chiesa la parte del giorno completata dalla Salve Regina e dalle litanie lauretane, e nel percorso di andata e in quello di ritorno - che almeno in parte si fanno a piedi - le altre due parti.
Sebbene in molti casi queste romerie vengano fatte fra membri dell’Opera, tale consuetudine è squisitamente apostolica, e ognuna si ingegna per organizzarne molte durante tutto il mese di maggio, e nella maggior parte accompagnata da ragazze di san Raffaele o da signore del lavoro di san Gabriele, meglio se prossime a chiedere l’ammissione all’Opera. Il tragitto verso il santuario, spesso piú lungo di quello necessario per recitare le parti del rosario previste, permette cosí di affrontare discorsi apostolici e proselitistici.
4. Lista di san Giuseppe.
La vigilia della festa di san Giuseppe si vive nei centri dell’Opera la consuetudine della cosiddetta lista di san Giuseppe. Ogni membro dell’Opus Dei mette sotto la protezione del capo della famiglia di Nazareth tre persone che vuole portare alla vocazione all’Opera entro l’anno. In una riunione di famiglia, si trascrivono su un foglio di carta, che verrà poi chiuso in una busta, i nomi che ogni numeraria indica, dopo essersi precedentemente consultata con la propria direttrice rispetto all’opportunità della sua scelta. L’anno seguente, prima di scrivere i nuovi nomi, si apre la busta dell’anno precedente e si leggono i vecchi nomi verificando chi ha raggiunto la meta che ci si era prefissi. Qualche volta capita che qualche vocazione recente, assistendo all’apertura di tale busta, senta fare il proprio nome, qualche altra, chi aveva partecipato alla lista non appartiene piú all’istituzione, oppure qualche nome che si era scritto corrisponde a una persona che ha pitato, ma presto ha desistito. In questi casi, si preferisce non insistere sull’evento considerato increscioso, e si procede senza dare maggior importanza ai fatti.
X. ALTRI ASPETTI
DELLA VITA QUOTIDIANA
1.
Incorporazioni.
Eventi importanti della vita di una numeraria, che hanno ricadute decisive nella sua vita quotidiana, sono le incorporazioni, che conoscono tre tappe: l’ammissione, l’oblazione e la fedeltà[91].
All’inizio degli anni ’70, in realtà, tali scadenze non erano scrupolosamente osservate, e si aveva anzi la tendenza a rimandare sempre un po’ la concessione dell’incorporazione che toccava fare di volta in volta, segnalando alla numeraria interessata mete ascetiche da affinare e approfondire. Questa scrupolosità nella valutazione dell’idoneità venne in seguito corretta dalle indicazioni citate, raccolte nel Vademecum de los Consejos locales, che porta la data del 19-III-1987.
Prima di concedere l’ammissione - come succederà anche per le incorporazioni successive -, il consiglio locale del centro a cui è ascritta la numeraria in questione prepara una nota informativa nella quale si rende conto di come l’interessata viva aspetti fondamentali dello spirito dell’Opera e se ha terminato tutte le lezioni del Programma di formazione iniziale. Questa nota informativa viene data alla delegazione di competenza, assieme a una scheda compilata con dati anagrafici personali e familiari, e due foto. Dopo aver adempiuto a questi obblighi una numeraria incaricata dalla delegazione - molto spesso la stessa direttrice del centro a cui è ascritta la giovane numeraria in questione -, la incontrerà per un colloquio[92] nel quale verificherà la conoscenza dei temi del programma di formazione iniziale e le rivolgerà alcune domande relative alla libertà e alla conoscenza degli obblighi che assume. Alla parte finale di questo colloquio, nella quale vengono rivolte tali domande, assiste anche un secondo membro dell’Istituzione, in qualità di testimone.
Se la candidata è riconosciuta idonea, la persona che l’ha incontrata lo comunica alle direttrici competenti, che valutano le informazioni ricevute e confermano la concessione dell’incorporazione. Solo dopo quel momento si potrà comunicare all’interessata che farà l’ammissione e in che data. La cerimonia si svolge nell’oratorio del centro, presenti il consigliere, o un sacerdote da lui delegato (normalmente il sacerdote del centro), la direttrice del centro o un’altra persona da lei designata, e un altro membro dell’Opera.
I passi appena descritti (note informative e colloquio) si ripetono al momento di concedere l’oblazione, dopo un anno dall’ammissione, e la fedeltà, dopo cinque anni dall’oblazione.
Con l’oblazione si parla di effettiva incorporazione all’Opera, anche se non definitiva e che andrà rinnovata ogni anno nella festa di san Giuseppe. Solo con la fedeltà l’incorporazione diventa definitiva e non ci sarà piú bisogno di rinnovarla.
Entrambe le incorporazioni - quella provvisoria e quella definitiva - constano di vari momenti, uno di fronte al direttore del centro; un secondo davanti a tre testimoni e che si svolge fuori dall’oratorio, davanti a un’immagine della madonna o a un crocefisso; e infine la cerimonia nell’oratorio, nella quale, quando si fa la fedeltà, al numerario viene dato un anello benedetto[93]. Prima di fare la fedeltà ogni numerario, come esigenza della virtù della povertà e del distacco, cede l’amministrazione dei propri beni patrimoniali, se ne ha, e fa testamento[94].
Con l’oblazione prima, e poi con la fedeltà, i membri dell’Opus Dei si impegnano a una donazione totale che si concreta nella disponibilità a dedicarsi ai lavori interni dell’Opera; a obbedire al prelato e ai direttori che lo rappresentano in tutto ciò che si riferisce a vita interiore e apostolato; a santificarsi per mezzo del lavoro vivendo il distacco nell’uso dei beni terreni; all’apostolato e al proselitismo; alla fraternità con gli altri membri dell’Opera; alla cura della vita di famiglia; alla pratica della virtù della purezza che per i numerari si concreta nel celibato; a coltivare la filiazione divina; a praticare le virtù dell’ottimismo e dell’allegria; a seguire l’esempio del fondatore e a ricorrere alla sua intercessione; infine, all’utilizzo responsabile dei mezzi di formazione offerti dall’Opera.
Come accennato precedentemente, l’incorporazione temporanea con l’oblazione comporta l’obbligo, se si vuole permanere nell’Opera, di rinnovare tale incorporazione annualmente. Gli statuti dell’Opera prescrivono che tale rinnovo non va fatto nell’anniversario della propria oblazione, bensì che tutti i membri incorporati temporaneamente rinnovino i loro impegni nella festa di san Giuseppe. Ognuno, privatamente, rinnova gli impegni della sua appartenenza all’Opus Dei ed è poi tenuto a comunicare, entro la giornata, al proprio direttore, di aver adempiuto a questo obbligo.
Queste tre grandi tappe - ammissione, oblazione, fedeltà - non indicano però completamente la struttura dell’Opus Dei. Sia nella sezione maschile che in quella femminile, infatti, alcuni numerari e numerarie sono distinti in altre due categorie: iscritti ed elettori. Iscritti e iscritte sono tutti quei numerari e numerarie che possono essere destinati a cariche direttive nell’istituto, vengono nominati direttamente dal Padre o dal Presidente generale dell’Opera, e prima di ricevere questo incarico - come avvenuto per me nel 1980, quando fui scelta come socia iscritta - emettono alcuni giuramenti suppletivi[95]. Gli elettori vengono scelti tra gli iscritti, sono sempre nominati dal Padre o dal Presidente generale dell’Opera, e sono i soli ad aver voce attiva e passiva nell’assemblea generale per la nomina del nuovo Presidente generale. Le elettrici, scelte anch’esse tra le iscritti, sono le sole ad aver diritto a partecipare al congresso generale della sezione femminile, che però - come ho già detto - non ha alcuna voce nella elezione del Presidente generale dell’Opera.
2. Feste.
Il calendario dell’Opus Dei è ricco di giorni di festa: ci sono le feste proprie dell’istituzione e che celebrano la fondazione dell’Opus Dei, della sezione femminile dell’Opera, il compleanno e l’onomastico del fondatore, la sua ordinazione sacerdotale, il giorno della morte; i santi protettori dell’Opera, eccetera. Oltre a queste feste che potremmo chiamare interne, si celebrano nell’Opus Dei tutte le feste liturgiche, e con maggiore solennità quelle che risvegliano una eco nello spirito dell’Opera: le feste della croce, quella di san Giuseppe, tutte le feste della madonna. Ognuna di queste feste ha una sua solennità maggiore o minore, che viene identificata, come già accennato parlando della preparazione della messa, con la lettera A, B o C.
Le feste come il Natale e il capodanno vengono celebrate nell’Opera come uno speciale momento di famiglia, oltre che, naturalmente, come un importante momento dell’anno liturgico.
