DUQUOC, Christian
1. In questo libro, P. Duquoc ricerca una nuova visione globale dell'ecclesiologia, in grado di interpretare il significato della realtà "Chiesa" o "chiese" non solo all'interno della teologia, ma anche dentro una visione delle esigenze ultime della vita e della storia umana. La parte centrale di questa ecclesiologia si presenta come un tentativo di spiegare l'essenza della Chiesa attraverso la categoria del simbolo, cioè della trascendenza permanente delle realtà empiriche verso l'Altro, l'Ultimo, il Regno (distinto da ogni utopia mediante la categoria dell'escatologico).
L'ordine simbolico è costituito da tre elementi: il sacramento, l'autorità, la parola; e la relazione che viene stabilita tra essi è un punto decisivo per l'ecclesiologia. Così, l'essenza del cattolicesimo, la sua differenza fondamentale rispetto alle chiese della riforma, si esprime nell'interpretazione di questa relazione come unità fondata sul sacramento.
2. L'Autore riconosce che questa concezione cattolica è la più logica e coerente. Tuttavia egli valuta negativamente questa coerenza. Così, il collegamento tra sacramento e governo, nonostante il suo contenuto simbolico convincente, ha per lui lo svantaggio di "figer en sacralité des données provisoires" (p. 109). L'esperienza suggerisce quindi, secondo l'Autore, la necessità di un distacco tra sacramento e governo (cfr. ibid.). Lo stesso vale per la relazione tra parola e sacramento: una "inflation sacramentelle" condurrebbe verso una società gerarchizzata, nella quale "la caste sacralisée par le sacrement détient le pouvoir absolu d'interprétation et d'orientation" (p. 110). Di conseguenza, P. Duquoc si esprime a favore dell'inversione delle relazioni: così nessuna casta sarebbe più maestra di interpretazione, e questa situazione aperta costituirebbe il segno concreto del carattere provvisorio e parziale del sacramento (cfr. ibid.).
3. La conseguenza logica di questa decisione è una relativizzazione sia della parola sia del sacramento: nessuno dei due è sufficiente a fondare la propria legittimità; lo sarebbe invece solo il movimento quotidiano verso la comunione (una comunione che non è già data, ma sempre da cercare: cfr. p. 112). Ciò significa che la complementarietà delle diverse chiese "empiriche" e tutte "provvisorie" diventa il vero ed ultimo criterio di legittimità cristiana. Invece, il cattolicesimo, secondo l'Autore, con la sua esclusività del sacramento, guidato dall'idea di una Chiesa normativa, ideale, alla quale dovrebbero conformarsi le altre, tende a dimenticare quella provvisorietà di tutte le chiese, che è il contrassegno delle società empiriche ed entro la quale le chiese dovrebbero mettersi a ricercare la comunione.
4. Il giudizio finale di P. Duquoc è quindi basato su una ponderazione tra coerenza logica della concezione ecclesiologica da una parte, e i vantaggi concreti della fraternità delle chiese empiriche e provvisorie, dall'altra. Così, il criterio induttivo, empirico, prende il sopravvento sul criterio simbolico e, l'Autore, contro la sua stessa idea ecclesiologica, cade nell'arbitrio del calcolo pragmatico dell'utile e del quotidiano. L'inversione degli elementi del mondo simbolico è una rottura della sua stessa logica teologica. Tuttavia, più che una critica interna del libro, è necessaria una valutazione sulla sua conciliabilità con la fede della Chiesa.
5. Anche se lo stile letterario non permette sempre di capire bene quale sia il pensiero di P. Duquoc, nel volume vi sono parecchie posizioni dottrinali, da lui chiaramente assunte, la cui opposizione alla dottrina cattolica è palese. Non si tratta soltanto di alcune particolari tesi erronee all'interno di un contesto generale di ecclesiologia cattolica, bensì di una concezione globale sulla realtà della Chiesa, che è incompatibile con la fede.
6. L'asserto di fondo, che determina quella concezione ecclesiologica
globale, è l'affermazione secondo cui la pluralità di chiese cristiane è
un fatto normale, non negativo (cfr. pp. 7-9, 25, 79, 112, 115, 117), e la
conseguente affermazione che la Chiesa Cattolica è "une des multiples
Eglises historiques, elle n'est pas l''Eglise' au sens absolu" (p. 8), non
sussistendo unicamente in essa la Chiesa di Cristo che, nel Simbolo,
confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica (cfr. pp. 36, 74-76). Inoltre,
queste "note" sarebbero "impératifs et non descriptifs" (p.
76); sarebbero cioè indicative di un "ideale" non realizzabile nella
storia (cfr. pp. 81-82). Così,
ad esempio, per quanto riguarda l'apostolicità, secondo l'Autore, "elle
(l'apostolicité) ne saurait donc être réduite à un critère matériel,
empiriquement repérable et permettant de discerner en toute objectivité la
vraie Eglise" (p. 74).
