SOHM, Rudolph

Kirchenrecht

2ª. ed., Duncker und Humblot, Berlin 1923 (ristampa, 1970), 2 vol.

 

I. INTRODUZIONE

Questo manuale contiene l'esposizione storico-sistematica, elaborata tra la fine del s. XIX e gli inizi del s. XX, del pensiero del giurista luterano Rudolph Sohm, cui si deve la più radicale teorizzazione finora compiuta dell'antigiuridismo di segno spiritualistico, fondata su una interpretazione estrema di Lutero. Sohm, e concretamente questa sua opera, rappresenta un classico nell'elaborazione di quel patrimonio d’idee che, già dall'antichità e dal medioevo, costituiscono la negazione spiritualistica dell'esistenza di un diritto autenticamente ecclesiale.

Non ci siamo interessati tanto alle sue vedute storiche sull'evoluzione delle istituzioni ecclesiastiche, bensì a quelle immediatamente concernenti le sue premesse dottrinali, le quali del resto condizionano assai da vicino le sue ricostruzioni storiche. Perciò parleremmo delle parti più immediatamente concernenti i fondamenti dottrinali, senza entrare nei particolari di ricostruzione storica, con tutta la sua teoria circa la Chiesa primitiva e il successivo sviluppo del cattolicesimo, cioè la divisione tra un veterocattolicesimo ed un neocattolicesimo. Nell'ambito dello stesso protestantesimo, già Adolf Harnack (Entstehung und Entwickelung der Kirchenverfassung und des Kirchenrechts in den zwei ersten Jahrhunderten. Urchristentum und Katholizismus, Hinrichs, Leipzig 1910; ristampa, Darmstadt 1978) aveva confutato all'inizio del secolo l'immagine puramente carismatica della Chiesa primitiva tracciata da Sohm. Del resto, ci sembra che Sohm abbia molto più interesse quale teorico dell'antigiuridismo che quale storico del diritto della Chiesa, giacché egli imposta le sue esposizioni dei fatti quale dimostrazione della sua tesi di fondo.

 

II. CONTENUTO

Quando Sohm, quale voce estrema e generalmente non gradita nell'ambito stesso del luteranesimo (il quale ha poi dovuto affrontare il diritto anche nella prospettiva di una sua necessità pratica), elabora, con grande coerenza e profondità, una teoria secondo cui per Lutero vi sarebbe un'antitesi radicale tra diritto e Chiesa, esprime una convinzione profonda che, indipendentemente dalla giustezza o meno della sua formulazione radicale, appartiene al nucleo stesso della Riforma protestante. Abitualmente si cita la sua frase negativa: “Il diritto della Chiesa è in contraddizione con l'essenza della Chiesa ”, ma forse è ancor più significativo il legame che egli stabilisce tra Chiesa cattolica e diritto canonico: “tutta l'essenza del cattolicesimo poggia sull'affermazione dell'ordine giuridico come necessario per la Chiesa (e cioè come necessario per la stessa essenza spirituale)” (vol. I, pp. 1-2). I termini dell'opposizione Chiesa-diritto sono così sintetizzati da lui: “La Chiesa dipende dalla verità oggettiva, cioè dal fatto che in verità la Parola di Dio e la Volontà di Dio siano annunciate, offerte al mondo e rese efficaci. Al contrario, il diritto dipende fondamentalmente dalla forma (summum jus summa injuria), e deve dipendere primariamente da essa, giacché soltanto così è in grado di essere una decisione che è al di sopra delle parti, s'impone come giusta a tutte e due le parti nonostante gli interessi contrapposti, e deriva non da influssi del momento ma da principi immutabili, tradizionali, validi per tutti. Ne consegue che benché il concetto di diritto non esiga la forza, esso però tende alla realizzazione forzata, mentre l'essenza della Chiesa aborrisce la forza, poiché unicamente la libera ricezione del divino ha valore spirituale” (vol. I., pp. 1-2).