A Natale, sempre che sia possibile, si organizza nei centri il triduo, a cui si invitano le famiglie delle associate e magari anche quelle di qualche ragazza piú vicina alla vocazione. L’amministrazione colloca in vari punti della casa qualche elegante e sobria decorazione natalizia, naturalmente si fa il presepe, e la festa viene celebrata con la massima solennità, sia a livello liturgico che nella vita di famiglia. Il giorno di Natale ognuna riceve un piccolo regalo[96], uno e due oggetti che rispondono ai desideri precedentemente espressi dall’interessata: un profumo, un’agendina nuova, una sciarpa o qualcosa del genere, sempre accompagnato da uno scherzo allusivo a qualche caratteristica personale. In queste giornate di festa gli orari, qualche volta, diventano piú tolleranti ed elastici, e la vita di familia si fa piú intensa. Molte, nelle giornate fra Natale e capodanno, o fra quest’ultima festa e l’Epifania, partono per fare il proprio corso di ritiro.
La notte di capodanno si celebra nei centri la messa di mezzanotte, preceduta dal Te Deum di ringraziamento per l’anno appena trascorso.
Normalmente ogni numeraria celebra il proprio onomastico; eccezionalmente qualcuna opta per la celebrazione del compleanno[97]. In quel giorno le altre persone del centro cercano di affinare dettagli di affetto verso la festeggiata: il pranzo è piú curato e magari si cerca di fare qualche piatto che le è specialmente gradito, la tertulia è piú curata e le vengono consegnati degli auguri, uno scherzo preparato in casa, molto personalizzati. Si cerca di organizzare una passeggiata o di proiettare la sera un film che possa esserle gradito. Quando questi anniversari cadono durante il corso annuale, tutto questo viene ulteriormente curato e programmato, anche perché diventa un diversivo per tutte le partecipanti. Il compimento dei quarant’anni è considerato un anniversario particolarmente solenne, il raggiungimento di una particolare maturità umana e interiore. Viene perciò celebrato in forma particolare, anche quando abitualmente la festeggiata celebra l’onomastico[98].
3. Farmacia,
profumeria, magazzino di abbigliamento.
Una numeraria vive l’obbedienza e il distacco anche nell’assunzione di medicinali. Per quanto riguarda quelli di uso piú comune - per far fronte a un mal di testa o a qualche leggero disturbo - nell’ufficio della direzione o nelle vicinanze c’è di solito una piccola farmacia domestica con i piú frequenti prodotti da banco[99]. Le chiavi sono custodite dalla direttrice, ed è a lei - o a chi la sostituisce in quel momento - che bisogna chiedere in caso di bisogno. Se invece un medico fa delle prescrizioni specifiche, sarà l’interessata stessa a custodire i medicinali che le sono stati prescritti e ad assumerli secondo la prescrizione del medico. Se comunque tali medicine dovessero avanzare, le consegnerà alla direttrice.
In un armadio della casa si conserva un piccolo magazzino di articoli di profumeria: saponette, fazzoletti di carta, calze, spazzolini da denti e dentifrici ed altri articoli del genere, comprati all’ingrosso per risparmiare e di cui poi le singole persone si approvvigionano al bisogno senza bisogno di recarsi presso piú costosi negozi di profumeria[100]
Ognuna lascerà presso una piccola cassa tenuta nel magazzino stesso la cifra corrispondente al costo dell’articolo, o segnerà su un quaderno il valore di quanto prelevato: provvederà poi la segretaria del centro a riportare la cifra totale sul foglio personale di ognuna, alla voce “ordinarie”.
Inoltre in ogni centro è presente un magazzino di abbigliamento, a cui si fa ricorso in caso di bisogno prima di ricorrere all’acquisto presso negozi normali.
In tale magazzino vengono riposti capi di abbigliamento che sono stati regalati alle numerarie in occasioni diverse, come anche altri capi, smessi da numerarie piú grandi o che svolgono attività di una certa rilevanza sociale, ma che possono essere ancora utilizzabili. Ogni numeraria, quando ha qualche necessità di rinnovare un capo di vestiario, passa prima con la propria direttrice presso questo magazzino per verificare se non ci sia qualcosa che possa esserle utile.
4. Rapporti con
le famiglie.
Come già evidenziato all’inizio di questo studio, quando una persona entra a far parte dell’Opus Dei, l’istituzione diventa la sua vera famiglia. I rapporti con le famiglie d’origine sono improntati ad un forte distacco[101], pur cercando di salvaguardare dei buoni rapporti e di dimostrare tutto l’affetto possibile compatibilmente con le esigenze della donazione.
Non sono previsti momenti specifici né scadenze in cui una numeraria si reca presso la propria famiglia d’origine[102]. Quando è possibile, e le circostanze lo richiedono, si passa a salutare i propri familiari, ma può anche accadere che passino anni, se i luoghi di residenza sono lontani e se i familiari si dimostrano specialmente comprensivi e non creano problemi, senza che si torni presso la propria famiglia.
Si cerca di ovviare a tale lontananza, che spesso viene vissuta in modo sofferto dai propri familiari, scrivendo con frequenza[103], e con la preghiera.
Un’altra conseguenza concreta del distacco dalla propria famiglia e della disponibilità alle esigenze dell’Opera porta a non accettare mai di essere madrine in cerimonie di battesimo o di cresima, dato che nessuna numeraria è sicura di avere la disponibilità di tempo e permanenza per adempiere agli obblighi in tal modo contratti[104].
5. Malattia e
morte.
Come nella vita di tutti, anche in quella di una numeraria possono esserci momenti di malattia, dall’influenza stagionale ad infermità piú gravi.
Anche per tutti questi casi lo spirito dell’Opera prevede modi concreti che sono attuati nei centri.
Una delle prime cure è quella di aiutare l’infermo a
santificare la propria malattia. Per questo, se il suo stato lo permette, lo si
accompagna nel compimento delle pratiche di pietà: per esempio, leggendogli il
Vangelo o un libro spirituale, recitando con lui il Rosario, ecc. Per
rispettare la sua libertà, non gli si porta
Oltre a queste indicazioni, si curano tutta una serie di dettagli legati alla dieta, al riposo, eccetera, la cui osservanza comunque variava alquanto a seconda delle possibilità del centro in cui una persona seriamente ammalata si trovava a vivere. È anche da segnalare che, a parte poche eccezioni, tali indicazioni erano conosciute piú in teoria che in pratica, dato che la giovane età media garantiva alla maggior parte delle numerarie della mia epoca una buona salute.
Anche la morte di una numeraria è stato un evento relativamente poco frequente nel periodo di tempo qui preso in considerazione, e i pochi casi sono stati piú oggetto di racconto che di esperienza diretta. Comunque anche riguardo alla morte esistevano una serie di consuetudini. La piú nota di tutte era quella che il nostro corpo sarebbe stato preparato per la sepoltura avvolto in un semplice lenzuolo, in segno di povertà[106]. Tale lenzuolo doveva essere sufficientemente ampio da poter avvolgere comodamente il corpo, e doveva lasciare in vista il solo volto e le mani. In alcuni centri si conservavano le lenzuola destinate a tale uso. Alla defunta si sarebbe dovuta togliere la medaglia dello scapolare del Carmelo che aveva portato in vita, che veniva sostituita dallo scapolare in stoffa. Era compito della direttrice del centro a cui apparteneva la defunta comunicare la notizia all’assessorato e scrivere al Padre raccontando gli ultimi giorni della defunta. Con piú calma veniva poi redatta una nota necrologica piú completa sulla vita e sulle circostanze della defunta, che doveva essere inviata all’assessorato. Qualche volta si leggevano dopo qualche tempo, sulle pubblicazioni interne, articoli che riguardavano la persona che aveva cessato di vivere.
Erano inoltre previsti, per le numerarie defunte, così come per tutti gli altri membri della prelatura, una serie di suffragi, subito prima del funerale e in seguito, durante la ricorrenza dei fedeli defunti della chiesa universale. Normalmente, i funerali venivano celebrati nella parrocchia piú vicina.
CONCLUSIONE
Da quanto sopra esposto, penso si possano trarre alcune conclusioni.
- La prima può riguardare le pratiche di vita imposte o suggerite dall’Opus Dei ai propri membri. Esame di coscienza, custodia del cuore, “grande silenzio”, uso del cilicio, modestia nel vestire, mortificazione, dipendenza dai superiori nell’uso dei beni, veglie ecc. sono pratiche ascetiche e penitenziali di grande valore e testimoniate in tutta la storia della vita religiosa. La stessa “vita in famiglia” è la vita comune di tanti istituti religiosi, vissuta certamente, nell’Opera, con maggior rigidità di quanto praticato in istituti religiosi a essa contemporanei.
