BOBBIO, Noberto
A) Positivismo giuridico
Lezioni di Filosofia del Diritto raccolte da Nello Morra. Anno Accademico 1960/61. Cooperativa libreria universitaria, Torino 1961, pp. 324. Rieditato nel 1979 per i tipi di Giappichelli Torino pp. 288.
B) Giusnaturalismo e positivismo giuridico
Ed. Comunità, Milano 1965, pp. 244.
Mercè, Dio! Chè i miei giorni ho male spesi in trattar leggi, tutte ingiuste e vane senza la tua che scritta in cor si porta.
Cino da Pistoia (1270-1336), Notaio e poeta. Sonetto da "A che, Roma superba tante leggi".
INDICE
I. Il dibattito nella letteratura giuridica e le opere recensite
II. Nota essenziale sull'Autore
PARTE PRIMA
III. Contenuto delle opere recensite
PARTE SECONDA: VALUTAZIONE DOTTRINALE
IV. La ricostruzione storica (Bobbio 1979, Iª parte)
V. L'unità di funzione del giusnaturalismo secondo l'A.
VI. La radice filosofica del giusnaturalismo razionalista e del giuspositivismo
VII. Le conseguenze derivanti dal pensiero moderno nella definizione di diritto e nella organizzazione di pubblici poteri
VIII. La nozione classica di diritto, di diritto naturale e positivo
IX. La nozione di filosofia del diritto e di scienza giuridica nella prospettiva positivistica dell'A.
BIBLIOGRAFIA
I. Il dibattito nella letteratura giuridica e le opere recensite.
Le opere recensite rappresentano un tentativo di una pacata chiarificazione circa il vivace dibattito giuridico sorto nella letteratura tecnico-scientifica subito dopo il secondo conflitto mondiale, quando, specialmente nelle opere prodotte nell'area culturale tedesca e italiana, era maturata una riflessione complessivamente critica riguardo gli atteggiamenti dottrinali assunti dagli studiosi del diritto; atteggiamenti che, secondo i critici, avevano preparato e favorito la costituzione nell'anteguerra di ideologie e regimi totalitari.
Per l'appunto, in quegli anni, le diverse manifestazioni critiche di "rivolta contro il formalismo", così come unitariamente esse vengono definite dall'A. (Bobbio, 1965, I parte), si erano concretate, tra l'altro, in alcune clamorose "conversioni" di autorevoli filosofi e giuristi che muovendo da concezioni rigorosamente giuspositiviste erano approdati a posizioni di pensiero che aveva condotto ciascun di essi, in forme diverse, alla riscoperta del diritto naturale (in particolare, per l' impressione che generò all' epoca, si ricorda l'itinerario culturale di quella poliedrica personalità di pratico e di studioso che fu Francesco Carnelutti-1953— in Italia e l'evoluzione del pensiero giuridico di Gustav Radbruch-1950-in Germania); in una diffusa sensibilità teoretica dei giuristi pratici solitamente per formazione estranei al pensiero riflesso, verso nozioni propriamente filosofiche inerenti il concreto loro agire professionale, quali la nozione di giudizio, la natura dell'interpretazione (Caiani, 1955); nell'estesa influenza che ebbe nella cultura in generale e nella filosofia del diritto in particolare italiane l'originale e forte posizione di pensiero di Giuseppe Capograssi, che concepì una "filosofia dell'esperienza giuridica" di ispirazione vichiana-rosminiana (Opocher, 1976; Piovani, 1967). I molteplici orientamenti di pensiero manifestatisi in quel tempo erano in ogni caso caratterizzati dalla critica al formalismo, specialmente nella forma che aveva assunta il giuspositivismo, additato da tutti come il maggior responsabile, dal punto di vista giuridico, del formarsi del totalitarismo.
