RAHNER, Karl
Corso
fondamentale sulla fede
Ed. Paoline, Alba
1977, pp. 598.
(tit. orig.: Grundkurs
der Glaube. Einführung in den Begriff des Christentum, 1976)
1 — Cenni biografici.
Karl Rahner nasce a
Friburgo, in Brisgovia, nel 1904. Dopo gli studi teologici, compiuti tra il
1929 e il 1932 a Valkenburg (Olanda), è ordinato sacerdote nella Compagnia di
Gesù il 29 Luglio 1932. Tornato a Friburgo, s’iscrive alla facoltà di filosofia
e vi si specializza sotto la guida di M. Heidegger.
Nel 1936 si laurea in
teologia, conseguendo nel 1937 anche l'abilitazione all'insegnamento
universitario. Impedito dai nazisti di esercitare durante la guerra la sua
attività didattica, collabora all'istituto pastorale di Vienna e presta cura
d'anime in Baviera. È di questo periodo una serie di corsi sul tema:
l'antropologia considerata come punto di partenza della teologia. L'argomento
era stato da Rahner già affrontato e svolto in Hörer des Wortes (1941; tr. it.:
Uditori della parola, Borla, Torino 1967), la sua massima opera filosofica, già
compiuta nel 1937.
Ordinario di Dogmatica
a Innsbruck dal 1949, succede nel 1964 a Romano Guardini nella cattedra di
dogmatica e filosofia della religione a Monaco, passando nel 1967 a Münster
quale ordinario di dogmatica e storia del dogma. Al tempo del Concilio Vaticano
II viene nominato da Giovanni XXIII tra i periti conciliari. Precedentemente
Rahner si era posto in contrasto con taluni ambienti ecclesiastici che alla
vigilia del Concilio gli avevano proibito di scrivere. Paolo VI lo nominò
membro della Commissione Teologica Internazionale, incarico che svolse fino al
1972.
Ritiratosi
dall'insegnamento nel 1971, rimase come professore onorario alla scuola
superiore di filosofia di Monaco. Nel periodo tra il 1966 ed il 1976,
"l'attività di Rahner fu caratterizzata da un impegno indefesso a favore
della diffusione dei princìpi del Concilio e della particolare attenzione con
cui egli seguì i nuovi movimenti postconciliari, impegnati nella problematica
della secolarizzazione e nel 'dialogo' con l'ateismo e con il marxismo"[1]. È questo il periodo in cui il teologo
tedesco viene ritenuto "la più forte potenza teologica del momento"[2]. Continuerà ad essere punto di
riferimento della teologia cattolica postconciliare anche dopo la sua morte,
avvenuta a Monaco nel 1984[3].
2 — Considerazioni previe sull'opera.
Corso fondamentale
sulla fede è una delle opere della maturità di K. Rahner. Esso vede la luce nel
1976, in Germania, dopo una lunga serie di opuscoli, saggi ed altre opere che
avevano fatto la fama del teologo di Friburgo.
Le attese da parte del
pubblico erano tali che, ancor prima della commercializzazione dell'opera, la
Herder aveva ricevuto 10.000 prenotazioni. Il numero di copie vendute raggiunse
in quattro mesi le 30.000 unità.
In Corso fondamentale
sulla fede Rahner sintetizza e rivisita le idee di fondo di altri suoi lavori:
in concreto i fondamenti filosofici di Gest in Welt[4] e le idee che era andato divulgando
nei suoi saggi di teologia[5]. Pertanto il presente volume ha uno scopo
più pastorale che teologico propriamente inteso. Esso vuole essere un modo di
presentare gli esiti, i risvolti pratici, di una visione "rinnovata"
del cristianesimo per un cristiano moderno, tenendo conto dei presupposti che
stanno nei lunghi anni di studio di R. In ogni modo, quella che è ritenuta la
"somma teologica" di Rahner è il suo lessico teologico Sacramentum
mundi (Morcelliana, Brescia 1974-1977, in 8 voll.); Corso fondamentale sulla
fede ne è — possiamo dirlo adesso — come una insufficiente sintesi.
Fattore importante da
tener presente per inquadrare bene l'opera, è —oltre la fama mondiale di cui
godeva all'epoca l'autore— il periodo critico, per la Chiesa e la teologia,
durante il quale il saggio fa la sua comparsa. La sua larga diffusione lascia
intendere chiaramente il desiderio di ricerca di "nuovi" fondamenti
teologici, in base ai quali 'impostare' nuovamente il cristianesimo in crisi.
3 — Schema del Corso fondamentale sulla fede.
Il tomo è suddiviso in
nove sezioni che iniziano dalla considerazione che l'uomo è "l'uditore del
messaggio" (sez. I) e "l'essere della trascendenza" (p. 54).
Nelle osservazioni preliminari a questa prima sezione, R. aveva richiamato i
principi base di tutto il suo pensare teologico: il soggetto che coglie se
stesso nella conoscenza (p. 36), l'apriorità dell'"apertura radicale a
Dio" (p. 36), l'esperienza trascendentale (p. 40) e la conoscenza
atematica di Dio (p. 41).
Come si può ben
intendere essi sono principi ereditati dall'idealismo tedesco (per quanto
riguarda l'impostazione gnoseologica) e dalla filosofia heideggeriana (per ciò
che riguarda i temi di antropologia filosofica). Essi orienteranno tutto il
contenuto dell'opera. Diciamo subito che l'impiego di questi termini, a guisa
di introduzione, risparmia al teologo tedesco la fatica di dilungarsi sulla
loro fondamentazione. Allo stesso tempo però, vista la loro importanza fondante
nel pensiero di Rahner, le poche linee che vogliono spiegarli risultano
eccessivamente sintetiche. In altri termini, se non si conosce il significato
che Rahner aveva dato a questi concetti nelle sue precedenti opere, non si
riesce a penetrare davvero sul senso di tutto il Corso fondamentale sulla fede.
Riprendendo il filo
conduttore dell'opera, nel pervenire al mistero assoluto di Dio (sez. II)
l'uomo si riconosce come l'"essere radicalmente minacciato dalla
colpa" (sez. III). È così che egli perviene alla conoscenza di Dio più
completa, ossia come autocomunicazione assoluta, libera e perdonante (sez. IV).
Arrivato a questo
punto l'autore affronta il problema storico dell'intrecciarsi di storia della
salvezza e storia della Rivelazione (sez. V), per poi introdurci al vertice di
tutta la Rivelazione: Gesù Cristo (sez. VI).