- L’Opus Dei istituto secolare e l’Opus Dei prelatura non presentano alcuna differenza in questo impianto ascetico. La trasformazione in prelatura ha semplicemente mutato - non intendo qui entrare nelle questioni giuridiche - i voti precedentemente emessi, ma la vita è rimasta la stessa.
- Poiché, come sopra esposto, tutto viene regolato nella vita quotidiana dei membri dell’Opera, nei minuti dettagli (la levata al mattino, il modo di comportarsi nell’oratorio, la corrispondenza, il pranzo, la logistica delle case ecc.) ed esistono “manuali” o raccolte di regole che spiegano esattamente come si deve agire, è facile concludere che si può arrivare sia al formalismo sia a un sentimento di oppressione: formalismo, perché tutto si trova regolato e inquadrato, e non c’è spazio per alcuna spontaneità; oppressione psicologica, totalizzante, perché in tutto ci si trova controllati.
- Si potrebbe anche dire che l’Opus Dei riporti, al proprio interno, la struttura della società esterna e civile che vuole combattere: la donna non ha gli stessi diritti dell’uomo; molti regolamenti appaiono come discorsi dell’uomo sulla donna; gli uomini non hanno tutti gli stessi diritti, e la struttura fortemente verticale della istituzione - con la sua distinzione tra numerari, iscritti ed elettori - è legata non a conquiste personali o a libere elezioni, ma a successive scelte decise, con il consenso del suo consiglio, del Presidente generale dell’Opera.
- Infine, si sa che anche nell’Opus Dei un certo numero di suoi membri - dopo un periodo più o meno lungo di permanenza - hanno deciso, come me, di uscire dall’istituzione. Chiarire, però, le motivazioni che possono aver spinto a questo passaggio è compito di altri studi.
[1] Premesse per la lettura
dell’articolo e delle note.
- Nei documenti interni dell’Opus
Dei, ripetutamente citati a documentazione di quanto descritto, si fa un uso
abbondante delle maiuscole, ogni volta che si fa riferimento a realtà degne di
rispetto o che hanno nell’Opera una loro speciale consistenza. Cosí, per
esempio, si scrive “Messa” con la maiuscola, e allo stesso modo con la
maiuscola si scrive “Amministrazione”, con riferimento alla specifica attività
di cura dei centri. Nel mio scritto ho cercato di fare un uso piú sobrio della
lettera maiuscola, usando la minuscola in tutti i nomi comuni, anche quando
fanno riferimento a realtà sacre e degne di rispetto (per esempio nella parola
“messa” ed “eucarestia”).
- Ho usato il corsivo per
evidenziare modi di dire propri del linguaggio utilizzato all’interno
dell’Opera. Cosí, dato che nell’istituzione l’espressione vita di famiglia ha un suo preciso significato, molto pregnante, ho
sempre scritto questa espressione in corsivo, come pure ho fatto ricorso al
corsivo per espressioni come correzione
fraterna che, pur facendo riferimento a una realtà evangelica, e quindi
comune a tutti i fedeli, viene vissuta nell’Opus Dei secondo precise modalità;
e così pure ho fatto per giorno di
guardia, buono spirito, e altre
espressioni ancora.
- Ho invece evidenziato con il
corsivo una parola comune, con uno specifico significato nell’Opus Dei, quando
veniva introdotta e spiegata nel suo contesto, ma senza poi tornare a porla in
corsivo (per esempio: numeraria, delegazione, amministrazione, ecc.), quasi
sempre inserendo in nota spiegazioni riguardo al significato del termine
all’interno dell’Opus Dei.
- Naturalmente ho usato il
corsivo per trascrivere parole in lingua straniera, anche se utilizzate nel
linguaggio corrente italiano.
- In neretto sono riportate le
parole del fondatore dell’Opus Dei, s. Josemaría Escrivá de Balaguer, cosí come
risulta dalle fonti, che le evidenziano sempre.
- Non ho ritenuto opportuno, trattandosi di una testimonianza, appesantire i miei ricordi con bibliografia sulla vita di s. Josemaría Escrivá de Balaguer o sulla storia dell’Opus Dei.
[2] Il consiglio locale è l’organo
di governo dell’Opus Dei di piú basso livello, presente in ogni centro e in
ogni attività - corso di ritiro, corso annuale, convivenza, ecc. - che richiede
la convivenza di piú persone, tutte o parzialmente appartenenti
all’istituzione. È formato da una direttrice, da una (o al bisogno da piú) vice
direttrici, e da una segretaria. “...El Director nunca manda solo. En el Opus Dei no puede existir tiranía,
porque cualquier decisión - por pequeña que sea - la toma el Consejo local. Es contrario al espíritu de
[3] “Para comprobar que el trabajo profesional está hecho con la debida rectitud de intención, los numerarios consideran con frecuencia si están dispuestos a cambiar inmediatamente de ocupación, cuando lo exija el bien de las almas y de las tareas apostólicas... Por tanto, los numerarios están siempre dispuestos a abandonar la actividad profesional más floreciente, para seguir sirviendo a Dios y a las almas en el sitio más oculto” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, III. Santificación del trabajo profesional).
[4] Con amministrazione nell’Opus Dei si intende l’insieme di attività preposte alla cura materiale dei centri: pulizie, cucina, servizio a tavola, centralino e portineria.
[5] La delegazione è nell’Opus Dei un organismo di governo intermedio, che ha lo stesso nome sia nella sezione femminile che in quella maschile, superiore ai consigli locali e inferiore all’assessorato (quest’ultimo si chiama commissione nella sezione maschile). La delegazione governa un certo numero di consigli locali, raggruppati secondo logiche geografiche. Cosí, mentre in luoghi nei quali il lavoro dell’Opera era molto diffuso, come per esempio in Spagna, era possibile trovare anche due delegazioni nella stessa cittá (per esempio a Madrid erano presenti due delegazioni, Madrid ovest e Madrid est), in realtà molto piú ridotte, come era l’Italia nel periodo 1971-1988, tutto il territorio nazionale erano suddiviso in tre sole delegazioni: quella di Milano, quella di Roma e quella di Palermo. Di fatto, poi, non esisteva un organismo di governo per la delegazione di Milano realmente distinto dall’assessorato: le direttrici dell’assessorato fungevano contemporaneamente da direttrici della delegazione del nord Italia. L’assessorato è invece definito da un riferimento nazionale, indipendentemente dal numero di delegazioni e quindi di centri che lo formano. Esiste quindi un assessorato d’Italia, un assessorato di Spagna, un assessorato di Svizzera, ecc. Questo non impedisce che agli inizi dell’attività apostolica in una nazione, quando l’attività è ancora molto ridotta, i primi centri di una nazione – o regione - possano dipendere dalla regione piú vicina.
[6] I numerari in genere, e le numerarie nella fattispecie, sono l’oggetto di questo studio. In base alle costituzioni dell’Opus Dei del 1950, essi costituiscono i membri in senso stretto dell’istituto e, se sacerdoti, possono accedere alle cariche direttive: “Sacerdotes numerarii, praeter diversa munera directionis In instituto... Membra stricto sensu sumpta, scilicet sodales omnes numerarii...” (Constituciones..., Roma 1950, p. I. Cap. II, De instituti membris).
Ecco quanto si dice ancora nell’Opus riguardo
ai numerari:. “Así veía
nuestro Fundador a sus hijos numerarios: en
el corazón de
Inoltre, poiché per essere ammessi tra i numerari
era necessario essere laureati o avere un titolo di studio equipollente, ecco
ancora quanto si stabiliva nell’Opus Dei: “Para solicitar la admisión como
numerario se requiere una capacidad intelectual que permita adquirir la
formación científica y doctrinal exigida por el espiritu de
[7] In realtà, le costituzioni del 1950 chiamavano questa seconda classe
di membri con il nome di “oblati” (quello di “aggregati” era un uso familiare),
che non erano membri dell’istituto in senso stretto e non erano obbligati alla
vita in famiglia, cioè in comune, pur essendo obbligati al celibato: “Oblati...
omnia officia seu obligationes suscipiunt ac numerarii... Vivere possunt privatim...” (Constitutiones..., cit., p. I, cap. II). Ecco poi quanto indicavano
le “glosse” pratiche di spiegazione: “Los agregados entregan plenamente su vida
al Señor, en celibato apostólico y según el espiritu del Opus Dei, de acuerdo
con sus concretas y permanentes circustancias personales, familiares o
profesionales, que ordinariamente les llevan a vivir con la propia familia y
que determinan también su grado de dedicación a algunas tareas apostólicas o de
formación del Opus Dei” (Glosas sobre la
obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, Nota
introductoria). E ancora: “Dentro de la unidad de vocación en
[8] I soprannumerari sono i membri dell’Opus Dei chiamati a vivere la
vocazione all’istituzione senza un impegno al celibato. “Supernumerarii, ii omnes homines et mulieres,
coelibes et etiam coniugati...” (Constitutiones...,
cit., p. I, cap. II). Ed ecco la spiegazione data da una raccolta di
consuetudini: “Se ha de recordar a los supernumerarios casados que el
matrimonio es un sacramento, y sacramento grande (cfr. Eph., V, 32). Por tanto, aunque la virginidad o el celibato per el
Reino de los Cielos sean considerados de mayor dignidad espiritual, los
supernumerarios no sólo deben santificar su amor humano limpio, sino que han de
santificarse en ese estado, porque le incumbe el peculiar deber de luchar para
alcanzar la santidad en la vida doméstica, por la vocación que, como miembros
del Opus Dei, han recibido de Dios ( De
spiritu et de piis servandis consuetudinibus, I, 70).