In Italia, inoltre, il tema del diritto naturale fu in quegli anni oggetto di particolare attenzione da parte del pensiero cattolico, soprattutto dopo gli interventi di Pio XII rivolti ai giuristi cattolici (si segnala per tutti il discorso del 6 novembre 1949) nei quali venivano indicati i valori e l'attualità del diritto naturale a fondamento tomista. Sollecitato da tale autorevole invito, venne organizzato il "Convegno di Studio" tenuto nel giugno 1949 presso Varese (Gazzala) dall' Unione Giuristi Cattolici sul tema "Diritto naturale vigente" i cui atti furono pubblicati nel volume, recante il medesimo titolo, edito in Roma nel 1951. Parallelamente all'indicato dibattito si vennero a diffondere in Italia le opere di Hans Kelsen (Caiani,1967), che fornivano una formulazione ammodernata del positivismo giuridico e del quale l'A. fu uno dei divulgatori principali in Italia.
Il ripensamento del dibattito fino allora maturato nella letteratura giuridica italiana sull'argomento e la riflessione sul contributo teorico proposto dal Kelsen spinse l'A. ad una riformulazione pacata degli argomenti a favore del giuspositivismo di chi sosteneva la vitalità del diritto naturale, in una versione ammodernata e moderata, nelle opere che ora si recensiscono (bisogna "eliminare molti equivoci dalla tradizionale disputa tra fautori del giusnaturalismo e fautori del positivismo giuridico" — Bobbio, 1965). Tale versione provocò anche all'interno di quanti difendevano le posizioni giuspositivistiche una vivace critica sotto il profilo politico interpretativo (in particolare Scarpelli, 1965) e sotto il profilo storico-ricostruttivo (in particolare Cattaneo, 1966); mentre altri filosofi affrontarono lo stesso argomento, pur muovendo da premesse teoriche e intenti diversi in quegli anni, in opere che ebbero ampia risonanza nel mondo accademico e culturale (Piovani, 1961; Fassò, 1964).
II. Nota essenziale sull'Autore.
Norberto Bobbio è il fondatore della scuola analitica di Torino (Opocher 1965) presso la cui università ha insegnato. E' uno studioso alquanto eclettico che si è interessato della filosofia della politica e del diritto; in ogni caso nel periodo relativo alla redazione delle opere recensite, risentì fortemente dell' influsso kelseniano di cui in Italia, come si diceva, è il maggior corifeo, anche se le posizioni dello studioso austriaco vengono dal Bobbio mitigate da una sensibilità più marcata alle questioni sociali e politiche influenti sulla concezione del diritto. Inoltre Bobbio risentiva nella sua impostazione teorica, della filosofia analitico-giuridica inglese, orientandosi verso una metodologia che tenesse conto dell'analisi del linguaggio giuridico. Nella filosofia della politica Bobbio è un hobbesiano e nella politica attiva (è senatore della repubblica italiana) si rifà a posizioni di socialismo liberale. Nelle sue opere lo stile è concreto e critico, sobrio ed essenziale; propende per una ars combinatoria rivolta ad una descrizione essenziale dei fenomeni politici e giuridici trattati. A motivo dell'adozione di premesse empiriche manifesta scarso interesse alla costruzione teorica e all'approfondimento metafisico; mostra comunque rettitudine intellettuale ed esprime in forma pacata e ragionativa gli argomenti di volta in volta trattati.
PARTE PRIMA
III. Contenuto delle opere recensite
A) Bobbio, 1979
Raccoglie le lezioni tenute presso l'Università di
Torino dall'A. nell'anno accademico 1960/61. L'opera si divide in due parti. La
prima parte, intitolata le origini storiche del positivismo giuridico, è
a carattere storico e si svolge con brevi commenti di brani tratti da opere
degli autori esaminati dall'A..
L'A., dopo aver premesso che il positivismo giuridico non deriva dal positivismo filosofico ma dal diritto positivo in quanto quest'ultimo si contrappone al diritto naturale e che entrambi si sono sviluppati all'interno dell'universo giuridico occidentale, fornisce una definizione del positivismo giuridico inteso quale dottrina secondo cui non esiste altro diritto se non quello positivo.