In questa sezione,
centrale per tutta l'opera, Rahner affronta vari argomenti. Dapprima introduce
ad una antropologia che veda la situazione dell'uomo nel cosmo (p. 237-261) e
quindi situa la cristologia in questa ottica evolutiva della storia e del
mondo. Poi parla del rapporto tra l'uomo e Cristo come rapporto di fede e
profila così una sua cristologia trascendentale (p. 271-277). Tratta di seguito
il problema dell'"Incarnazione di Dio", dell'esistenza del Gesù
storico, del suo rapporto con la propria vita e la propria morte, dei miracoli,
della Risurrezione e dell'esperienza che di essa avranno fatto i suoi
discepoli.
Parlando dei limiti
della cristologia classica, Rahner a questo punto illustra i principi e i
vantaggi di una cristologia dal basso (p. 383-389) che conglobi in sé i dogmi
di una fede ortodossa. La sezione si chiude su alcune considerazioni sulla
relazione personale del cristiano con Gesù Cristo (p. 393-399) e la lettura
dell'evento cristologico nelle religioni non cristiane (p. 400-412).
Le ultime tre sezioni
—di contenuto poco originale— vertono sui temi dell'Ecclesiologia (la Chiesa
dalla sua fondazione, l'autorità nella Chiesa, etc.) ed il rapporto
Chiesa-Scrittura (sez. VII); le caratteristiche generali della vita cristiana
ed i Sacramenti (sez. VIII); l'Escatologia (sez. IX).
4 — Esposizione e analisi critica di alcuni capisaldi del pensiero
rahneriano in Corso fondamentale sulla fede.
4.1 — L'approccio
filosofico.
È stato scritto, a
ragione, che Rahner è uno dei primi teologi del nostro secolo che si pone
seriamente il problema di ridare alla teologia un saldo supporto filosofico.
Pertanto, nel tentativo di rendere "comprensibile" ed attuale il
discorso teologico, egli muove la sua analisi in un contesto molto attento alle
istanze filosofiche contemporanee, divenute di non facile approccio per la
scienza teologica. Tali istanze, infatti, sono state, nel nostro secolo,
specialmente alimentate da scienze umane estremamente diverse tra loro come la
sociologia, l'antropologia, la psicologia etc.:
"Tutto ciò mostra
quanto sia difficile creare una teologia scientifica. Essa è diventata da parte
sua un coacervo enorme di singole scienze; deve necessariamente tenere i
contatti con innumerevoli filosofie per essere scientifica in questo senso
immediato; inoltre deve avere legami anche con le scienze che non si lasciano
più interpretare filosoficamente". (p. 25)
In ogni modo Rahner è
deciso sostenitore della nativa unità tra filosofia e teologia:
"Tale unità
originaria infatti esiste già nella vita concreta del cristiano. Questi è un
cristiano credente ed è nel contempo —e precisamente come esigenza della sua
fede— un uomo che riflette sul complesso della sua esistenza". (p. 28)
Il problema sorge nel
nostro autore quando i presupposti filosofici presi in prestito
dall'ermeneutica contemporanea, non rispettano lo statuto epistemologico del
dato della Rivelazione. In altri termini nel connubio filosofia/teologia Rahner
usa degli strumenti filosofici che mal si adattano, per cui, adducendo la
ragione che il linguaggio di rivelazione è divenuto incomprensibile a molti
contemporanei, egli cerca di accomodare il messaggio cristiano all'orizzonte di
comprensione dell'uomo. Così facendo però egli ne evacua il contenuto originale[6]. Si attua così, in una tale forma di
pensiero, quella "riduzione antropologica" più evidente quando
Rahner, trattando dell'uomo di fronte al mistero assoluto (sez II), afferma che
"qui teologia e antropologia diventano necessariamente una cosa sola"
(p. 71).
Fattosi difficile un
discorso su Dio, dato il contesto ostile al pensiero metafisico —contesto in
cui si muove Rahner e tutta la teologia della seconda metà del secolo XX— al
nostro autore pare risolutivo volgere lo sguardo all'uomo. È in questa
creatura, infatti, che troviamo un'apertura atematica, una tensione al
trascendente che è la via da percorrere per reimpostare una significativa
teologia, un'antropologia ed anche, come vedremo, una densa cristologia:
"Questa
con-conoscenza del soggetto conoscente, con-conoscenza soggettiva, atematica,
presente in ogni atto di conoscenza spirituale, necessaria ed ineliminabile,
nonché la sua apertura alla sterminata ampiezza di tutta la realtà possibile,
viene da noi denominata esperienza trascendentale" (p. 40).
L'esperienza
trascendentale è un punto chiave del discorso di Rahner. Essa consiste in
questo autotrascendimento di cui è capace l'uomo e che fa parte della struttura
necessaria ed ineluttabile del soggetto conoscente[7].
"Questa apertura
al mistero non è per K. Rahner solo uno spazio aperto che suscita la tensione
dell'uomo il quale però resta confinato nei limiti categoriali dei suoi
pensieri e desideri. Il senso di Dio, qui, non si riduce, come in Tillich, al
significato che egli ha per noi, bensì Egli è il Trascendente che viene
desiderato per se stesso.
"Così
l'antropologia pone le premesse umane a priori, di un discorso sul trascendente
come termine delle proiezioni dell'uomo alla ricerca del suo significato, ma
non raggiungibile in sé con le sole forze umane. L'uomo trova nel più profondo
della sua umanità quella apertura che lo costituisce fondamentalmente per ciò
che egli stesso è: un essere “in attesa” del dono che Dio può fargli di
sé"[8].
Il modo in cui Rahner
giunge a questa esperienza trascendentale è attraverso l'applicazione del
metodo trascendentale —intrapreso fra gli altri da J. Maréchal, suo maestro ed
ispiratore. Un tale approccio tenta di ricostruire la metafisica accettando in
qualche modo —anche se in un contesto non esclusivamente fenomenico e riveduto,
in Rahner, alla luce della filosofia heideggeriana— il suggerimento kantiano di
partire dalle strutture conoscitive per arrivare alle verità della metafisica.
Un tale metodo, a parte ad essere insufficiente in quanto tenta di introdurre
una mediazione razionale per affermare quanto invece è immediato[9], ripropone, camuffati, parecchi elementi
dell'idealismo hegeliano e del trascendentalismo kantiano. Come ha giustamente
fatto notare Kasper: "Rahner rimane ancora impigliato, e in misura
notevole, nelle maglie della filosofia idealistica dell'identità, resta
prigioniero dell'identificazione di essere e coscienza"[10].