[9] La piú importante di queste differenze è, a mio avviso, quella che vede gli elettori della sezione maschile, cioè quel gruppo di numerari che hanno diritto di votare il nuovo Prelato al momento della morte del precedente, con voce attiva nell’assemblea elettiva. La sezione femminile, pur celebrando un’assemblea analoga separata, in realtá non ha alcun potere al riguardo: può solo ratificare le decisioni prese dalla sezione maschile. In confronto a questa differenza fondamentale, anche se di fatto ignorata da molti membri dell’istituzione fino alla morte del fondatore e all’elezione del primo successore, perdono di significato altre differenze puramente accidentali, come per esempio la proibizione, solo per le numerarie, di fumare o di partecipare alla celebrazione di matrimoni di familiari o amici.
[10] “Las sedes de los Centros reflejan siempre el
aspecto de hogares de familia cristiana, agradables, con el mínimum de
bienestar indispensable en la lucha ascética para alcanzar la santidad; hogares
acogedores, limpios - no se confunde la pobreza con la suciedad -, sencillos y
alegres: éste es el denominador común de la sede de todos los Centros” (Vademecum de las sedes de los Centros,
Roma, 6-XII-87, pag. 7-8).
[11] “En la sede de los Centros de
[12] “Las relaciones sociales, necesarias en el
apostolado, obligan a atender gustosamente determinados compromisos, porque son
siempre menifestaciones de caridad cristiana. Sin embargo, se limita el número
de visitas que se reciben en los Centros a lo estrictamente indispensable para
la labor apostólica y el trato social. En estas ocasiones, la mayoría de las
veces no hace falta enseñar la casa : basta mostrar el oratorio, y quizá
el jardín, si lo hay. Resultaría poco natural que las visitas recorrieran todo
el edificio” (Vademecum de las sedes de
los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 27).
[13] “Con el
fin de no alterar el normal desenvolvimiento de la vida en familia, no se
invita los parientes de los miembros de
[14] “Desde los comienzos del Opus Dei, nuestro
Fundador repitió que la tarea de administrar los Centros es el apostolado de los apostolados: el
trabajo en las administraciones es un servicio directísimo a Dios, y su buena
marcha es condición necesaria - el mayor de los impulsos - para toda
[15] Le numerarie ausiliari sono una speciale categoria di numerarie che si dedicano specificamente e per tutta la vita alle attivitá domestiche. Per lo piú sono di piú bassa estrazione sociale delle numerarie e hanno un titolo di studio inferiore, anche se già negli ultimi anni del periodo di riferimento di questo studio cominciavano a esserci delle eccezioni riguardo a quest’ultimo aspetto, dato l’innalzarsi generale del livello di studi. Questa categoria di numerarie non ricopre incarichi interni di governo, vive normalmente in centri dedicati specificamente a loro, fa un centro di studi diverso da quello delle altre numerarie e, in generale, svolgono un ruolo e vengono considerate secondo una modalità che viene ben descritta da un’espressione abituale nell’opera: “nuestras hermanas pequeñas”, “le nostre sorelle minori”.
[16] “Para fomentar el sentido de la presencia de
Dios, los fieles del Opus Dei se saludan o despiden con la expresión: Pax; a la
que se responde: In aeternum” (De spiritu
et de piis servandis consuetudinibus, Roma 1990, 112).
[17] Posteriormente, dalla metà degli anni ’70, col forte sviluppo di attivitá apostoliche precedentemente inesistenti quali i club di liceali e le scuole, entrambe le sezioni, quella maschile e quella femminile, abbassarono il target dell’età e si iniziò a fare un lavoro di apostolato già con fanciulli di dieci, undici anni. Tale apostolato si andava trasformando in proselitismo, col seminare inquietudini vocazionali, verso i dodici, tredici anni, man mano che ci si avvicinava alla fatidica età dei quattordici anni e mezzo, età minima prevista dagli Statuti allora vigenti per chiedere l’ammissione all’Opus Dei. Solo con l’approvazione dell’Opus Dei come Prelatura personale, nel 1982, tale soglia d’età fu innalzata ai sedici anni. Contemporaneamente invalse nella prassi dell’Opera la possibilità di candidarsi come aspiranti per quei ragazzi e quelle ragazze che a quattordici anni e mezzo, non potendo piú chiedere l’ammissione, pure desideravano manifestare piú formalmente la propria volontà di farlo una volta raggiunta l’età necessaria.
[18] “Por evidentes razones de delicadeza sobrenatural
y humana, desde los comienzos de
[19] “En los Centros donde el sagrario tiene puerta
interna de cristal, se usa con frecuencia la facultad concedida por
[20] Tutti i criteri concreti secondo i quali si è soliti curare l’oratorio sono contenuti in un documento, chiamato Prassi di oratorio, che è un compendio di criteri dati dal fondatore e di esperienze raccolte nel tempo dalle varie numerarie che si occupavano di questo incarico.
[21] “La llave del sagrario se guarda en una caja
digna, forrada por dentro con terciopelo, moiré,
etc., que el Director del Centro custodia bajo llave (también el duplicado).
Inmediatamente antes de comenzar un acto litúrgico en el que se ha de abrir el
sagrario, se coloca la caja sobre el altar, junto al tabernáculo; y en cuanto
se termina, se devuelve a su sitio. Generalmente, el Director se ocupa de
llevar y recoger la llave” (Vademecum de
las sedes de los Centros, Roma 6-XII-87, pag. 26). Inoltre: “Las llaves de
todos los sagrarios de los Centros de
[22] “Donde tres o más fieles del Opus Dei hacen vida
en familia, se coloca una cruz de color negro y sin imagen del Crucificado, en
un lugar conveniente y digno” (De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 81).
[23] “Quando vedi una povera Croce di legno, sola, senza importanza e senza valore… e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce è la tua Croce: quella d’ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione…, che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Crocifisso devi essere tu” (Cammino, 178).
[24] “El dinero se guarda sólo en la caja correspondiente,
custodiada bajo doble llave: la de la caja, y otra, que puede ser la del
armario o del cajón de la mesa en donde está. Tiene una llave el Secretario; y
la otra, el Director o un Subdirector. Cuando alguno de éstos se ausenta de la
ciudad, entrega la llave al miembro dignior del Consejo local. Estas llaves no se llevan en los
bolsillos » (Vademecum de las sedes
de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 48).
[25] “Como manifestación práctica de su
desprendimiento de los bienes materiales y de la virtud cristiana de la
pobreza, cada numerario y agregado lleva una nota personal donde apunta sus
gastos ordinarios y las cantidades que retira con este fin. El Consejo local
revisa periódicamente esas notas mensuales” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, IV. Desprendimiento
en el uso de los bienes materiales).
[26] A proposito del colloquio, v. infra.
[27] La consuetudine di dormire sul legno viene vissuta, nell’Opus Dei, esclusivamente dalle numerarie. Né le aggregate, né le numerarie ausiliari, né i numerari della sezione maschile praticano tale penitenza, anche se tutte queste altre categorie di membri dell’Opera praticano la consuetudine di dormire sul legno e senza cuscino nella notte che precede la notte di guardia. Nel periodo dai quarantacinque ai cinquant’anni ognuna è libera di scegliere se continuare a dormire sul legno o se iniziare a utilizzare un normale materasso. Inoltre il materasso viene utilizzato durante i corsi annuali e i corsi di ritiro, e ogni qualvolta una numeraria resta a letto ammalata.
[28] Per la consuetudine del giorno di guardia, v. infra.
[29] “...Como manifestación patente de que su familia
es
[30] Nell’Opus Dei, per spirito di mortificazione e per utilizzare al meglio il proprio tempo, non si riposa mai durante il pomeriggio, se non in casi rari ed eccezionali - malattie, ritorno da viaggi faticosi, eccetera -, che devono comunque essere autorizzati di volta in volta dalla direttrice del centro.