In seguito, cercheremmo di esporre la sostanza delle sue idee, senza seguire l'ordine espositivo del libro, e piuttosto astraendo ciò che, nel suo pensiero, può ritenersi il nucleo comune dell'antigiuridismo spiritualistico. Un'analisi più dettagliata e specifica del pensiero di Sohm richiederebbe uno studio più completo, in cui fosse anche tenuta presente la dimensione propriamente storica del problema. Esiste peraltro un'abbondante bibliografia critica su Sohm, citata ad es. nell'art. di Y.M.—J. Congar, R. Sohm nous interroge encore, in Revue des sciences philosophiques et théologiques, 57 (1973), pp. 263-294.

I. Esposizione sintetica dell'antigiuridismo spiritualistico

a) La contrapposizione tra la Chiesa invisibile e quella visibile

Il punctum dolens veramente essenziale concerne i rapporti tra la dimensione visibile e quella invisibile della Chiesa. Per Sohm vi sono due Chiese più o meno distinte e contrapposte: la Chiesa visibile e la Chiesa invisibile. Ovviamente egli afferma l'assoluta priorità della Chiesa invisibile o spirituale, carismatica, della carità, rispetto a quella visibile, istituzionale, del diritto, volendo ripristinare, contro ciò che sarebbero abusi e deviazioni, il vero volto della Chiesa di Cristo, sfigurato dalla presenza dell'elemento giuridico, giudicato (almeno nelle sue espressioni cattoliche) anticristiano ed antiecclesiale. L'oggetto del rifiuto è dunque la Chiesa visibile giuridica, in quanto colpevole di tradimento rispetto alla genuina comunità cristiana delle origini, vista quale attualizzazione puramente carismatica delle parole di Gesù: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20).

La stessa prospettiva può essere formulata in termini di contrapposizione tra ciò che è divino e ciò che è umano. Nel 1520, nel suo celebre appello ai nobili tedeschi affinché assumessero la difesa della vera Chiesa contro il potere del Papa, Lutero scriveva: “lo stato cristiano non potrà veramente mantenersi a meno che le leggi di Roma perdano importanza o scompaiano del tutto; per il battesimo siamo diventati liberi e solamente sottomessi alla Parola divina, perché un uomo pretende di farci prigionieri della sua parola?” (An den christlichen Adel deutscher Nation, 1520, WA 6, 456). Parola di Dio e parola dell'autorità ecclesiastica vengono così contrapposte, e ciò si unisce con un'altra dialettica sempre presente in queste correnti, quella fra libertà cristiana e sottomissione ad un potere umano.

Da tali premesse segue una conseguenza pratica molto importante per comprendere la reale portata dell'antigiuridismo intraecclesiale. Se la Chiesa cattolica nella sua visibilità, che trova la sua più importante espressione nella figura del Papa, è ritenuta una struttura non adeguata alla verità della Chiesa cristiana, dinanzi ad essa vi sono due atteggiamenti possibili: o sopportarla per motivi di convenienza che però nascondono una sostanziale perdita di ogni reale connessione tra il senso della fede e le istituzioni ecclesiastiche visibili, o invece decidere, con più coerenza, di rigettarla quale peso meramente umano e privo di qualsiasi significato salvifico, anzi causa di confusioni e di contaminazioni della genuina fede e vita cristiana. Ne consegue che questa specie di antigiuridismo e la separazione dalla Chiesa del Vescovo di Roma e degli altri Vescovi in comunione con lui, sono fenomeni strettamente congiunti. La questione di fondo è sempre la stessa: dinanzi a ciò che si ritengono gli errori e la corruzione della Chiesa visibile, è giustificato o meno separarsi da essa per cercare di dar vita ad una Chiesa davvero rispondente al disegno originario?