Partendo quindi dalla
constatazione che l'uomo si senta sempre riferito ad un mistero che lo
trascende, per cui in ogni atto categoriale di conoscenza e di libertà egli si
proietta oltre se stesso, Rahner comporrà tutta la sua antropologia teologica,
e pretenderà anche di ricavare nuove luci per approfondire il mistero di
Cristo. A tal proposito ricordiamo che il discorso rahneriano pretende di
partire, interpretandolo —discutibilmente— e facendovi costante riferimento,
dalla teoria gnoseologica di San Tommaso:
"Presupposto di
una simile "cristologia ontologica" è l'intuizione, già presente nel
tomismo classico, secondo la quale essere e coscienza sono in ultima analisi la
stessa cosa, secondo la quale l'essere è dato nel grado in cui l'ente è
"presso di sé", "ritorna" su se stesso, in tal modo è affidato
a se medesimo nella conoscenza e nella libertà e proprio così è aperto alla
totalità della realtà, è intellegens et intellectum (ens et verum convertuntur;
in tantum aliquid est ens actu, in quantum est intellegens et intellectum actu;
il grado della reditio in seipsum è identico col grado dell'esse in actu e
viceversa)" (p. 390).
In realtà per San
Tommaso essere e coscienza non sono, come sostiene Rahner, "in ultima
analisi la stessa cosa"[11]. Una tale confusione —fonte praticamente
della maggior parte delle affermazioni errate di Rahner— "è il problema
che sta alla radice del pensiero rahneriano e che riguarda una certa ipoteca
idealistica dell'identità per cui si passa indebitamente dalla sfera della
coscienza a quella dell'essere oggettivo non evidenziando le tensioni esistenti
tra coscienza ed essere per cui se l'uomo trascende con la sua coscienza il
mondo, questo però non si lascia assorbire dalla sua coscienza"[12].
4.2 — La questione
cristologica.
Rahner si è trovato di
fronte ad una situazione di fatto della teologia, ad un clima teologico, in cui
si respirava una forte antinomia Dio-uomo. Nel tentativo —riuscitogli in gran
parte— di risolvere tale contrapposizione e di fondare l'essere dell'uomo
nell'essere di Dio, gli era preclusa la strada più semplice. Ossia la
ripresentazione di un pensiero teologico adatta alle circostanze attuali ma
—come raccomandato anche dall'ultimo concilio[13]— sempre a partire dall'evento Cristo,
pienezza della Rivelazione. Dunque, anche se Rahner, come abbiamo visto, nello
sviluppo del suo pensiero teologico parte dalla questione gnoseologica[14], egli ha chiaro, sin da principio, verso
dove puntare. La sua teologia ha un fine eminentemente pastorale[15], vuole arrivare a recuperare la
significatività di Dio per l'uomo contemporaneo, per questo egli mette Cristo e
la cristologia in un secondo piano rispetto all'antropologia. È partendo da
quest'ultima che egli pretende di arrivare ad una nuova sintesi della
dogmatica.
Ci sembra illuminante,
per una tale prospettiva, il punto di partenza del pensiero rahneriano che
peraltro è facilmente riscontrabile, in quanto appare come una
"dichiarazione di intenti" sin dalle prime pagine del suo Corso
fondamentale sulla fede:
"Anzitutto sembra
necessaria grande cautela riguardo al concentrarsi sulla cristologia. (...) Non
è vero che basta predicare Gesù Cristo e che in tal modo si sono risolti tutti
i problemi. Gesù Cristo è un problema anche oggi, e per convincersene basta
dare uno sguardo alla teologia demitizzante dell'era post-bultmanniana"
(p. 31).
Insieme a Rahner darà
questo sguardo anche praticamente tutta la teologia cattolica dopo di lui e si
lascerà portare sul problema della costituzione dell'uomo[16], dove Rahner pensa di trovare un appoggio
sicuro per evitare il discorso storico-esegetico, ormai criticamente
compromesso[17].
In ogni caso il nostro
autore, fa sempre riferimento all'importanza della fondamentazione storica di
tutto il discorso teologico, anche se, rinviandola continuamente nel corso del
libro, la relega ad un posto più che di second'ordine:
"Non partiamo
dalla premessa che di Gesù conosceremmo qualcosa solo in una ricerca storica
che avremmo intrapreso qui ed ora per la prima volta come per curiosità
storica, bensì perché (come abbiamo già detto nel primo paragrafo)
presupponiamo come esistente la fede del cristianesimo, anche se essa deve
venir successivamente legittimata in una genuina riflessione storica nell'ambito
di un lavoro teologico fondamentale" (p. 278)[18]. Così Rahner rivolge l'attenzione verso
il mistero dell'incarnazione. Nel fatto che il Verbo diviene carne egli
incentra la sua analisi antropologica e cristologica. In questa proposizione
dei tre termini, “Dio”, “divenire”, “uomo”, Rahner parte dal più
"sicuro", ossia dall'uomo. "Antecedentemente alla questione
circa l'incontro con il Gesù storico concreto, ci chiediamo che cosa vuol
propriamente dire il cristianesimo quando parla di una incarnazione di Dio"
(p. 278)
In secondo momento
rivede la cristologia alla luce di questi presupposti antropologici:
"bisognerebbe riprendere e sviluppare in maniera nuova quelle riflessioni
su una "cristologia trascendentale" che abbiamo delineato in maniera
molto astratta e formale nel terzo paragrafo di questa sesta sezione e che
perciò andrebbero ulteriormente completate" (ibid. 378). In realtà,
nonostante gli sforzi, non sembra che Rahner riesca a motivare e fondamentare
in modo soddisfacente il suo pur originale progetto cristologico:
"In una
"cristologia trascendentale" si può illustrare l'idea che l'uomo è
l'essere del desiderium naturale in visionem beatificam, del desiderio
"naturale" della beatificante visione di Dio. A questo riguardo qui
non ha alcuna importanza stabilire fino a che punto e in che senso
l'ordinazione ontologica (desiderium) alla vicinanza immediata a Dio appartenga
alla "natura" dell'uomo come entità astratta, oppure alla sua natura
storica elevata dalla grazia (attraverso l'esistenziale soprannaturale che però
è un dato ontologico fondamentale [ontologische Grundbefindlechkeit])" (p.
383-384).
"Il limite di una
tale prospettiva che si propone di mediatizzare antropologicamente dal basso la
cristologia oggettiva tradizionale (cristologia dall'alto), onde dare ragione o
comprensione della universalità dell'evento cristologico nel quadro di un
orizzonte storico della venuta di Dio nel mondo, è non solo quello concernente
“lo scandalo della singolarità” dell'evento stesso cristologico nella sua
novità, irriducibilità, specificità, ma anche lo stesso proposito inteso.
Infatti, mentre da un lato, compromettendo l'autonomia di un pensiero
antropologico filosofico, il progetto rahneriano sembra piuttosto voler
“mediatizzare cristologicamente” l'antropologia, dall'altro lato, l'attenzione
riservata alla struttura soggettiva trascendentale dell'uomo, limita con
criterio troppo metafisico la pluralità del dato storico, la sua concretezza ed
irriducibilità all'ordine intenzionale della conoscenza, che si ripercuote
nello stesso avvenimento “oggettivo” della rivelazione compiuta in Gesù
Cristo"[19].