[31] “Nuestro Padre
subrayó siempre la importancia de atender muy bien los servicios de portería,
correo, teléfonos y visitas. En los Centros donde la administración no se ocupa
de la portería, se adoptan las medidas necesarias para que funcione
debidamente: con eficacia y con sentido de responsabilidad. Se encarga de abrir
la puerta o de contestar a las llamadas telefónicas un miembro de
[32] “...Cada uno decide en conciencia si debe o no
enseñar la carta al Director del Centro, teniendo en cuenta que - sin duda - le
puede ayudar en su vida espiritual enseñar aquellas cartas cuyo contenido no le
gustaría que otros conocieran, excluidas, como es lógico, las que se refieren
estrictamente a cuestiones de su trabajo profesional.
“Los Directores, por su parte, tienen el derecho y
el deber de evitar que lleguen a los
miembros de
“Los Directores locales, sin embargo, no abren ordinariamente las cartas que reciben los Electores, los Inscritos y, en general, los que ya hicieron la fidelidad. Alguna vez, sin embargo - como muestra de sujeción y de obediencia -, se entrega al interesado la carta abierta: y esto, aunque quizá no se haya leído. Durante alguna temporada concreta, el Director abre y lee la correspondencia de todos. El Subdirector del Centro se ocupa de las cartas dirigidas a quien hace cabeza” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, VII. Correspondencia).
[33] “Non fare critica negativa: se non puoi lodare, taci” (Cammino, 443).
[34] Come
sottolineato spesso nell’Opus Dei, mentre lo spirito religioso è caratterizzato
dall’esercizio delle virtú comandate dai voti, lo spirito dell’Opera enfatizza
il ruolo della libertá nella ricerca della propria santitá. Molte volte il
fondatore sottolineava che i suoi figli sono “liberrimi” e che il comando piú
forte, nell’Opera, “è per favore”: “Un
por favor, y vamos de cabeza. Es lo más fuerte que tenemos para mandar” (Cronica
VII-1966, pag. 58).
[35] “En el Opus Dei, obediencia y espontaneidad son
inseparables: cada uno es plenamente responsable de sus propias acciones, no
sólo de las que realiza en uso de la completa libertad de que goza en
cuestiones profesionales, sociales, etc., sino también de aquellas otras que
lleva a cabo al trabajar en la labor apostólica: si no, su obediencia no sería
verdadera. Por esto, los fieles de
“Este rasgo del espíritu de
[36] “Del mismo modo que una familia natural se
caracteriza por la sencillez y la llaneza que une y compenetra a todos sus
miembros, así también, con el espíritu del Opus Dei, esta sencillez ha de
presidir siempre, y en todo, la vida de familia. Con el fine de asegurar mejor
este espiritu, se prohíbe usar títulos honoríficos para designar los cargos de
dirección. Por esta misma causa, internamente, al Prelado se le llama “Padre”; y los documentos se redactan en
estilo familiar” (De spiritu et de piis
servandis consuetudinibus, Roma 1990, 67).
[37] La
contraddittorietà di molti criteri di “buono spirito” nell’Opus Dei è
rilevabile rispetto a molti argomenti. Uno dei piú emblematici è quello dei
rapporti con la propria famiglia d’origine, rispetto alla quale un membro
dell’Opera è spinto contemporaneamente a portare un affetto teorico ogni giorno
maggiore, in considerazione del fatto che la vocazione soprannaturale non può
che aumentare il calore dei rapporti umani precedenti: “Si lo nuestro es
santificar todo lo humano, no podemos descuidar lo que es tan próximo a cada
uno y tan noble como las relaciones familiares. La irrupción de lo divino en nuestra vida no puede
restar calor humano a esas relaciones; al contrario, lo natural es que lo
aumente. Hemos de querer cada día más a nuestros padres y hermanos, y dar
muestras efectivas de ese cariño” (Meditaciones,
Tomo I, pag. 241). Inoltre l’Opera spinge i propri membri
a pagare il debito di gratitudine verso la famiglia che, con le cure e
l’educazione, inculca il seme della vocazione: “Mucho es lo que debemos a
nuestros Padres y, en lo humano,
imposible de pagar. Nuestra
vida proviene de ellos, y frecuentemente el primer germen de la fe, de la
piedad y de la vocación, lo han puesto ellos en nuestros corazones” (De nuestro Padre, Crónica VII-60, pag.
12). Si potrebbero moltiplicare le citazioni in questo
senso, ma allo stesso tempo sono altrettanto innumerevoli i criteri, mutuati da
insegnamenti espliciti del fondatore, che spingevano a vivere un distacco
severo e innaturale che difficilmente si coniuga con una vocazione di cristiani
normali in mezzo al mondo: “Los numerarios y, según sus circustancias, los
agregados no llaman por conferencia para felicitar por el santo de la madre o
del Padre, o por acontecimientos
semejantes: para evitar ese gasto, procuran escribirles con antelación
suficiente” (Glosas sobre la obra de San
Miguel, pag. 49). “De
ordinario, los numerarios no abandonan sus tareas apostólicas o su lugar de
trabajo - sobre todo si el lugar es lejano - , para participar en determinados
acontecimientos o sucesos familiares - el matrimonio de un pariente, una
primera Misa, etc. -, que ocasionan gastos de tiempo y de dinero que un Padre de familia numerosa y pobre no se
puede permitir” (Glosas sobre la obra de
San Miguel, pag. 79). “Como en todos hogar, en los Centros se colocan
fotografías de familia: de nuestro Padre
y del Padre, de los Abuelos y de Tía
Carmen” (Vademécum de las sedes de los
centros, pag. 17 e 18). “Si, excepcionalmente, después de ponderarlo con
detenimiento, se ve preciso realizar un viaje para atender en una necesidad a
alguna persona de la familia - estaría fuera de lugar, de modo particular si se
vive en otro país, que la finalidad del viaje fuera sólo ir a visitarles -, se
concreta el plan - reduciendo al tiempo estrictamente necesario la estancia en
el lugar de destino -, y se informa a
Allo stesso modo il buono spirito portava a
dichiarare la libertá di ogni membro per confessarsi con chi volesse, secondo
la prudente dottrina della Chiesa, ma a comportarsi poi con criteri del tutto
opposti: “...los miembros del Opus Dei, si de verdad quieren ser fieles, no
siguen a un extraño, sino que huyen de él, porque no conocen la voz de los
extraños (Ioann. X, 5). ¿Y no podrían
ir otros a buscar las ovejas, y apacentarlas bien, y volverlas al redil? ¡No!
El Señor nos lo dice terminantemente: alienum
autem non sequuntur (Ioann. X,
5), las ovejas no siguen al extraño” (De
nuestro Padre, Carta
28-III-1955).
Osservazioni analoghe si possono fare rispetto ai voti, al testamento richiesto ai soci alla vigilia della propria incorporazione definitiva e al rilievo pubblico da dare alla propria appartenenza all’istituzione. Ulteriori particolari nel sito web www.opuslibros.org, sotto “Tus escritos”, con una serie di articoli dal titolo La doble doctrina del Opus Dei, pubblicati in data 3.3.2005.
[38] “El espíritu y la praxi ascética propia del Opus
Dei tienen caracteres específicos, perfectamente determinados, para alcanzar su
fin. Este espíritu y esta ascética difieren completamente del espíritu y de las
formas de la vida consagrada” (De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 1).
[39] “Los numerarios y agregados - desde la admisión -
asumen libremente la obligación de destinar todos los frutos del proprio trabajo
profesional a cubrir sus gastos personales y sostener las necesitades de las
labores apostólicas de
[40] “Para vivir con mayor delicadeza el desasimiento
de los bienes materiales, los numerarios y agregados no llevan consigo ni
tienen la posibilidad de disponer directamente de cantidades elevadas de
dinero.
[41] “En los Centros en los que viven los numerarios
se lleva, por tanto, una sencilla contabilidad, como en cualquier familia,
especialmente si es numerosa. Entre los ingresos, figuran los obtenidos por los Numerarios (trabajo,
familia, becas, etc.), y lo que entregan por la estancia los transeúntes que
pasan más de un día completo en la casa y no son Delegados del Padre, Directores Centrales o
Regionales, ni personas que les acompañen. Entre los gastos, se anotan los
personales y aquellos otros a los que hacen frente los interesados, en concepto
de alojamiento y comida » (Vademecum
de las sedes de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 46-47).