Da tale premessa egli fa discendere che il positivismo giuridico è una posizione secondo la quale il diritto naturale e diritto positivo non sono considerate alla stessa stregua e sullo stesso piano di validità, dato che il diritto positivo è il solo ed unico diritto vigente. Per quanto riguarda il pensiero classico (ellenico e medioevale) la trattazione è piuttosto sommaria: accenna brevemente a Platone e Aristotele e, per il periodo medioevale ad Abelardo e a San Tommaso. Successivamente l'A., nell'affrontare la tematica storica dell'argomento trattato, si pone il quesito del perchè, del come e del quando si è verificato il trapasso tra la concezione giusnaturalistica a quella positivistica. Il nucleo storico originario è individuato sicuramente nella formazione dello stato moderno che sorge sulle ceneri della società medioevale: mentre la società medioevale si era manifestata in forme pluralistiche e il diritto fu un prodotto della società civile e non già di una organizzazione statuale centrale, lo stato moderno si presenta piuttosto come un organismo monista.
Sotto il profilo tecnico-costituzionale, il processo di monopolizzazione della produzione giuridica da parte dello stato, secondo l'A., ha prodotto il formarsi della concezione giuspositivistica. Ciò ha generato inoltre la diversa posizione del giudice in ordine alla formazione del diritto: nella società medioevale egli era libero interprete dei valori espressi nella società, nello stato moderno il giudice si è trasformato in un organo dello stato, in un titolare di una funzione statuale però subordinata a quella legislativa. Al riguardo l'A. istituisce una analogia fra il formarsi dello stato moderno (e del conseguente fenomeno giuridico della codificazione) e la compilazione giuridica giustinianea. Nel proseguire l'esposizione storica l'A. si sofferma sulle origini del diritto positivo in Inghilterra e specificamente sulla posizione Edward Cotu e Thomas Hobbes, indicato dall'A., quest'ultimo quale teorico del potere assoluto e fondatore della prima teoria dello stato moderno. In Hobbes emergono due profili tipici del positivismo giuridico: il formalismo e l'imperativismo. La ragione storica di tale visione hobbesiana è da individuarsi in una forma di reazione all'anarchismo generato dalle guerre di religione allora scoppiate e nel tentativo di eliminare la distinzione tra Stato e Chiesa; solo se l'unico potere effettivo è da attribuire allo Stato e la religione si pone al suo servizio per il pensatore inglese è realizzabile il ristabilimento dell'ordine giuridico e sociale. Accanto alla concezione assolutistica del potere e del diritto dei due pensatori ora esaminati, l'A. propone al lettore la posizione liberale di Montesquieu e Beccaria. La risposta liberale all'anarchismo generato dalle guerre di religione in generale e in particolare dei due autori sopra indicati, muove dall'elaborazione del concetto di tolleranza religiosa: lo Stato liberale si propone non di eliminare le parti in conflitto, ma di lasciare che il contrasto stesso si svolga entro i limiti dell'ordinamento giuridico posto dallo Stato. Pur nella indicata diversità, sia la versione assolutistica che quella liberale del potere e del diritto hanno in comune l'accettazione del dogma dell'onnipotenza del legislatore, vale a dire la teorica della monopolizzazione della produzione giuridica da parte del legislatore. Il passo storico della formulazione del diritto nelle forme della codificazione rappresenta il trionfo del suddetto dogma ed è un prodotto tipico dell'Illuminismo. Al riguardo la realizzazione storica della codificazione comporta l'obiettivo di eliminare i poteri intermedi attraverso le riforme istituzionali: dall'alto l'accentramento del potere —il versante assolutistico del potere— consegue alla costituzione di un potere centrale assoluto; dal basso il valore delle posizioni di garanzia a tutela dei cittadini nei confronti dei poteri intermedi —il versante liberale— costituisce un valore da affermare nei confronti dell'organo giudiziario dato che il giudice, quando trae il diritto dall'equità e dalla vita sociale, può facilmente cadere nell'arbitrio a danno del cittadino e soprattutto nei confronti del potere legislativo, dato che in questo caso istituzionale, se si manifesta un abuso del potere legislativo esso è in danno dell'intera società, mentre se l'abuso viene compiuto dal singolo giudice, esso è in danno dei privati litiganti. Per realizzare le posizioni di garanzia furono concepiti gli accorgimenti giuridici costituzionali che ebbero ampia accoglienza negli ordinamenti giuridici costituzionali: la separazione dei poteri fra gli organi costituzionali dello Stato e la rappresentatività dei componenti del potere legislativo. Va precisato però, che se gli scrittori razionalisti del settecento hanno teorizzato l'onnipotenza del legislatore, non per questo il diritto naturale non si mantenne vivo mediante le filosofie giusnaturaliste espresse nella "triade concettuale stato di natura —legge naturale— contratto sociale". Anzi, tale concezione informò la Carta Costituzionale americana e la Rivoluzione Francese.