4.3 — Antropologia: la
condizione autonomica creaturale dell'uomo.
Punto centrale del
progetto rahneriano è, come anche appare in Corso fondamentale sulla fede,
dimostrare la ragionevolezza di un armonico rapporto tra Dio e l'uomo, salva
facendo l'infinita distanza esistente tra creatore e creatura —urgente istanza
critica da parte della teologia protestante, Barth in testa. Per far ciò Rahner
vuole uscire dall'impostazione antropologica che tende a mostrare l'uomo come
vincolato a Dio in tal modo che solo annientandosi può realizzarsi in quanto
creatura. Per ciò mostra l'uomo come partner che Dio stesso vuole e cerca
mettendolo nell'esistenza:
"Nel mentre egli,
data la sua perenne pienezza infinita, si estrinseca, sorge l'altro come realtà
divina sua propria. Già Agostino affermava che Dio assumit creando ed anche che
assumendo creat: nel mentre estrinseca se stesso e perciò, ovviamente, è
presente nella stessa estrinsecazione, egli crea. Crea la realtà umana nel
mentre la assume come propria. Egli —il Logos— costituisce ciò che è distinto
da sé nel mentre lo detiene come suo proprio, e viceversa: dal momento che egli
vuole veramente avere l'altro come realtà sua propria, lo costituisce nella sua
genuina realtà". (p. 290)
Una tale impostazione
risponde alle istanze dell'antropologia filosofica che, sulla scia di
Feuerbach, accusava il cristianesimo di costruire un Dio a "misura
d'uomo" in quanto non era altro che la proiezione delle sue aspirazioni.
Nello stesso tempo essa da ragione dell'anelito all'infinito presente in ogni
uomo. Gli esistenziali fondamentali dell'uomo, dirà Rahner, "sono la permanente
provenienza da Dio e la diversità radicale da lui" (p. 165).
L'uomo dunque è
l'evento dell'autocomunicazione assoluta e radicale da parte di Dio (p. 182).
Per illustrare questo concetto "dobbiamo guardare ancora una volta alla
natura dell'uomo, natura che viene alla luce in maniera originaria
nell'esperienza trascendentale" (p. 165) Perciò Rahner afferma:
"La creatura, in
base alla sua essenza più intima e profonda, dev'essere concepita come la
possibilità del poter-essere-assunta, dell'esser-materiale per una possibile
storia di Dio. Nel creare la creatura, nel mentre la pone fuori dal nulla nella
sua realtà propria, distinta da lui, Dio la abbozza come la grammatica di una
possibile automanifestazione divina. Ed egli non la potrebbe progettare
diversamente neppure qualora di fatto tacesse, perché anche questo silenzio da
parte di Dio presupporrebbe pur sempre delle orecchie che odono il suo
mutismo". (p. 290)
Appaiono però anche i
limiti di una tale impostazione che, risolvendo alcuni versanti del problema
autonomico uomo-Dio, ne crea altri. Di fatto è difficile all'interno
dell'impostazione rahneriana, conservare illesa l'indipendenza della creatura,
il cui essere sembra a volte dissolversi in quello del suo creatore:
"Partendo di qui
potremmo definire l'uomo —ponendolo nel suo mistero estremo e più oscuro — come
ciò che sorge quando l'autoespressione di Dio, la sua Parola, viene pronunciata
con amore nel vuoto del nulla non-divino. Per questo infatti il Logos incarnato
è stato pure chiamato la parola abbreviata di Dio. L'abbreviazione, la cifra di
Dio stesso è l'uomo, cioè il Figlio dell'uomo e gli uomini, i quali in fondo
esistono perché doveva esistere il Figlio dell'uomo" (p. 293).
In tal modo Rahner
giungerà ad affermare che —anche se "già ora dobbiamo dire che l'uomo
partecipa della natura divina, (...), che egli è già ora figlio di Dio e deve
solo essere rivelato ciò che egli è già adesso" (p. 166)— d'altro canto
"quando Dio vuole essere non-Dio, sorge l'uomo" (p. 293). Pertanto
l'uomo sorge "originato da Dio, in quanto non-Dio e natura-non santa"
(p. 115). Da questi presupposti e con questi accenti, è breve il passo che
porta a considerare come non positivo tutto ciò che è 'creazione', in quanto
"materiale dell'attività creativa dell'uomo" (ibid.).
Nella descrizione del
processo realizzativo umano, Rahner fa uso di una terminologia senz'altro
originale e a volte geniale, ma che stride con un'antropologia teologica che
conosce l'uomo come realmente distinto da Dio. Così per esempio egli parla
dell'"acquisizione attiva della propria pienezza da parte del vuoto"
(p. 245). Ci sembra eccessivo, anche dato per buono il punto di partenza
dell'"abisso assoluto esistente tra Dio e il non-divino" (p. 118),
definire l'uomo come il "vuoto".
Ambiguo è anche lo
sviluppo dell'idea di autocomunicazione di Dio, che pure è tipico della
terminologia rahneriana ed al quale è difficile dare un significato univoco:
"Nell'autocomunicazione
Dio, nel suo essere assoluto, si rapporta all'esistente creato come causa
formale, cioè egli nella creatura, originariamente non produce né realizza
qualcosa di diverso da sé, bensì, comunicando la sua propria realtà divina, ne
fa il costitutivo del compimento della creatura" (p. 168).
Qui per esempio non si
sa come intendere il termine "causa formale" che sembra annullare una
propria identità reale dell'uomo ridotto alla "grammatica" per
un'autocomunicazione di Dio. A questo punto ci si potrebbe chiedere se l'uomo
ne è la grammatica a chi vuol parlare Dio? La creaturalità umana è ben difesa
nella sua origine ma non nella sua autonomia.
4.4 — Soteriologia.
A tal riguardo Rahner
mostra le stesse esigenze di cambiamento del discorso soteriologico avvertite
da gran parte della teologia moderno-contemporanea:
"La soteriologia
classica non si è spinta al di là delle affermazioni del Nuovo Testamento,
semmai le abbia raggiunte. Se prescindiamo da una dottrina della redenzione
fisica, presente nella patristica greca, secondo la quale il mondo appare già
salvato per il fatto che nell'umanità di Gesù esso è fisicamente e
indissolubilmente unito con la Divinità, e se lasciamo da parte alcune
rappresentazioni di tipo piuttosto immaginoso presenti nella patristica
(riscatto dell'uomo ad opera di Cristo dalla potestà in un primo momento
legittima del diavolo; raggiro del diavolo, che si inganna nei confronti di
Cristo ecc.), vediamo che il medioevo, a partire da Anselmo di Canterbury,
cerca di illustrare l'idea biblica della redenzione mediante un sacrificio
espiatorio, mediante il sangue di Gesù (...)"(p. 371).