7. Intimamente connessa con la succitata tesi (n. 6), vi è un'erronea nozione della storicità e della corrispondente "provvisorietà" della Chiesa. P. Duquoc, infatti, dimenticando le categorie fondamentali di analogia e di partecipazione, sostiene che la Chiesa (ogni chiesa) è provvisoria, non soltanto perché la sua pienezza sarà realizzata solo nel Regno escatologico, ma anche perché nella storia "il n'existe pas d'essence de l'Eglise" (p. 34); in altre parole, la Chiesa "n'a pas d'essence hors la construction temporelle qu'elle fait d'elle-même à travers les défis internes et externes" (ibid.). Di conseguenza, sarebbero "provvisori" (nel senso di essenzialmente mutevoli) tutti i suoi elementi istituzionali e dottrinali (cfr. pp. 38 in fine, 39 e 99). Dunque, il pensiero di P. Duquoc sbocca in una relativizzazione radicale della verità.
Questo è necessariamente unito, com'è logico, alla
negazione di qualsiasi valore normativo dell'origine della Chiesa: "la
reconnaissance de la pleine historicité de l'Eglise donne sa véritable place à
l'origine: elle la laisse dans sa particularité, sa précarité, et elle en dénie
la normativité" (p. 35). Da questi presupposti non è possibile sostenere
che Cristo abbia fondato veramente la Chiesa; questa non sarebbe altro che la
semplice associazione di persone che si sono radunate attorno a Gesù (cfr. p.
17).
8. Questa concezione ecclesiologica comporta implicitamente una sovversione dell'intera dottrina cattolica. Nel volume di P. Duquoc, tuttavia, sono considerati esplicitamente soltanto alcuni punti più direttamente ecclesiologici. Tra essi, per la loro importanza, sono da sottolineare soprattutto due:
a) per l'Autore, il Primato del Romano Pontefice è, in un senso molto profondo e radicale, "la croix de l'oecuménisme", espressione concreta "de la tentation de violence inhérente à la pensée de structure unitaire et à la pratique centralisatrice" (p. 118). Sarebbe quindi necessaria "une radicale conversion, et non destruction, de son exercice et de sa théorisation" (ibid.). Questa ripensata funzione papale è intesa come servizio di un'unità di semplice comunione tra le chiese che conservi però la loro pluralità e diversità (cfr. p. 79), nella quale, tra l'altro, non c'è posto per l'infallibilità del Papa (cfr. pp. 61-62);
b) è altresì erronea la concezione di P. Duquoc sul sacramento dell'Ordine, tendente a svuotare completamente la specificità del sacerdozio ministeriale; in particolare, negando che il munus docendi ed il munus gubernandi siano conferiti insieme al munus sanctificandi nell'ordinazione sacramentale (cfr. pp. 110-111). Questo risulta particolarmente palese quando l'Autore sembra far sua "la contestation de l'idée catholique de l'Eucharistie", la quale "s'enracine dans la confiscation de sa présidence par les prêtres et les évêques qui argumentent de cette présidence pour asseoir leur autorité sociale" (p. 106); e anche quando afferma esplicitamente il "caractère odieux... d'évincer à priori du gouvernement de l'Eglise une partie majoritaire des chrétiens" (p. 60) (quest'affermazione si trova nel contesto della critica mossa da P. Duquoc all'esclusione degli uomini sposati e delle donne dal sacerdozio ministeriale).
9. Il metodo di questo "essai d'ecclésiologie oecuménique" è sostanzialmente limitato all'osservazione empirica delle chiese (cfr. p. 8), ed è adoperato all'interno di una concezione storicistica, come risulta da quanto è stato rilevato sopra (cfr. n. 7). Questo metodo è insufficiente per qualsiasi indagine teologica, in quanto che non tiene alcun conto della divina Rivelazione autenticamente interpretata dal Magistero vivo della Chiesa. Così, ad esempio, la dottrina della Costituzione Lumen gentium sarebbe, secondo P. Duquoc, una semplice "théologie de compromis" (p. 58; cfr. pp. 21, 55-59) e non un'autentica espressione della verità rivelata sulla Chiesa.
Inoltre, questo metodo conduce ad un approccio di tipo
secolaristico alla Chiesa, la quale viene di conseguenza descritta con
categorie socio-politiche che non lasciano per nulla intravvedere la sua realtà
di mistero soprannaturale, neanche quando l'Autore parla della sacramentalità
(cfr. pp. 104-105).
10. Infine, è da segnalare che questo volume sottrae ogni fondamento all'attuale ricerca ecumenica, poiché nega apertamente che lo scopo dell'ecumenismo sia la unitatis redintegratio (cfr. p. 113), auspicando invece una confusa comunione nella pluralità e nella diversità delle chiese, che "comporte des transformations substantielles pour tous les partenaires ecclésiaux" (p. 78).
D.E. (1998)
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