L'A. poi si sofferma sulla particolare origine e manifestazione del positivismo giuridico in Germania: vale a dire sulla scuola storica del diritto e sulla posizione di pensiero Gustavo Hugo. Nella prima metà dell'ottocento la posizione dello storicismo e del romanticismo su cui si fondava la scuola storica operò l'abbandono dei miti giusnaturalisti, miti sostenuti dall'illuminismo che pretendeva l'elaborazione di un diritto universale e immutabile ricavato dalla ragione. La scuola storica del diritto (in Germania fine XVIII — principio XIX sec.)—il Savigny ne è stato l'autore più rappresentativo — ha concorso a preparare il positivismo criticando a fondo e definitivamente i residui del diritto naturale ancora presenti nel pensiero dell'illuminismo giuridico. Lo storicismo della scuola storica del diritto, viene rappresentato dall'A. secondo lo schema interpretativo dello storicismo in generale formulata da F. Meinecke applicando i caratteri generali di esso alla concezione giuridica. E per l'esattezza: il senso della storia dovuto alla varietà dell'uomo stesso; il senso dell'irrazionale nella storia che non può essere concepita secondo uno sviluppo razionale; pessimismo antropologico e tragicità della storia; elogio e amore per il passato; amore per la tradizione e per le istituzioni e i costumi ereditati: tutti caratteri che furono alla base della concezione giuridica della scuola storica. La posizione più autentica della scuola storica del diritto (Savigny) portò ad una rivalutazione del diritto consuetudinario e a contrastare il movimento di codificazione quale sviluppo del razionalismo illuministico espresso in Germania dal Thibaut.
Al di fuori della Germania il movimento di codificazione, espresso principalmente nel modello napoleonico si diffuse in Europa secondo i contenuti del pensiero giuridico dell'illuminismo secondo il quale il diritto doveva essere semplice ed universale e formato da poche leggi. L'A. in proposito si sofferma sulla formazione dei progetti di codificazione di ispirazione giusnaturalistica che hanno preceduto la formazione del codice Napoleone (Combaceres) e la elaborazione e approvazione del progetto definitivo curato dal Portalis dove la presenza di elementi giusnaturalisti venne definitivamente espunta. A tale opera inoltre ha contribuito la scuola dell'esegesi sorta nell'ambito dell'interpretazione del codice Napoleone e che contribuì secondo l'A. all'inversione dei rapporti tradizionali tra diritto naturale e diritto positivo a vantaggio di quest'ultimo, alla concezione statualistica del diritto espressione del dogma dell'onnipotenza legislativa, all'interpretazione della legge fondata sull'intenzione del legislatore, al culto del testo della legge, al rispetto rigoroso del principio di autorità. La scuola dell'esegesi in sostanza mirava alla formazione di una mentalità giuridica fondata sul principio di autorità, sul principio della certezza del diritto e sulla formazione universitaria dei giuristi che doveva riposare esclusivamente sul diritto positivo napoleonico.