Tuttavia, non appena si compie una scelta del genere, cercando di aprire delle vie alternative a quella del cattolicesimo, riemerge la questione relativa alla configurazione ed organizzazione esterna della nuova comunità cristiana. In primo luogo, è da precisare che l'antigiuridismo, nella misura in cui evita di ridurre il cristianesimo ad esperienza esclusivamente individuale ed interiore, ammette l'esistenza nella Chiesa di elementi visibili, ossia percettibili mediante i sensi. Tra essi vengono messi in risalto soprattutto la proclamazione della parola di Dio e la correlativa professione di fede, nonché la celebrazione del culto liturgico con l'eventuale riconoscimento di alcuni sacramenti cristiani. Ma poi di solito viene anche accettata la necessità di una distribuzione di funzioni nella comunità, per cui appaiono degli uffici e dei ministeri. Ciò, a sua volta, comporta una qualche organizzazione, anche con la possibilità di distinguere vari livelli di cui l'inferiore è subordinato al superiore. Anche altri aspetti disciplinari, in relazione al comportamento dei membri della comunità, compresa l'eventualità di una espulsione dalla comunità, tendono ad emergere inevitabilmente quali esigenze pratiche. Si costituisce in tal modo una qualche disciplina, che però sarebbe assunta dai cristiani in modo completamente libero e spontaneo, quale espressione dell'amore, e non invece quale obbligo giuridico, il che abitualmente vuol dire non come dovere derivante da un mandato coercitivo dell'autorità gerarchica. È proprio la possibilità di quest'autorità ciò che viene fondamentalmente contestato, attribuendo invece l'intera configurazione, anche visibile, della vita ecclesiale all'influsso dei carismi, ricevuti dai cristiani su un piano di totale uguaglianza tra di loro.

b) Il rifiuto della Gerarchia ecclesiastica

La questione posta da questa prima modalità di antigiuridismo riguarda anzitutto la dimensione gerarchica della Chiesa, e cioè la possibilità di una potestà giuridica in materia spirituale. Perciò, vengono contestati il sacerdozio gerarchico o ministeriale come realtà essenzialmente distinta dal sacerdozio comune battesimale, e anche l'esistenza di qualsiasi potestà sacra sia nell'ambito sacramentale che in quelli della parola e del governo ecclesiastico. Ovviamente non possono sussistere in questo contesto né l'episcopato quale vero sacramento né tanto meno il papato. Il rifiuto della successione apostolica mediante il sacramento dell'ordine, nonché del magistero ecclesiastico e soprattutto dell'infallibilità e dei dogmi, non sono altro che conseguenze necessarie di tali premesse.

La potestà sacra viene vista come un dominio ingiusto sulla libertà dei figli di Dio, ad opera di un potere meramente umano. Si tratterebbe di una sorte di “umanizzazione” o “temporalizzazione” della Chiesa, che attenterebbe contro la genuinità dell'esperienza carismatica di Dio e anche contro la necessaria separazione tra la Chiesa e il mondo. Siffatta “mondanizzazione” della Chiesa sarebbe compiuta sul modello della potestà civile, in modo che il diritto canonico implicherebbe l'introduzione di un fenomeno di potere e di interessi alieni dalla vita veramente ecclesiale. Siccome spesso si tende ad identificare l'ambito della società civile e del potere secolare con interessi prevalentemente materiali ed economici, non di rado si associa il diritto a questi interessi. Ne deriva che il diritto canonico può essere anche collegato alla cupidigia e corruzione negli ecclesiastici, essendo visto quale mezzo per assoggettare i fratelli, anche economicamente, a fini di potere, di ambizione e di prestigio umano, quanto mai distanti dal servizio e dall'abnegazione dei veri discepoli di Cristo.

c) La contestazione della mediazione o sacramentalità della Chiesa visibile negli ambiti della parola, dei sacramenti e della disciplina ecclesiale.

Tuttavia, la negazione della Gerarchia ecclesiastica s'inserisce nell'ambito di una questione più ampia, attinente in generale al rapporto tra il visibile e l'invisibile nel Popolo di Dio. Ciò che in fin dei conti fa problema è la stessa mediazione o sacramentalità della Chiesa, il suo essere segno e strumento dell'azione salvifica di Dio in Cristo. Secondo queste posizioni, il rapporto tra l'uomo giustificato e la Trinità che ci salva non lascerebbe spazio per una vera partecipazione della Chiesa all'unica mediazione redentrice di Cristo Dio-uomo. Non è che vengano ignorati i vari aspetti della Chiesa visibile — la parola, i sacramenti, la disciplina —, ma si mette in dubbio la loro connessione intrinseca con la salvezza.