[42] “Consultare” qualcosa con la propria direttrice è un modo di dire - ma soprattutto di agire - molto proprio della forma specifica di vivere l’obbedienza nell’Opus Dei. Una numeraria, per lo piú, non “chiede permessi” perché secondo il buono spirito dell’Opera l’obbedienza, per essere vissuta con spirito secolare e laicale, non porta ad eseguire indicazioni date dall’esterno da qualcun altro, ma a fare propri indicazioni e criteri dello spirito dell’Opus Dei e ad attuarli poi come se fossero nati del tutto autonomamente nel singolo. Quando la formazione interiore giá acquisita, o la novità della situazione, non sono sufficienti ad indicare con prontezza qual è il comportamento corretto da seguire secondo il buono spirito, ci si consulta con il proprio superiore immediato; per soddisfare, però, alla virtú dell’obbedienza secondo la spiritualità propria dell’istituzione, prima di eseguire l’atto oggetto della virtú si deve passare attraverso un’appropriazione personale del criterio per poterlo poi eseguire, come farebbe qualunque laico, in prima persona come se non ci fosse stato bisogno di ricevere un’indicazione esterna. In ogni caso, di fronte a qualche conflitto interiore tra quanto viene indicato e il proprio criterio personale, quello che deve prevalere è lo spirito di obbedienza, perché “…in un’opera di Dio, lo spirito dev’essere obbedire o andarsene” (Cammino, 941).
[43] “Una manifestación práctica de la pobreza es
sacar a las cosas todo su rendimiento: muchas veces - como suele suceder en
cualquier famiglia - los más jovenes usan trajes, abrigos, o prendas, que están
en buen estado, después de haberlos utilizado otra persona mayor. Antes de
hacer nuevas compras, se mira qué prendas hay en la casa, por si alguna pudiera
servir para quien las necesite. Como suele hecerse en todas las familias,
cuando un numerario o agregado tiene que comprar ropa, calzado, etc., le acompaña
otro, que pueda aconsejarle prudentemente, aunque sea el interesado quien
elija, siempre de acuerdo con las exigencias del espíritu de pobreza y del buen
gusto” (Glosas sobre la obra de San
Miguel, Roma, 29-IX-87, II. Ambiente
de los Centros).
[44] “Hace falta permiso de
[45] “Los miembros de
[46] Attualmente questo criterio è cambiato e da alcuni anni le numerarie possono, se lo desiderano, utilizzare questo capo d’abbigliamento.
[47] “...Cierto tipo de revistas, por su contenido o,
simplemente, por sus portadas o su información gráfica, no pueden aparecer en
las salas de estar, o salitas de recibir, de los Centros, porque desdicen de un
ambiente cristiano… Por esto, un miembro del Consejo local se ocupa de revisar
las revistas que llegan al Centro -antes de dejarlas en esos lugares de uso
común” (Vademecum de las sedes de los
Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 15).
[48] “Obbedire… cammino sicuro. Obbedire ciecamente al superiore…, cammino di santitá. Obbedire nel tuo apostolato…, l’unico cammino: perché, in un’opera di Dio, lo spirito dev’essere obbedire o andarsene” (Cammino, 941)
“Sea nuestra obediencia, en la vida espiritual y
en el apostolado, como la obediencia de Cristo,
que se hizo obediente “hasta la muerte, y muerte de cruz (Phil., II, 8)”
(De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 31).
[49] “Los Directores cuentan con esta disposición
nuestra y ordinariamente no nos dirán,
no nos concretarán el mandato hasta el último detalle. Nos señalarán lo que hay
que hacer, y entonces cada uno, poniendo la cabeza y el corazón, y consultando
cuando sea necesario, saca adelante lo que le han encomendado (De nuestro Padre, Crónica XII-66, pag. 12)” (Meditaciones, Tomo IV, Viernes de
[50] “El juicio crítico está tan lejos de la
obediencia rendida, como de la obediencia inteligente, porque olvida uno de los
datos, el más importante: el motivo sobrenatural.… Espiritu critico es sinónimo
de espiritu encogido, encarcelado, sin optimismo humano ni fe sobrenatural. La
persona con espíritu crítico hace pasar todo por el tamiz de su punto de vista
estrecho y parcial” (Meditaciones, Tomo IV, Viernes de
[51] “Se suele retrasar algo la hora de levantarse los
domingos y días de fiesta, sobre todo cuando en los días laborables es muy
temprana, aunque, en general, la diferencia de horario no es grande” (Glosas sobre la obra de San Miguel,
Roma, 29-IX-87, II. Ambiente de los
Centros).
[52] “Los fieles del Opus Dei deben cultivar
intensamente un ascetismo lleno de fortaleza. Este ascetismo se apoya en la
humildad - que todos manifiestan desde el primer instante del día, con la
frente en el suelo, diciendo ‘serviam’ “
(De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 13).
[53] “Para conseguir un trato más intimo con Dios,
hemos de guardar silencio durante el tiempo de la noche y durante el tiempo de
trabajo de la tarde: el primero dura desde el examen de la noche hasta el final
de
[54] Oltre ai volumi di Meditaciones, esistono tutta una serie libri ad uso interno dei soci dell’Opera che raccolgono gli insegnamenti del fondatore - riportati testualmente o commentati -, i criteri del buono spirito, argomenti dottrinali e ascetici, eccetera. Sarebbe molto ampio e complesso descrivere esaurientemente tutta questa bibliografia, ed esula anche dagli obiettivi di questo studio. Con riferimento alla vita quotidiana, basti sapere che periodicamente arrivano ai centri, pubblicati dall’imprenta - un complesso di attività sia redazionali che tipografiche svolte presso la sede centrale femminile dell’Opus Dei a Roma, a Villa Sacchetti - delle pubblicazioni periodiche, diverse per la sezione maschile e per quella femminile dell’Opus Dei. Nel caso della sezione femminile, il periodico mensile porta il nome di Noticias.
“Las rivistas dirigidas a los fieles de
[55] “En la medida de lo posible, en los Centros donde
viven sólo Numerarios, el sacerdote dirige al menos una meditación a la
semana... Además, se procura que, en los Centros de numerarios y agregados, el
sacerdote dirija la meditación en las fiestas litúrgicas principales y en las
fiestas de
[56] “En cualquier caso, los sacerdotes están un rato
en el confesionario antes de celebrar
[57] “Hay que procurar que haya Misa diariamente en
cada Centro, celebrada por un sacerdote de
[58] “...Donde hay un número suficiente de fieles de
[59]
“Leggevamo - tu e io - la vita eroicamente “ordinaria” di quell’uomo di Dio. E
lo vedemmo lottare, per mesi e anni (che “contabilità” quella del suo esame
particolare!), all’ora della colazione: oggi vinceva, domani era vinto…
Annotava: «Non ho preso burro…, ho preso burro!». Magari vivessimo anche noi -
tu e io - la nostra… “tragedia”
del burro!” (Cammino, 205).
[60] “La preocupación de los miembros del Consejo
local por el cuidado de la casa, les
lleva a estar siempre pendientes de los detalles materiales, y a procurar que
las demás personas del Centro ejerciten también su sentido de responsabilidad
mediante encargos concretos” (Vademecum
de las sede de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 8).
[61] “Para mortificar y someter el cuerpo, los
numerarios y los agregados del Opus Dei, de acuerdo con quien dirige su alma,
practicarán fielmente la piadosa costumbre de llevar cada día, al menos por dos
horas, un pequeño cilicio; además, una vez a la semana, usarán las disciplinas
y dormirán en el suelo, siempre que no haya peligro para la salud” (De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 125).
[62] Per
quello che si riferisce a questa consuetudine, v. infra.