"Questa teoria
soddisfattoria — continua il nostro autore — è corrente a partire dal medioevo
(e facilmente comprensibile a una mentalità germanica) e compare di passaggio
anche in enunciati del magistero ecclesiastico, senza però che il magistero
straordinario della chiesa abbia mai preso una posizione molto approfondita nei
suoi confronti"(p. 372). Nonostante ciò Rahner non andrà oltre, nel suo
saggio, in tema soteriologico. Egli si limita qui a manifestare ulteriormente
il disagio della teologia che ha perso la sua unitarietà ed i cui limiti si
riflettono anche in questo campo.
4.5 — Revisione delle
formule dogmatiche.
In tema di rapporti
con il Magistero, i toni di Rahner si sforzano generalmente di essere
rispettosi, tranne qualche appunto che, più che di dissenso, può definirsi di
polemica[20]. Così egli si riferisce alle presunte
difficoltà che la terminologia classica può talvolta presentare: "Quando
l'ortodossa cristologia discendente dell'incarnazione dice: questo Gesù
"è" Dio, ciò è una verità di fede perenne se questa proposizione
viene intesa rettamente; essa però può anche venir intesa in senso monofisitico
— e quindi eretico—" (p. 374).
Rahner sa bene, ed
afferma, che "il senso dell''è' in comunicazione d'idiomi usate nella
cristologia non si basa davvero su una tale identificazione reale, bensì su
un'unità unica — che non ricorre altrove e che rimane un profondo mistero — fra
realtà realmente diverse, infinitamente distanti l'una dall'altra".
Tuttavia ancora una volta la sua posizione è confusa quando afferma che
"Gesù, nella e secondo la sua umanità che noi vediamo quando diciamo
"Gesù", non è Dio, e Dio, nella e secondo la sua divinità, non è
"uomo" nel senso di un'identificazione reale" (ibid.)[21]. Ciò lo porta ad esprimere riserve di
peso sulla formula cristologica calcedoniana:
"L''adiairetos'
(indivise) calcedonese, che questo 'è' vuole esprimere (DS 302), questo 'è' lo
esprime in maniera tale che l''asynchytos' (inconfuse) della stessa formula non
viene enunciato, e così l'enunciazione rischia sempre di venire intesa in maniera
'monofisitica', ossia come una formula che semplicemente identifica soggetto e
predicato" (p. 374).
Dopo questa critica
sostanziale e diretta Rahner comunque ha l'"accortezza" di affermare
che "tali formule, che vengono avvertite come scibbolet o parole d'ordine
dell'ortodossia (“Per te Gesù è Dio?”, sì!), non vogliono una cosa del genere,
ma nemmeno la impediscono positivamente" (p. 374). Egli si muove sempre
con la motivazione di rendere più "dialogante" il linguaggio di fede
per gli uomini del nostro tempo: "La persona pia al modo tradizionale non
trova alcun nocumento in tali fraintendimenti concomitanti, bensì li avverte
piuttosto come la radicalità di una fede ortodossa. Invece gli uomini d'oggi
inclinano in vari modi a vedere tali fraintendimenti quali momenti della fede
ortodossa e a rifiutare quest'ultima come mitologia, il che, data questa
premessa, è semplicemente legittimo. (374)
L'argomento che sta
sotteso alla sintetica e superficiale impostazione rahneriana è quello delle
critiche ad una supposta ellenizzazione del linguaggio di fede nel periodo di
Calcedonia e successivo. "Ma le obiezioni vere e proprie trovano riscontro
nel primo periodo dell'era moderna con l'intervento di Lutero, il quale, pur
aderendo allora, alla cristologia di Calcedonia testimoniava già l'insorgere
della crisi culturale moderna tendente a scindere l'in sé della realtà
(noumenon) con il suo apparire (phaenómenon) a noi"[22].
Avendo presente il
rapporto cristologia-soteriologia alla luce della crisi di una teologia
unitaria, possiamo dire che qui si incontra per la prima volta una obiezione
che denota una frattura tra il linguaggio dogmatico della fede e l'esperienza
della coscienza credente. "Questa difficoltà ha un certo seguito nel
nostro tempo, sotto l'influsso del soggettivismo di F. Schleiermacher, come si
nota nella cristologia di R. Bultmann e di P. Tillich con l'accusa contro il
linguaggio dogmatico di Calcedonia come inadeguato, per la sua forma
concettuale, mutuata dalla cultura ellenistica, di carattere astratto ed
essenzialistico, non in grado di sciogliere il dilemma concettuale della
cristologia antica"[23].
Nel rispondere a tale
critica di ellenizzazione del kerigma cristologico si deve fare presente che
"non ogni 'ellenizzazione', 'romanizzazione', 'germanizzazione' è in sé
una corruzione del cristianesimo: “queste forme in sé attestano semplicemente
che la religione cristiana nei periodi in questione è stata meditata ed
assimilata autonomamente e che è divenuta parte costitutiva della cultura dei
popoli”[24]. "Qualora l'evangelizzazione
soggiacesse al predominio rigido degli schemi culturali, per un presunto più
facile intento di “comprensione” della fede, allora si determinerebbe uno
scadimento dell'identità del kerigma, una sua deformazione eterodossa"[25].
Nel nostro caso però,
"non si può stabilire che la formula calcedonese rappresenti una
contaminazione del kerigma, un passaggio dal predominio dell'annuncio dell'incarnazione
come evento storico soteriologico ad una considerazione puramente strutturale
metafisica, per il solo uso di termini greci che non compaiono nel greco del
NT.(...) Il credo cristologico di Calcedonia più che compimento di un processo
ellenizzante è una crisi di questo processo compiuta proprio a beneficio di una
più chiara affermazione, con l'ausilio dei termini greci, della verità
teologica del mistero cristiano"[26].
È sorprendente la
posizione di Rahner, anche tenuto conto che, in studi precedenti, egli aveva
colto perfettamente il valore soteriologico della formula di Calcedonia,
rilevando che essa mirava a salvaguardare quella unica prossimità di Dio e
dell'uomo in Gesù-Cristo che non si risolve a detrimento dell'uomo[27]. "Mentre nel contesto culturale
religioso dell'antichità tardiva era divenuto corrente l'ideale di assimilazione
dell'uomo a Dio (divinizzazione) che si risolveva però in una perdita
dell'identità dell'uomo, in un suo assorbimento nell'essere assoluto divino,
per il dogma calcedonese, la prossimità di Dio non comporta la fine dell'uomo,
ma la sua promozione più perfetta, sia nella sua integrità (tutto l'uomo: corpo
ed anima), sia nella sua libertà"[28].