Nell'ambito della parola, il problema non concerne solamente il magistero ecclesiastico, in quanto capacità di vincolare i fedeli mediante un'interpretazione autentica del deposito della fede, ma investe più radicalmente la stessa possibilità di considerare determinate formulazioni umane — da chiunque esse procedano — come espressioni genuine, e addirittura infallibili, della parola rivelata. La parola umana, pur potendo essere certamente sorretta dai carismi, continuerebbe ad essere sempre solo parola umana, poiché una sua autenticità vincolante per la fede dei cristiani, e soprattutto una sua definitività infallibile, comporterebbe una ingiustificabile manipolazione della stessa parola divina, attraverso il tentativo di mettere sullo stesso piano la sua sostanza divina e le sue interpretazioni umane. Ovviamente in un tale contesto di idee mancano i presupposti più essenziali per l'esistenza di un vero diritto canonico nell'ambito della parola di Dio. Ci potrebbe essere un determinato ordine disciplinare circa le funzioni d'insegnamento nella comunità, ma non ci potrebbero essere rapporti giuridici riguardanti direttamente il bene della verità rivelata, il quale trascenderebbe qualunque ordinamento della Chiesa visibile. L'appello contemporaneo a un diritto di libertà religiosa all'interno della Chiesa si trova in evidente sintonia con questa impostazione.

Dal momento che nei sacramenti si manifesta nel massimo grado la sacramentalità della Chiesa, rispetto ad essi emerge con particolare chiarezza l'atteggiamento d'insofferenza dinanzi alle basi sacramentali della struttura visibile della Chiesa. Di nuovo qui non è solo la Gerarchia ad essere chiamata in causa, ma si tratta di una questione più ampia e radicale. Anzitutto, la stessa appartenenza permanente alla Chiesa mediante il carattere battesimale indelebile appare incompatibile con una visione spiritualistica della Chiesa. In questo senso, la Chiesa sarebbe composta dai santi, vale a dire da coloro che sono effettivamente in grazia di Dio o che sono predestinati, il che sottolinea la sua fondamentale invisibilità. L'appartenenza ecclesiale dei battezzati peccatori sarebbe meramente apparente, e perciò ingannevole. Su queste basi è ovviamente impossibile concepire una Chiesa che abbia membri visibilmente determinati: se esiste una tale determinazione esterna, essa non avrebbe rilevanza propriamente ecclesiale, ma sarebbe una mera sovrastruttura organizzativa.

D'altra parte, pietra somma di scandalo per una mentalità spiritualistica è la dottrina cattolica sull'efficacia ex opere operato (“per il fatto stesso che l'azione viene compiuta”) dei sette sacramenti istituiti da Cristo. L'efficacia oggettiva del sacramento derivante dalla potenza di Dio, e non dalla santità del ministro o di chi lo riceve, implica una connessione visibile e concreta tra il segno sacramentale e i suoi effetti salvifici. L'eliminazione invece di tale connessione attribuisce gli effetti di grazia all'azione diretta di Dio nella persona, senza vera mediazione ecclesiale salvifica. I sacramenti vengono ridotti a meri simboli che dichiarano o stimolano la fede. Ne deriva che il rapporto interpersonale tra il ministro del sacramento e colui che lo riceve risulta privo di un'oggettiva rilevanza salvifica. Sono in tal modo contestate le basi essenziali di un diritto ecclesiale nell'ambito sacramentale. Si potrà ammettere una qualche rilevanza giuridica d'indole organizzativa della celebrazione cultuale e sacramentale, non però nel senso che vi sia un vero rapporto di giustizia tra persone umane rispetto al bene salvifico del sacramento in quanto tale. Diritto e sacramento sono visti come dimensioni reciprocamente estrinseche.