Nel capitolo IV dell'opera l'A. tratta del formarsi del positivismo giuridico in Inghilterra: esamina in particolare la posizione del Bentham e indica questo autore quale un teorico della codificazione, il "Newton della legislazione", critico del common law sulle basi dell'Illuminismo fondato sull'etica utilitaristica. Assieme al Bentham l'A. esamina la posizione di Austin, il quale tentò di mediare tra la scuola storica tedesca e l'utilitarismo inglese operando una distinzione tra il diritto legislativo e il diritto giudiziario che veniva criticato a favore del primo.
Nella parte conclusiva dell'analisi storica l'A. giunge alle seguenti conclusioni:
— il fatto storico della produzione legislativa del diritto sta alla base del positivismo giuridico;
— la spinta alla legislazione nasce da una duplice esigenza: mettere ordine al caos del diritto precedente e fornire allo Stato uno strumento efficace per intervenire nella vita sociale;—
— la mancata codificazione in Germania non costituisce in realtà un'arresto dell'evoluzione giuspositivistica dato che le esigenze proprie della codificazione sono sostituite dalla funzione storica del diritto scientifico: come è noto, infatti, dalla scuola storica del diritto è nata la dottrina pandettistica e la giurisprudenza dei concetti. In definitiva il diritto scientifico viene visto come alternativo al diritto codificato. Specifica appare a questo proposito la posizione Jhering, il quale propone un metodo della scienza giuridica nel quale il compito del giurista si sostanzia oltre che nell'applicazione del diritto nella semplificazione quantitativa operata attraverso l'analisi giuridica, la concentrazione logica e la sistemazione dell'ordinamento giuridico.
La seconda parte dell'opera che si recensisce ha un contenuto teorico e s'intitola la dottrina del positivismo giuridico. In essa l'A. espone sistematicamente i punti fondamentali della dottrina giuspositivistica: ogni argomento affrontato gli dà modo di approfondire l'aspetto trattato tanto che le questioni esaminate in questa parte dell'opera sono state rielaborate successivamente. I punti fondamentali della dottrina giuspositivistica sono stati individuati nei seguenti:
a) teoria della validità del diritto nel senso che il formalismo giuridico è la teoria propria del giuspositivismo. Il diritto viene inteso come un fatto, o meglio un complesso di fatti, dati sociali analoghi a quelli naturali che si devono studiare alla stessa stregua di una realtà naturale. Viene negata la concezione del diritto come valore. Il positivismo e il realismo giuridico, secondo l'A., hanno un' impostazione "antiideologica", vale a dire il contenuto oggetto della legge è indifferente agli interessi del giuspositivista, il quale, d'altra parte, ritiene che il diritto possa disciplinare tutti i comportamenti umani possibili:
b) definizione del diritto come teoria della coattività del diritto stesso. L'A. esamina il formarsi di tale concezione individuando nel giusnaturalista Thomasio il teorizzatore originale di tale posizione nell'epoca moderna. Si intrattiene poi nell'esposizione dei coriferi più recenti di tale teorica, vale a dire Kant e Jhering, sino alla moderna formulazione di H. Kelsen e A. Ross.
c) teoria della legislazione come fonte preminente del diritto nell'ambito di una teoria generale delle fonti del diritto stesso. Perchè si possa divenire alla individuazione della legge come fonte unica di qualificazione giuridica occorre che l'ordinamento giuridico presenti il carattere della complessità e sia gerarchicamente strutturato.
d) teoria imperativistica del diritto che intende la norma giuridica quale comando. L'A. si intrattiene estesamente ad individuare il discrimine tra nozione di comando e consiglio; espone poi la teoria imperativistica più recente, quella di H. Kelsen, secondo il quale la norma giuridica è concepita come un imperativo ipotetico ed è indirizzata ai giudici e non già ai cittadini. Tale teoria viene definita teoria dell' imperativismo critico, concezione culturalmente più matura sull' argomento rispetto alle concezioni imperativistiche ingenue sostenute da T. Hobbes, Austin e Thon, secondo le quali il comando normativo è rivolto direttamente ai cittadini.