[63] “Las tertulias son una necesidad de la vida en
familia, un gran medio para mejorar la formación y una oportunidad de
manifestar prácticamente la entrega a los demás en multitud de pequeños
detalles... El Consejo local cuida de que las tertulias mantengan siempre el
tono sobrenatural y humano proprio de
[64] “Pitar” - fischiare - è la parola che viene
usata nel linguaggio interno dell’Opus Dei per indicare che una persona ha
chiesto l’ammissione all’Opera, con allusione al fischio che la locomotiva del
treno emetteva, in passato, per segnalarne la partenza. Parlerò in seguito
delle varie incorporazioni che portano all’inserimento definitivo
nell’istituzione. Per il momento voglio solo accennare al momento iniziale
della vocazione. Il “pitaggio” è preceduto dal lavoro proselitistico che provoca
la “crisi” (= ricerca) vocazionale, attraverso un piano inclinato che, se tutto va bene, continuerà successivamente
in maniera graduale con la formazione data alle vocazioni recenti. Questo piano
inclinato porta a risvegliare nell’animo delle ragazze, ritenute idonee a
diventare a loro volta numerarie (o, a seconda dei casi, numerarie ausiliari,
aggregate o soprannumerarie), inquietudini spirituali, spingendole a iniziare
ed approfondire un cammino di intensa vita di pietà, formazione dottrinale e inquietudini
altruistiche non solo riguardo ai bisogni materiali, ma soprattutto verso i
bisogni spirituali del loro prossimo. Una volta provocata la crisi vocazionale,
si segue con assiduità la candidata alla vocazione fino a quando, in alcuni
casi, si ottiene che questa acconsenta a chiedere l’ammissione all’Opera. Tale
richiesta viene fatta per mezzo di una lettera nella quale si manifesta
chiaramente al prelato (o al consigliere regionale, nel caso delle
soprannumerarie) la propria volontà di essere ammessa nell’Opus Dei come
numeraria (o altro, a secondo dei casi). Quando si giudicava opportuno, si
organizzavano delle brevi convivenze con l’obiettivo di dare la spinta finale a
qualche pitabile ancora indecisa,
mediante una vita di famiglia piú intensa e affettuosa, il racconto, appunto,
della vocazione di altre numerarie, o di episodi commoventi della storia
dell’Opera, ma soprattutto mediante un rapporto personale particolarmente
intenso con le numerarie (quasi sempre una piú vicina per età e circostanze
alla pitabile e un’altra piú grande e
autorevole) che la seguivano apostolicamente. Fino all’erezione dell’Opus Dei
in Prelatura personale, nel 1982, l’età minima
per poter chiedere l’ammissione era di quattordici anni e mezzo. Dopo
l’erezione a Prelatura tale limite di età venne innalzato: “La edad mínima para
incorporarse a
[65] “Para hacer referencia a las pocas Normas y
Costumbres que cumplen juntos los miembros de
[66] Las reuniones en familia de los fieles varones se
concluyen con la jaculatoria: Sancta
Maria, Spes nostra, Sedes Sapientiae, ora pro nobis; y las de las mujeres
de
[67] Cf nota 53.
[68] “El diario se redacta en un estilo sencillo,
familiar, sin pretensiones literarias, pero sin abusar de vulgarismos o de frases
hechas, ininteligibles a la vuelta de poco tiempo. La extensión es
variable: unos días bastan tres o cuatro líneas; otros, en cambio, se escriben
algunas páginas. Los temas brotan espontáneamente de la preocupación
apostólica, de la visión sobrenatural, de la ilusión y del cariño humanos que
caracterizan el ambiente del Centro: pequeños detalles de la vida en familia;
anécdotas del apostolado; hechos edificantes narrados con naturalidad; etc.
Aunque el espíritu de alegría y de optimismo lleva a no transformar el diario
en un paño de lágrimas, se anotan
también, si ocurren, algunos hechos o circunstancias que, de no relatarse
darían una visión deformada, irreal de la vida de ese Centro… El Director
revisa con frecuencia el diario, tanto para subsanar posibles olvidos, como
para hacer las correcciones oportunas” (Vademecum
de las sedes de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 32-33).
[69] “...De ordinario, apenas queda tiempo para ver la
televisión... Es frecuente, en bastante países, que la televisión, como otros
medios informativos, difunda doctrinas filomarxistas, materialistas o
laicistas, en el modo de dar y comentar las noticias, en reportajes de tipo
cultural o religioso, etc.: a veces, de un modo solapado, particularmente
insidioso. Además, es cada vez más agresiva la inmoralidad de muchas emisiones
televisivas: en ocasiones, abiertamente pornográficas, o, al menos, de una
sensualidad o frivolidad incompatibles con el tono de una familia cristiana” (Glosas sobre la obra de San Miguel,
Roma, 29-IX-87, II. Ambiente de los
Centros).
[70] “Concretamente, puede suceder que, aun habiéndolo
seleccionado con atención, se comience a ver un programa que - en contra de lo
que se había previsto - resulte deformador o desentone con el ambiente de una
familia cristiana: entonces, con naturalidad, pero inmediatamente, se apaga el
televisor. Almenos en los Centros de Estudios y en los Centros de gente joven,
está siempre presente algún miembro del Consejo local cuando se ve la televisión,
para enseñar de modo práctico estos criterios prudenciales” (Glosas sobre la obra de San Miguel,
Roma, 29-IX-87, II. Ambiente de los
Centros).
[71] “Cada día, antes de acostarse, los fieles del
Opus Dei rezan devotamente - de rodillas y, si es posible, con los brazos en
cruz -, tres Avemarías, llamadas de
[72] “Tengan todos en su habitación agua bendita, con
la que rociarán su cama, antes de acostarse, y con los dedos mojados se signarán
también con la señal de
[73] “La charla, en frase de nuestro Fundador, es el medio de santificación más soberano que tenemos en el Opus Dei” (Vademecum de los Consejos locales, Roma, 19-III-1987, cap. II, pag. 67).
[74] In una guida per lezioni di formazioni che utilizzavamo nel periodo 1971-1988, venivano esaurientemente analizzati i punti che, nell’arco di un certo lasso di tempo, dovevano essere fatti oggetto del colloquio, alcuni con maggiore, altri con minore frequenza: “Quanto concerne la fede, la purezza e la vocazione. Compimento delle norme, specialmente la santa messa, l’orazione, la mortificazione e gli esami di coscienza. Spirito di filiazione, di fraternità e di proselitismo. Preoccupazioni, tristezze, allegrie. Amore alla Chiesa e all’Opera. Preghiera per il romano pontefice e per i vescovi in comunione con la sede di Roma. Umiltà. Spirito di povertà e di distacco. Lavoro. Salute e riposo”.
[75] “Esta charla es siempre una conversación privada y fraterna, de consejo y aliento espiritual
que se puede designar de modos diversos, porque no tiene una denominación
propia y exclusiva de
[76] Riguardo al sacerdote che raccoglie abitualmente
le confessioni delle numerarie, e in genere di tutti i membri dell’Opera, pur
lasciando in linea di principio e secondo quanto esplicitamente previsto dal
Codice di Diritto Canonico ad ognuno la libertà di scegliere il proprio
confessore, pure il Vademecum de los
Consejos locales esplicita: “...Es una muestra de muy buen espíritu hacerlo
- siempre que sea posible - con sacerdotes de
[77] Vari
punti di Cammino esplicitano questo
ruolo fondamentale della penitenza fisica, intesa sia come mezzo ascetico che
come collaborazione volontaria e attiva alla redenzione operata da Cristo: “Dí
al tuo corpo: preferisco avere uno schiavo che esserlo io di te” (Cammino, 214); “Se siamo generosi nella
mortificazione volontaria, Gesú ci colmerá di grazie per amare le espiazioni
che Egli ci manderà” (Cammino, 221);
“
[78] È bene comunque specificare che, parlando della “mortificazione in onore della Vergine” che si pratica collettivamente nell’Opera il sabato, si allude alla rinuncia della merenda. Questa mortificazione si insegnava spesso anche alle ragazze di san Raffaele e alle signore che partecipavano al lavoro di san Gabriele, e nella formazione data alle giovani vocazioni si teneva molto a sottolineare che non andava confusa con l’uso della disciplina.
[79] “Para fortalecer el espíritu proprio del Opus Dei
se fomenta la penitencia y la mortificación corporal, que debe buscarse, sobre
todo, en las cosas pequeñas y ordinarias y en el fiel cumplimiento del trabajo
de cada día, constante y ordenado. Sin embargo, todas las penitencias privadas
han de someterse a la autoridad y prudencia del Director, que puede y debe
moderlarlas, después de ponderar todas las circunstancias en la presencia del
Señor” (De spiritu et de piis servandis
consuetudinibus, Roma 1990, 39).
[80] “Cada uno de los fieles del Opus Dei, con
conocimiento únicamente del Director, todas las semanas en día fijo, vivirá el
llamado “día de guardia”: es decir, en esa jornadase esforzará más por
practicar con especial empeño nuestro espíritu, Normas y Costumbres; procurará
intensificar su trato habitual con Dios, dedicará más tiempo a la oración,
añadirá alguna mortificación especial y pedirá intensamente al Señor por sus
hermanos, para que les conceda un mayor amor y cuidado en su modo de practicar
el espiritu del Opus Dei” (De spiritu et
de piis servandis consuetudinibus, Roma 1990, 124).
[81] “También procuran rezar varias veces al día la
oración Memorare, aplicandola por el
fiel del Opus Dei o de
[82] Come già accennato, questa penitenza di dormire sul legno e senza cuscino è condivisa anche dalle numerarie ausiliari, dai numerari della sezione maschile e dagli aggregati di entrambe le sezioni dell’Opera. Credo che le numerarie ausiliari e i numerari, che non hanno una tavola ciascuno a disposizione, si trasferiscano di stanza nella propria notte di guardia. In alternativa, vengono anche usate delle tavole pieghevoli che è possibile utilizzare a turno sopra il materasso. C’è da dire che, anche se le numerarie vivono rispetto al riposo notturno una maggiore austerità durante la maggior parte della propria vita, probabilmente la consuetudine di dormire senza materasso una volta a settimana risulta piú dura per coloro che lo fanno solo discontinuamente, senza arrivare ad acquisirne l’abitudine come succedeva a noi.