Da ultimo, anche in relazione alla disciplina, e concretamente all'obbligatorietà delle leggi e delle consuetudini ecclesiastiche, si pone un problema analogo. L'antigiuridismo non può ammettere che da tali fonti normative umane sorgano doveri giuridici che siano anche morali, vale a dire vincolanti per la salvezza della persona. L'obbligo in coscienza di conformare la propria vita a determinate disposizioni emanate dall'autorità ecclesiastica o dalla stessa comunità, significherebbe in qualche modo ricadere nella concezione della giustificazione mediante le opere della legge, già respinta energicamente agli inizi della Chiesa contro i giudaizzanti, soprattutto grazie a San Paolo. I precetti della Chiesa, intesi come veri precetti che condizionano la vita cristiana, contraddirebbero la dottrina paolina: “Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera” (Rom 7, 6). Al massimo tali precetti potrebbero avere delle funzioni pedagogiche nella vita ecclesiale, in quanto indicherebbero paute di comportamento che favoriscono la vita comunitaria nonché aiuterebbero i fedeli immaturi ad indirizzare la propria vita religiosa. Ma per tutti sarebbe decisiva in definitiva “la libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom 8, 21), opposta a qualunque prescrizione giuridica in materia religiosa.

Qui tocchiamo uno dei nodi più profondi dell'antigiuridismo: la pretesa impossibilità di un diritto religioso o spirituale, riguardante cioè i beni salvifici (parola, sacramenti, ecc.), in modo tale che i rapporti giuridici abbiano a che vedere intrinsecamente con quei beni. Un qualche ordine esterno concernente il modo comunitario di vivere questi beni non crea a queste correnti alcun problema. Esse però rifiutano con forza qualsiasi legame intrinseco tra quell'ordine esterno e la sfera propriamente religiosa attinente alla salvezza della persona. La mediazione della Chiesa, e le sue concrezioni in ognuno dei tre munera Ecclesiae (docendi, sanctificandi, regendi) riguardanti rispettivamente i beni salvifici della parola, dei sacramenti e della disciplina, appaiono incompatibili con l'unicità della mediazione di Cristo.

 

III. VALUTAZIONE CRITICA

a) I presupposti e le implicazioni di fondo di questa posizione

I presupposti di questa separazione tra diritto e salvezza sono molteplici. Vi è anzitutto una visione spiritualistica della Chiesa, poiché l'aspetto materiale e visibile dei beni salvifici, essenziale per la loro giuridicità, rimane in un rapporto estrinseco rispetto all'autentica Chiesa, quella spirituale. In secondo luogo, vi è nello stesso tempo un certo individualismo, nella misura in cui si accentua il rapporto di ogni individuo con il Salvatore a scapito del rapporto con la Chiesa, privo di vera efficacia salvifica. Ovviamente la dimensione comunitaria dell'esistenza cristiana continua ad essere valorizzata, ma secondo una chiave che in fondo nega la necessità della Chiesa visibile per la salvezza. In realtà, spiritualismo ed individualismo sono premesse intrinsecamente legate tra di loro, giacché la comunicazione tra gli uomini in questo mondo si compie attraverso la mediazione del corpo (basta pensare allo stesso linguaggio umano). Secondo queste posizioni, la Chiesa di Cristo non assumerebbe questa mediazione, o almeno non con l'efficacia sacramentale dell'ottica cattolica.