4.6 — Ecclesiologia,
Sacramentaria ed Escatologia.
Come si accennava
all'inizio del nostro lavoro, le affermazioni in questi ambiti sono di
importanza minore da parte di Rahner e sostanzialmente in linea con il
magistero. Il suo non è altro che ripetere, in un linguaggio originale ma
complesso ed a volte ambiguo, la dottrina classica su questi argomenti. Egli
comunque non si prende la briga di difendere la fondamentazione scritturistica
e teologica dell'organismo sacramentale:
"Se inoltre
pensiamo che oggi (a differenza di quanto si pensava ancora al tempo della
riforma) neppure il battesimo può essere così facilmente ricondotto e fatto
dipendere da una istituzione verbale ad opera del Gesù storico e che quindi —a
parte almeno l'istituzione della cena— tutti i sacramenti (anche quelli che
vengono riconosciuti nelle chiese non cattoliche) pongono il medesimo problema
per quanto riguarda la loro "istituzione" da parte di Gesù allora
possiamo dire che la loro origine o la loro istituzione deve —ma anche può—
essere concepita in maniera analoga alla fondazione della Chiesa da parte di
Gesù" (524)
Questa, che sembra una
tranquilla scorciatoia, è in realtà un modo poco elegante ed ancor meno
scientifico di superare il problema molto sentito in teologia sacramentaria.
Rahner lo ritiene in ogni modo secondario: "La sacramentalità
dell'attività fondamentale della chiesa è data con la natura della chiesa
stessa quale presenza irreversibile della promessa salvifica di Dio in Cristo.
Questa sacramentalità viene dispiegata dalla chiesa nei sette sacramenti, così
come essa ha esplicato la propria natura nella propria costituzione e nella
propria struttura. Di conseguenza il singolo cristiano può accettare e vivere
tranquillamente il dato di fatto di questo settemplice ordinamento
sacramentale" (ibid., 524-525).
Riguardo il modo dell'efficacia
dei Sacramenti, Rahner ne presenta in termini propri, il senso corretto:
"In quanto l'opus operatum dei sacramenti va incontro all'opus operantis
del credente, dell'uomo che accoglie l'azione di Dio, risulta chiaro che i
sacramenti sono efficaci solo nella fede, nella speranza e nell'amore. Pertanto
essi non hanno nulla a che fare con un incantesimo magico: non sono una magia
perché non costringono Dio, bensì sono un'azione svolta dal Dio libero verso di
noi. Inoltre non hanno niente a che fare con la magia perché diventano efficaci
soltanto quando si incontrano con la libertà dell'uomo che si apre.
Naturalmente l'uomo, quando accoglie tale promessa di Dio, deve confessare
ancora una volta che anche tale sua accettazione avviene in virtù della grazia
di Dio.(...) I sacramenti non sono altro che la parola efficace rivolta da Dio
all'uomo nella quale Dio promette se stesso a costui e con ciò libera la
libertà dell'uomo affinché accolga questa autocomunicazione divina con una
propria azione".
Corretta e ben
espressa risulta l'esposizione dell'importanza del battesimo e della penitenza:
"Nel battesimo Dio conferisce la grazia all'uomo in ordine alla sua
propria salvezza individuale per il fatto e in quanto che lo inserisce come un
membro nella chiesa. L'appartenenza alla chiesa, l'essere membro della chiesa è
l'effetto primo e più immediato di questo sacramento dell'iniziazione che
riceve ogni cristiano, che per tutti costituisce la base dell'esistenza
cristiana in tutto quello che in una simile vita ci può essere anche quanto a
poteri gerarchici, sacramentali e di governo, perché un non battezzato non può
ricevere alcun altro sacramento in maniera valida, né può detenere alcun potere
giuridico nella chiesa. Nel battesimo l'uomo riceve la grazia a sua propria
salvezza in quanto diventa membro della chiesa" (ibid., 527)
Riguardo al sacramento
della riconciliazione Rahner si esprime, in questa sede, con termini
suggestivi: "Il perdono è il miracolo più grande e incomprensibile
dell'amore divino, perché in esso Dio comunica se stesso e ad un uomo che, in
una faccenda della vita quotidiana solo all'apparenza banale, ha compiuto il
gesto inaudito di dire di no a lui" (ibid., 534).
"Tale parola di
perdono —continua Rahner— (sempre sulla base della parola pronunciata nel
battesimo) la chiesa la rivolge di nuovo al singolo in una maniera particolare
là dove e quando egli —che anche dopo il battesimo rimane peccatore e può
cadere in una colpa grave— confessa pentito alla chiesa nella persona del suo
rappresentante la sua colpa grave o la miseria della sua vita, oppure
eventualmente le porta davanti a Dio e al suo Cristo anche in una confessione
generale in seno a una comunità" (ibid., 535). Non si comprende qui se
egli accenni in un dato momento alla possibilità della assoluzione generale. Se
così è risulta incompleta la sua trattazione in quanto lascia intendere un
indifferente facoltà di seguire una o l'altra modalità di amministrazione del
sacramento della penitenza. Cosa che così non è, ma che richiede, nel caso dell'assoluzione
generale circostanze e termini ben specificati dalla dottrina sui sacramenti e
dal Codice di Diritto Canonico:
Riguardo l'escatologia
intermedia si esprimerà in termini pacati e sensati ma, ribadiamo, non dirà
niente di nuovo o degno di qualche rilievo: "Se dunque non possiamo
contestare l'esistenza di uno stato intermedio nel destino dell'uomo tra la
morte, da un lato, e il compimento corporeo dell'uomo nel suo complesso,
dall'altro lato, allora non possiamo neppure avanzare alcuna obiezione decisiva
contro l'idea di una maturazione personale durante stato intermedio che
denominiamo appunto 'purgatorio', o 'stato di purificazione', o 'luogo di
purificazione'. Ma in che senso e in che grado qui possano essere ancora
applicate categorie temporali(...) è una questione su cui si può ancora
discutere nella teologia cattolica. (...). L'unica cosa da cui bisogna
guardarsi è di estendere le obiezioni contro simili modi di esprimersi al dogma
stesso in quanto tale, che invece bisogna necessariamente professare"
(ibid., 561).
5 — CONCLUSIONI.