e) teoria della coerenza e completezza dell' ordinamento giuridico che, a detta dell'A., costituisce un contributo originale del positivismo giuridico. Dopo aver esposto in via sommaria la concezione kelseniana dell' unità dell'ordinamento giuridico si intrattiene sulla nozione di coerenza, e quindi sui criteri idonei ad eliminare la antinomie normative che si presentano in ogni ordinamento alla stregua dei criteri cronologici, gerarchici e di specialità e sulla nozione di completezza dalla cui tematizzazione discende la risoluzione del problema giuridico delle lacune della legge. Sotto questo ultimo problema l'A. espone la teoria dello spazio giuridico vuoto formulata da S. Romano e la teoria della norma generale esclusiva.
f) concezione metodologica della scienza giuridica guale teoria meccanicistica dell'interpretazione, teoria più conforme ai dettami del giuspositivismo in quanto considera l'attività del giurista e del giudice come attività essenzialmente logica. Sotto questo profilo il positivismo giuridico si atteggia a positivismo etico in quanto richiede l'obbedienza da parte dell'interprete. Infine, l'A. espone sistematicamente l'intera concezione teorica giuspositivista secondo tre criteri di valutazione, quella ideologica, quella metodologica e quella della teoria del diritto e esprime al riguardo il proprio punto di vista che verrà successivamente perfezionata ed illustrata dall'A. (Bobbio, 1965). Pertanto l'A. propone la seguente tripartizione:
a) il positivismo giuridico come metodo come modo cioè di accostarsi al diritto: esso consiste nel considerare il diritto come fatto e non come valore, nello studiare il diritto oggettivamente senza formulare giudizi di valore;
b) il positivismo giuridico come teoria del diritto: si tratta della concezione statalistica del diritto. All'interno di essa vengono proposte cinque concezioni:
1. la coattività del diritto;
2. la legislazione come fonte prevalente del diritto;
3. la concezione imperativistica del diritto;
4. la concezione della coerenza e completezza dell'ordinamento giuridico;
5. la concezione meccanicistica dell'interpretazione
c) Il positivismo giuridico come ideologia della giustizia; nel positivismo etico si stabilisce il principio del dovere di assoluta obbedienza alla legge perchè tale.
La valutazione dell'A. sulla tripartizione proposta del positivismo giuridico è molto chiara. La concezione del positivismo giuridico quale metodo è da accogliere integralmente, dato che se si intende concepire un metodo scientifico circa il diritto, necessariamente deve essere avalutativo; di fatti il connotato della avalutatività è proprio di qualsivoglia attività scientifica in quanto carattere comune alla fisica, alla matematica e alle scienze della natura e sociali.
Il positivismo giuridico quale teoria va accolto solo nella parte che l'A. ritiene essenziale, vale a dire la concezione coattiva del diritto, imperativistica e legislativa, mentre le restanti concezioni sono da ritenersi inessenziali in una teoria specifica del giuspositivismo.
Più complessa è l'esposizione e la discussione del positivismo giuridico quale ideologia. Al riguardo va operata una distinzione secondo l'A.: la versione che viene denominata estremista, intesa come quella concezione che indica nel diritto posto dallo stato un valore assoluto e supremo e una versione denominata moderata caratterizzata dalla proposizione di valori giuridici tipicamente strumentali, quali l'ordine, l'uguaglianza formale e la certezza del diritto, che hanno rappresentato un sostegno ideologico a favore dello stato liberale ma non già di quello totalitario. Solo la versione ideologica moderata è propria della concezione del positivismo giuridico, dato che quella estremista non è rinvenibile secondo l'A. nel positivismo giuridico inglese e francese ma è presente soltanto in alcuni esponenti del positivismo giuridico tedesco che hanno più di altri risentito l'influsso dello storicismo romantico hegeliano.