Torniamo così al punto di partenza: la visione dualistica della Chiesa, con ovvia prevalenza dell'aspetto spirituale. La difficoltà non riguarda il riconoscimento di un elemento divino e di un altro umano nella Chiesa; questa dualità è pacificamente ammessa. La questione invece si pone rispetto al rapporto che intercorre tra il divino e l'umano nel Popolo di Dio. L'antigiuridismo si basa su una sostanziale separazione ed incomunicazione tra i due poli (compatibile con l'esistenza di connessioni accidentali). Più precisamente, mentre si attribuisce tutta l'efficacia salvifica esclusivamente a Dio, gli aspetti umani possono tutt'al più manifestare o essere occasione dell'effusione della grazia, ma non partecipano direttamente in alcun modo nel processo della santificazione dell'uomo. Lo slancio verso una concezione trascendente, pura, autentica della Chiesa porta queste correnti a mettere in parallelo l'aspetto divino e l'aspetto umano della Chiesa. L'umano non sembra essere in grado di unirsi al divino. Il mistero della Chiesa, al cui centro c'è proprio quella compenetrazione, viene in tal modo affievolito. Vi è spesso il tentativo, consapevole o meno, di togliere alla radice lo scandalo così frequente che, partendo dalle mancanze degli uomini legati alla Chiesa, sbocca nel rifiuto della Chiesa e della stessa fede cristiana. Mediante la sua radicale interiorizzazione, la vera Chiesa diventerebbe più comprensibile ed accettabile.

Il problema mostra così a poco a poco la sua ampia e profonda portata teologica. Nella questione sull'esistenza o meno del diritto nella Chiesa, così com'è si è posta di fatto lungo la storia, è in gioco la fede della Chiesa circa se stessa. E, come succede invariabilmente, l'inadeguata comprensione di un articolo di fede investe in realtà l'intero Credo. Il dogma più immediatamente connesso con il nostro tema è quello dell'Incarnazione del Verbo. “E il Verbo se fece carne” (Gv 1, 14): in questo fondamentale passo giovanneo si enuncia il rapporto più alto e profondo che si possa concepire tra l'invisibile ed il visibile, tra il divino e l'umano. La seconda Persona della Santissima Trinità assume la natura umana, diventando veramente uno di noi. Tutta la dottrina ecclesiologica dipende da questa base cristologica: se la Chiesa è sacramento, lo è in Cristo, in quanto partecipa alla sacramentalità che spetta primordialmente all'umanità di Cristo unita alla sua divinità nella Persona del Verbo. Qualunque mediazione ecclesiale si fonda anche sul mistero della mediazione del Dio uomo. L'essere e la missione della Chiesa, Corpo di Cristo secondo la profonda intuizione divinamente ispirata di San Paolo, sono assolutamente inseparabili da quelle di Cristo, che non è solo il suo Fondatore, ma anche il suo Capo permanente. Perciò, l'antigiuridismo spiritualistico arriva a compromettere lo stesso mistero del Verbo incarnato. Ciò può avvenire in vari modi. Il più radicale è quello di negare l'umanità di Cristo, considerandolo soltanto come Dio, o vedere quella umanità come qualcosa di più o meno accidentale rispetto alla salvezza guadagnata da Lui. L'altra via consiste nello spezzare il legame essenziale tra Cristo e la Chiesa, con diverse modalità ma tutte coincidenti nel non percepire l'analogia tra l'unione ipostatica tra la natura divina e quella umana di Cristo, e la connessione profonda tra gli elementi divini e quelli umani nella Chiesa.

Evidentemente questi problemi cristologici rimandano ad altri ancora. Non è questo il momento di tentare una ricostruzione globale delle basi intellettuali dell'antigiuridismo. Ma è d'obbligo accennare ad un aspetto, che condiziona poi in modo assai diretto la questione sul diritto nella Chiesa. La sottovalutazione della rilevanza salvifica della natura umana di Cristo, in sé e nella sua virtualità ecclesiale, è legata sovente ad una visione pessimistica della natura dell'uomo in generale. Emblematica è l'idea luterana della natura intrinsecamente corrotta, e non solo ferita, dal peccato originale, e la conseguente spaccatura che viene a crearsi tra la grazia e la natura. A tal punto è grave questo punto, che subentra il pericolo di concepire la stessa grazia in modo estrinsecista rispetto all'uomo, quale mera imputazione esterna di un perdono, il quale però non modificherebbe ontologicamente la persona. Alla luce di questi presupposti è ovvio che la nozione del diritto naturale risulta molto problematica. Su di un fondamento radicalmente degradato come sarebbe quello della natura umana, non è possibile porre un diritto intrinsecamente legato all'essere dell'uomo. Il diritto della società civile tenderà ad apparire così quale ordine connesso con dei motivi d'ordine e di efficienza umana, non dissimili da quelli che abbiamo visto a proposito della disciplina ecclesiale. Tale orizzonte di idee non è certo quello idoneo per comprendere che la salvezza cristiana possa incidere sulla società civile; e vi è anche il rischio di prospettare il progetto della realizzazione utopica di un mondo cristiano, assolutamente separato dal mondo umano del peccato.