Ricapitolando possiamo
sostanzialmente affermare che, per quanto emerso dalla nostra analisi, il
saggio di Rahner delude le aspettative del titolo e non rappresenta in alcun
modo un'opera emblematica o significativa nell'iter scientifico dell'autore. La
motivazione più probabile —lo facevamo rilevare all'inizio del nostro lavoro—
sta nel fatto che, data l'uscita in concomitanza di Sacramentum mundi —quella
che ben può dirsi la "Somma teologica" di Rahner— l'autore abbia
voluto pubblicare un saggio come sintesi di quanto contenuto negli 8 volumi del
suo trattato. Non era difficile prevedere che commercialmente —come di fatto è
stato— il Corso fondamentale sulla fede sarebbe comunque stato un successo,
vista la notorietà, ai tempi, della firma del teologo tedesco.
Corso fondamentale
sulla fede tratta troppi argomenti in troppo poco spazio. I temi centrali della
filosofia rahneriana sono espressi in meno che due pagine, con periodi
lunghissimi e termini propri dell'autore che, non debitamente illustrati,
rendono davvero faticoso il proseguimento della lettura.
Dal punto di vista
stilistico sorprende l'assenza di note in calce —non poche, ma nessuna— che
avrebbero invece potuto servire da rimando, da sostegno alle affermazioni
dell'autore —che a volte appaiono gratuite— o comunque dare un aspetto un pò
più scientifico al saggio.
Altro grande assente è
il riferimento alla Scrittura che, trattandosi di un Corso fondamentale sulla
fede, sarebbe stato lecito aspettarsi. La motivazione è più che stilistica.
Come abbiamo fatto notare ci sembra che Rahner eviti volutamente l'argomento
spinosissimo allora —già più abbordabile adesso— dell'esegesi scritturistica. A
parte la sezione sui sacramenti, dove compare qualche fugace citazione, non ci
sono praticamente altri appoggi scritturistici. Il filo del discorrere è uno
svilupparsi a ruota libera di presupposti filosofici misti ad una terminologia
teologica propria di Rahner, originale ed a volte innovativa, ma che non riesce
a costruire un minimo di sistema logico.
Come risvolti positivi
bisogna riconoscere che con il sottolineare il legame fondante tra uomo e
autocomunicazione di Dio, Rahner riesce a superare l'antinomia uomo-Dio.
Questa, infatti, aveva imperato nei secoli precedenti e vedeva possibile
l'affermazione di Dio solo nell'annichilimento della creatura e viceversa.
All'esperienza trascendentale di Rahner, si deve riconoscere il merito di aver
messo in grado l'antropologia di porre le premesse umane di un discorso sul
trascendente, non in sé raggiungibile con le sole capacità umane e che quindi
si abbandona ad una proposta di grazia.
"In ciò, però, si
nota un passaggio dalla sfera del trascendentale soggettivo a quella del reale
oggettivo, che è un punto critico del suo pensiero"[29]. Inoltre facevamo notare che questo
"è il problema che sta alla radice del pensiero rahneriano e che riguarda
una certa ipoteca idealistica della filosofia dell'identità, per cui si passa
indebitamente dalla sfera della coscienza a quella dell'essere oggettivo, non
evidenziando le differenze tra coscienza ed essere. Se è vero che l'uomo
trascende con la sua coscienza il mondo, questo però non si lascia assorbire
dalla sua coscienza"[30].
Le riserve sui
contenuti dottrinali dell'opera sono, per quanto abbiamo visto sopra, molto
rilevanti; soprattutto in ambito trinitario e cristologico. Questi errori, che
si dipanano poi in misura maggiore o minore anche ai campi dell'antropologia
soprannaturale ed alla sacramentaria, sembrano in definitiva da ricondurre alla
parziale impostazione filosofica dell'autore: "La cristologia di K. Rahner
costituisce il tentativo più apprezzabile in campo cattolico di utilizzare le
categorie della metafisica trascendentale e della filosofia esistenziale per la
comprensione e l'approfondimento della figura del Cristo. Rahner mette
intelligentemente a frutto il meglio della speculazione tedesca degli ultimi
due secoli: il trascendentalismo kantiano, l'idealismo hegeliano e
l'esistenzialismo heideggeriano. Ma è proprio l'impiego delle categorie di tali
filosofie a far sorgere alcuni interrogativi critici. Soprattutto l'uso della
categoria kantiano-hegeliana dell'apertura trascendentale dell'essere umano e
quella heideggeriana della domanda-risposta. Applicate al caso di Gesù questa
categorie sembrano compromettere seriamente la gratuità dell'incarnazione del
Figlio di Dio, offuscano la storicità della rivelazione e fanno della storia
della salvezza semplicemente il prodotto di un meccanismo metafisico che scatta
nell'intimità di ogni uomo in maniera imperfetta e in Gesù Cristo in maniera
perfetta"[31].
6 — BIBLIOGRAFIA CRITICA
SU KARL RAHNER.
A. ARANDA, Las
propuestas de Karl Rahner para una teología trinitaria sistematica, in “Scripta
Theologica” 23 (1991) 69-123.
A. ARANDA, La cuestion
teologica de la Encarnación del Verbo. Relectura de tres posiciones
características, in Scripta Theol. 25 (1993) 49-94.
M. BORDONI,
Cristologia e Antropologia, in C. GRECO (a cura di) “Cristologia e
Antropologia”, A.V.E., Roma 1994, pp. 13-62.
M. BORDONI, Gesù di
Nazaret, Signore e Cristo. Saggio di cristologia in 3 voll., Herder-PUL, Roma
1982-1986: soprattutto su K. Rahner le seguenti sezioni: vol. I, 109-113,
198-201, 205-206; vol. III, 533-534, 707-708, 717-719, 746-748; 910-914,
952-953.
C. FABRO, La svolta
antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano 1974.
B. MONDIN. Le
cristologie moderne, Paoline, Roma 1979 (3º ed.), p. 59-65.
F.R.
(1999)
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internos (del Opus Dei)
[1] B. MONDIN, Storia della Teologia, vol. 4, EDS, Bologna 1997, 510.
[2] Ibid.
[3] Vedi in tal senso A. MODA: "Se si getta uno sguardo al celebre Problèmes actuels de christologie, (H. BOÜESSÉ— J.J. LATOUR, Brouge-Paris 1964, ndr), che nella sostanza esprime lo stato della cristologia negli anni '60, subito è evidente il duplice padrinato che Karl Rahner e H.U. von Balthasar esercitano sulla teologia cattolica"; ID., La cristologia contemporanea nell'area tedesca, olandese, francese e italiana in “La cristologia contemporanea”, ATI, Ed. Messaggero, Padova 1991, 205. Nello stesso contributo, si riferisce indirettamente a questa influenza G. IAMMARRONE: "I teologi che operano in terra italiana e nell'ambito della chiesa italiana nel loro riflettere su Gesù Cristo dovrebbero (...) forse non insistere eccessivamente e talvolta unicamente con trattazioni di problematiche e tematiche cristologiche vivamente sentite in altri contesti culturali ed ecclesiali, ma alquanto estranee a quello italiano ed in esso troppo largamente importate, pena l'incomprensione, il disinteresse, la riduzione della cristologia a produzione di dotti accademici"; ID., in La cristologia contemporanea, ATI, op. cit., 16.