[83] “Los numerarios y los agregados procuran hacer una excursión al mes, y dar un paseo por lo menos cada semana” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, VIII. Descanso y atención a los enfermos).
[84] La correzione fraterna deve basarsi sulla percezione che si ha dall’esterno della vita interiore delle altre, perchè non è di buono spirito fra le numerarie conoscere i contenuti della vita interiore, naturale e soprannaturale delle altre. La propria lotta ascetica, i propri desideri, preoccupazioni, timori, dispiaceri, sono oggetto di confidenza fra la persona e la propria direttrice nella confidenza, o colloquio fraterno, ed è caldamente sconsigliato di avere scambi di confidenze che esulino dall’ambito della direzione spirituale.
[85] “El ritiro mensual para los numerarios dura,
ordinariamente, desde la primera hora de la mañana hasta media tarde. Cuando,
por razones que sea, se organiza en otro momento del día, se programa con la
misma duración. Como regla general, se dan tres meditaciones y una plática - o
una charla, a cargo de un seglar, fuera del oratorio -, que toquen distintos
aspectos del tema central, o temas centrales - del retiro” (Glosas sobre la obra de San Miguel,
Roma, 29-IX-87, I. Medios de formación).
[86] Le domande vengono lette a voce alta dalla persona incaricata del turno di preghiera, tutte le altre ascoltano e riflettono in silenzio, spesso prendendo appunti sulla propria agendina.
[87] “Los cursos anuales son una ocasión de descanso
y, sobre todo, un medio de formación necesario. Por tanto, no se deja de acudir
por estar enfermo, salvo que la enfermedad sea grave. Y, si no parece posible
que alguno asista al Curso anual, se cursa la oportuna petición de dispensa a
[88] “Durante los Cursos anuales, el sacerdote dirige
la meditación todos los días” (Glosas
sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, I. Medios de formación).
[89] “Ordinariamente, los cursos de retiro para los
numerarios y para los agregados duran cinco días completos. Como ya es
constumbre, se da una meditación preparatoria la noche anterior al primer día
de retiro, y se tiene la meditación final, antes de
[90] “La romería conserva plenamente los rasgos que
han caracterizado esta devoción a lo largo de los siglos: es una visita a
“Se rezan las tres partes del Rosario: una, en el
camino de ida; otra - que suelen ser los misterios correspondientes al día de
la semana, con las letanías -, en el santuario o ante la imagen de Nuestra
Señora; y la tercera, en el camino de regreso. La romería se hace siempre en
mayo, incluso en aquellos países donde el mes dedicado a
[91] “La admisión, la oblación o la fidelidad se hacen
puntualmente, en cuanto ha transcurrido el tiempo prescrito en los Estatutos de
[92] “La persona que atienda esta conversación, se
asegura de que quien va a hacer la admisión y la oblación conoce
suficientemente los temas correspondientes al Programa de formación inicial. A
esta charla asistirá otro miembro de
- si
actúa con plena libertad: con un querer seguro, consciente y responsable;
- si
conoce todas las obligaciones que lleva consigo la admisión, la oblación o la
fidelidad;
- especialmente,
si se da perfecta cuenta de que la vocación exige una vida de trabajo continuo,
porque la espiritualidad del Opus Dei se apoya en el trabajo profesional
ejercido en medio del mundo, que es el medio específico eficaz para lograr la
santidad, haciendo un apostolado fecundo;
- si
entiende expresamente... que no somos religiosos ni podemos ser equiparados a
los religiosos desde ningún punto de vista...;
- si
es capaz de obtener, con su trabajo profesional, los medios necesarios para su
sustento y para contribuir generosamente al sostenimiento de las labores
apostólicas”.
[93] “...Los numerarios y agregados llevan siempre el
anillo de la fidelidad: es un recuerdo continuo de su compromiso de amor, y un
motivo más de presencia de Dios” (Vademecum
de los Consejos locales, Roma, 19-III-1987, cap. I, pag. 37).
[94] [I numerari e gli aggregati] “antes de hacer la
fidelidad, han de haber otorgado testamento, también con completa libertad, de
sus bienes patrimoniales presentes y futuros” (Vademecum de los Consejos locales, Roma, 19-III-1987, cap. I, pag.
32).
[95] “... Antequam... ad gradum perficiatur, designatus inscriptus... quae sequuntur promittere debet. 1° praxim correctionis fraternae...; 2° munera instituti... neque... ambire; 3° spiritum primaevae paupertatis fideliter... conservare, et nullo modo permittere... ut huius nostrae rigidae paupertatis praxi derogetur...” (Constitutiones..., cit., p. I, cap. II).
[96] In Spagna e nei paesi dell’orbita spagnola questa consuetudine viene vissuta il 6 gennaio, dato che sono i Re Magi a portare i tradizionali doni.
[97] “Somos una familia, y es lógico cuidar los
detalles de la vida de hogar; por ejemplo, celebrar con un pequeño agasajo el
santo o cumpleaños. Pero somos una familia numerosa y pobre: se festeja
solamente una de esas dos fiestas” (Glosas
sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, II. Ambiente de los Centros).
[98] “Cuando un numerario o agregado cumple los 40
años, el Consejo local del Centro donde vive o al que esté adscrito, se ocupa
de celebrarlo de modo prudentemente extraordinario” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, II. Ambiente de los Centros).
[99] “En los Centros hay un pequeño botiquín, con las
medicinas de uso más corriente y las necesarias en caso de urgencia, y el
material indispensable para la atención de los enfermos (…) El material de
botiquín se cuida con esmero, y -excepto las medicinas e instrumentos de uso
muy corriente - está cerrado con llave, que se guarda en el despacho del
Director “ (Vademecum de las sedes
de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 15-17).
[100] “...Para ahorrar tiempo y dinero, suele haber en
los Centros donde los numerarios viven en familia, en un lugar apropiado,
algunos objetos de uso más general: productos para el aseo personal, papel y
sellos, etc. Por un motivo de orden y de
pobreza, para que todos sepan lo que cuestan las cosas, se paga lo que se
utiliza, adoptando el sistema que se vea más acertado en cada sitio: por
ejemplo, anotándolo en un cuaderno, haciendo unos vales o, sencillamente,
abonándolo en metalico. En todo caso, cada uno apunta en su cuenta personal el
importe de los gastos ordinarios” (Vademecum
de las sedes de los Centros, Roma, 6-XII-87, pag. 51).
[101] “Los numerarios han de recibir, desde el
principio, la formación necesaria para comprender que su dedicación al servicio
de Dios en
[102] “De ordinario, los numerarios no abandonan sus
tareas apostólicas o su lugar de trabajo - sobre todo si el lugar es lejano -,
para participar en determinados acontecimientos o sucesos familiares - el
matrimonio de un pariente, una primera Misa, etc.-, que ocasionan gastos de
tiempo y de dinero que un Padre de
familia numerosa y pobre no se puede permitir” (Glosas sobre la obra de San Miguel, Roma, 29-IX-87, VI. Relaciones con las familias).
[103] “Un modo concreto de manifestar ese cariño y de
ejercer ese apostolado es escribir con la oportuna frecuencia, especialmente a
los Padres” (Glosas sobre la obra de San
Miguel, Roma, 29-IX-87, VI. Relaciones
con las familias).
[104] “De otra parte, los numerarios y los agregados no
aceptan ser padrinos de bautizo o de
confirmación, porque contraerían unas obligaciones que no pueden comprometerse
a cumplir” (Glosas sobre la obra de San
Miguel, Roma, 29-IX-87, VI. Relaciones
con las familias).
[105] “Uno de los primeros cuidados que necesita un
enfermo es ayudarle a santificar la propia dolencia, a llevarla con sentido
sobrenatural y alegría. Para esto, si su estado lo consiente, se le acompaña
con gran afecto a cumplir algunas normas de piedad: por ejemplo, leyendole el
Evangelio o un libro espiritual, rezando con él el Rosario, etc. Para respetar
su libertad, no se le lleva
[106] “La sábana utilizada para amortajar a los
numerarios y agregados tendrá la amplitud necesaria para poder envilver el
cadáver, sin que el lienzo quede ceñido al cuerpo. Si es preciso, se emplean
dos sábanas en lugar de una. Se dejan sólo al descubierto el óvalo de la cara y
las manos - cruzadas sobre el pecho -, que sostendrán un crucifijo distinto del
que usaba en vida. Si solía llevar medalla escapulario, se sustituye por el
escapulario de tela. Y tanto la medalla como, en su caso, el anillo de la
fidelidad, se envían a
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