Queste tendenza certamente non hanno difficoltà ad accettare il dualismo cristiano, tra ciò che è di Dio e ciò che del Cesare (cfr. Mt 22, 21 e par.), tra un ordine spirituale della Chiesa ed un altro ordine temporale della società civile. Senonché non riescono ad armonizzarli: quello spirituale è privo di consistenza sociale visibile; quello temporale è slegato dalla salvezza, quale ordine meramente profano, estraneo alla fede cristiana (sulla visione luterana dei due regni, quello spirituale e quello temporale, cfr. E. Corecco, Ius et communio. Scritti di Diritto Canonico, a cura di G. Borgonovo e A. Cattaneo, Piemme — Facoltà di Teologia di Lugano, Casale Monferrato — Lugano 1997, vol. I, pp. 177-180, nonché tutta la sua esposizione della teologia protestante del diritto — pp. 172-193 — e bibliografia in pp. 215-216. Anche si consulterà molto utilmente l'esposizione dell'ecclesiologia dei riformatori protestanti offerta da A. Antón, El misterio de la Iglesia evolución histórica de las ideas eclesiológicas, Editorial católica — Estudio teológico de San Ildefonso, Madrid — Toledo 1986-1987, I, pp. 437-708). Possono darsi, all'interno di questa visione, molte sfumature di maggiore o minore ottimismo o pessimismo rispetto all'ordine naturale; vi è altresì spazio per connessioni accidentali, che giustifichino una certa azione dei cristiani nel mondo. Tuttavia, manca il punto di raccordo essenziale, che consentirebbe di ricuperare l'armonia perduta: la natura umana, caduta certamente, ma intrinsecamente redenta. Senza tale connessione, l'ordine della creazione e quello della redenzione non sono visti come integranti uno stesso disegno divino per l'uomo, dotato di profonda continuità ed armonia nonostante il peccato.

b) Sulla rilevanza del pensiero di Sohm

Non v'è dubbio che le vedute di Sohm sul diritto della Chiesa cattolica siano compromesse da diversi equivoci di partenza: per lui sempre il diritto possiede un'indole formale, dipendente dal potere umano, non radicato intrinsecamente nella verità oggettiva; l'affermazione della Chiesa cattolica quale unica vera Chiesa dovrebbe comportare l'intolleranza, anzi l'affermazione della condanna eterna di coloro che non appartengono alla Chiesa visibile; per non parlare poi delle sue molteplici forzature della storia della Chiesa e del diritto canonico, e di tante semplificazioni della concezione cattolica e della stessa concezione luterana. Tuttavia, egli ha saputo cogliere il nocciolo della questione e collegarla a ragion veduta con tutti gli aspetti ecclesiologici che sono alla base del diritto canonico: il potere gerarchico, l'efficacia ex opere operato dei sacramenti, la formulazione dei dogmi e l'infallibilità magisteriale, l'obbligatorietà in coscienza delle leggi della Chiesa, ecc. Malgrado i suoi molteplici limiti, Sohm resta l'interlocutore più importante in questa questione, e gli va riconosciuta la lucidità e coerenza con cui ha sviluppato l'opposizione tra la Chiesa dello Spirito e il diritto del mondo. Come succede con autori di questo tipo, con lui si esperimenta la profondità della separazione che vi è tra l'accettare e il rifiutare il diritto canonico, e si coglie la necessità di una scelta a livello di princìpi, la quale non può essere fatta che nella fede.

C.J.E. (1998)

 

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