[4] K. RAHNER, Geist in Welt. Zur
Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin, Kösel-Verlag,
München 1957².
[5] K. RAHNER. Schriften für Theologie, (ed it.: “Saggi di Teologia”, ed. Paoline, 1964-1975.
[6] Cfr. H.U. von BALTHASAR, “La riduzione antropologica”, in ID., Solo l'amore è credibile, Borla, Torino 1965, 33-51.
[7] Rahner sostiene la distinzione di questa terminologia dal “trascendentale” inteso come categoria kantiana. Anche se vedremo più avanti come di fatto non riesca a sostenere coerentemente questo suo intento.
[8] M. BORDONI, La cristologia ed il
problema di Dio, in “Gesù di Nazaret, Signore e Cristo”, vol. I, Herder-PUL
1982, p. 110.
[9] Cfr. J.J. SANGUINETI, Recensioni,
“Acta Philosophica”, vol. 7 (1998) p. 176.
[10] W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1975, 64-66.
[11] Per una trattazione più dettagliata cfr. De
Veritate, q.1, dove l'Aquinate specifica in che senso "ens et
verum convertuntur".
[12] M. BORDONI, op. cit., 111, nt 47.
[13] Cfr. Optatam Totius, 16.
[14] Cfr. K. RAHNER, Gest in Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin. 2ª ed., Kösel-Verlag, München 1957.
[15] Cfr. A. ARANDA, Las propuestas de Karl
Rahner para una teología trinitaria sistematica,in “Scripta Theologica”, 23
(1991), 69-123. Vedi in
particolare pp. 74-75.
[16] Cfr. Ibid., 32.
[17] cfr. J. RATZINGER, L'interpretazione biblica in conflitto, in AA.VV. “L'esegesi cristiana oggi”, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1991, 93-125.
[18] Dirà ancora: "Una concezione volgare del cristianesimo il più delle volte identifica frettolosamente l'esplicita storia veterotestamentaria e neotestamentaria della rivelazione e la sua sedimentazione negli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento con la storia della rivelazione pura e semplice. Più avanti vedremo come questa specifica storia cristiana della rivelazione si distingua dalla generale storia soprannaturale della rivelazione e ne valuteremo la dignità e l'importanza" (197).
[19] M. BORDONI, op. cit. 113. Continua in nota lo stesso autore: "Di qui l'incoerenza di un pensiero che mentre minaccia l'autonomia di una riflessione antropologica, procede però filosoficamente offrendo il fianco ad accuse di “riduzione metafisica” del pensiero cristiano (cfr. H. U. von BALTHASAR, Herrlichkeit, I, Einsiedeln 1961, 142).
[20] Un esempio tra gli altri si ha quando, in un ambito di critica alla Chiesa, al Romano Pontefice e ad alcuni Sacramenti (Ordine, Eucaristia), giunge a dire che "una religione del genere sembra radicalmente inconciliabile con il nostro punto di partenza trascendentale,a cui d'altro lato non possiamo rinunciare, se oggi vogliamo ancora parlare di Dio" (p. 117).
[21] A tal riguardo facciamo notare che seguendo queste considerazioni, Rahner giungerà a considerare insufficiente e superata la categoria di “persona” in teologia. Il concetto della trinità verrà allora da lui presentato come tre "maniere di sussistere" (drei Subsistenzweisen) dell'unico Dio" (Cfr. p. 392) con tutta la problematicità che questa variazione terminologica porterà con sé. La sostituzione della categoria di persona ha luogo per evitare il problema presunto di "triteismo" e superare lo scoglio della preesistenza. Non ci dilunghiamo su questo approccio che comunque, a parte ad essere fortemente confuso, è oggi stato superato da impostazioni teologiche che rivalutano il termine “persona” in teologia; Cfr. M. BORDONI, Il contributo della categoria teologica di persona, in AA.VV. "La teologia per l'unità d'Europa", Dehoniane, Brescia 1991, p. 47-62.
[22] M. BORDONI, Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, op. cit. vol. III, 836-837. Rimandiamo, per un analisi molto chiara sui problemi interpretativi moderni del dogma calcedoniano, alla sezione: Gli sviluppi post-biblici della concezione cristiana della “Incarnazione” nel pensiero patristico e nel dogma della chiesa antica. Il Concilio di Calcedonia (451), ID., op. cit., 831-846.
[23] M. BORDONI, ibid., 837.
[24] M. BORDONI, op. cit., 838. Continua quest'autore: "È proprio una esigenza di incarnazione della Parola, già incarnata nel linguaggio biblico, il proseguire questa sua dinamica presenza nelle culture umane, in funzione delle nuove questioni degli uomini: “è la natura stessa della parola di Dio come atto sempre attuale di Dio che ci obbliga a sorpassare il biblismo e fondamentalismo e che fonda la necessità di una ermeneutica compresa come intelligenza sempre rinnovata all'identica parola di Dio” (C. GEFFRÉ, La révélation hier et aujourd'hui, in ID., “Révélation de Dieu et langages des hommes”, Paris 1972, 104); in M. BORDONI,op. cit., 839.
[25] M. BORDONI, Gesù di Nazaret, op.
cit., 839.
[26] Ibid., 839, 840.
[27] Cfr. K. RAHNER, Réflexions
théologiques sur l'Incarnation, in “Écrits théologiques”, III, DDB 1963,
97; cit. in M. BORDONI, op. cit., p. 841, nt 182.
[28] M. BORDONI, op. cit., 841. Il
discorso critico di Rahner è in Corso fondamentale sulla fede velato e
non ben fondamentato, come abbiamo rilevato all'inizio. Egli parte da
affermazioni ambigue: "Bisogna ammettere e tenere pastoralmente conto che
non ogni persona che si scandalizza della frase “Gesù è Dio”, già è per questo
necessariamente eterodossa. (ibid., 374-375) È ugualmente sorprendente però,
notare come l'autore, accogliendo parte delle critiche di alcuni teologi verso
il dogma di Calcedonia, ricada nelle stesse difficoltà che proprio con la
formulazione dogmatica di 1500 anni prima si vollero correggere.
[29] M. BORDONI, Cristologia e Antropologia, AVE, ROMA 1994, 31.
[30] Ibid., nt. 39. Il corsivo è nostro.
[31] B. MONDIN. Le cristologie moderne,
Paoline, Roma 1979 (3º ed.).