B) Bobbio, 1965
Raccoglie, rielaborati e riordinati, alcuni scritti su fondamentali argomenti di filosofia giuridica pubblicati dall'A. in diverse riviste negli anni dal '59 al '64. Ne risulta un lavoro organico orientato verso la demistificazione e la smitizzazione di alcuni problemi giuridici tradizionali. Il libro è diviso in tre parti. La prima intitolata "diritto e filosofia" è dedicata alla natura e al significato attuale della filosofia del diritto. L'A. esamina nel cap. I intitolato Situazioni e orientamenti i diversi atteggiamenti dei giuristi pratici e degli studiosi del diritto italiani che hanno assunto nel secondo dopoguerra nei confronti della crisi del diritto; l'A. li accomuna nella c.d. "rivolta contro il formalismo" nella quale confluivano a suo giudizio quattro orientamenti fondamentali:
1) la critica del positivismo giuridico in difesa del diritto naturale. E' il rimedio alla crisi del diritto proposta da parte dei giuristi cattolici;
2) la critica dello statualismo in favore della ripresa della teoria istituzionale del diritto. Secondo tale critica le dottrine giuridiche positivistiche, quelle che hanno assegnato allo stato il monopolio della produzione giuridica, sono gravate dalla responsabilità del totalitarismo, conseguenza naturale del giuspositivismo, sostenuto dalla scienza giuridica ufficiale ancorata al dogma della statualità del diritto. La concezione critica a riguardo del pluralismo giuridico viene esaminata dall' A. secondo la teoria istituzionale di S. Romano;
3) critica del legalismo che avrebbe dovuto aprire la strada alla revisione delle fonti del diritto. La concezione positivistica della legge quale fonte principale del diritto nel dopoguerra è stata attaccata dai sostenitori del diritto consuetudinario e giudiziario individuati dall'A. soprattutto nella dottrina giuridica internazionalista;
4) critica del concettualismo giuridico in nome di norme meno rigide di interpretazione e di una giurisprudenza più aperta allo studio empirico del diritto. L'A. esamina quella che egli definisce la disputa sui metodi della scienza giuridica e sull'interpretazione e la tendenza dottrinale dell' allargamento dei mezzi ermeneutici per consentire maggiore libertà all'interprete (si sofferma in particolare sulla posizione di E. Betti e T. Ascarelli).
Gli indicati orientamenti corrispondevano secondo l'A. ai problemi propri della filosofia del diritto: la giustificazione etica del diritto; il rapporto tra diritto e stato; la teoria delle fonti del diritto; la funzione e i metodi della scienza giuridica. Infine l'A. auspica un avvicinamento fra i giuristi pratici e i filosofi del diritto nell'affrontare i comuni temi.
L'A. affronta poi il tema della natura e funzione della filosofia del diritto nel cap. II. La tesi ivi sostenuta è che tale filosofia non può essere considerata una disciplina unitaria e dovrebbe essere disarticolata in vari campi di studio più particolari e specifici. La filosofia del diritto viene concepita dall'A. quale filosofia che tratta tre gruppi di ricerca:
a) teoria del diritto, che ha il compito di determinare il concetto di diritto; deve essere sulle orme di Kelsen, una teoria del diritto inteso come ordinamento, come insieme di norme. Si suddivide a sua volta tale teoria nelle seguenti parti:
a1) composizione dell'ordinamento giuridico, ossia concetto di norma, descrizione dei vari tipi di norme dal momento che l'ordinamento giuridico è per l'appunto un composto di norme (teoria della norma giuridica);
a2) formazione dell'ordinamento giuridico, ovverossia teoria delle fonti del diritto;
a3) unità dell'ordinamento giuridico, ossia la questione delle lacune del diritto e loro integrazione;
a4) coerenza dell'ordinamento giuridico, ossia antinomie dell'ordinamento e la loro possibile eliminazione;
a5) rapporti tra ordinamenti giuridici: rapporti spaziali, temporali e materiali.
La teoria del diritto, secondo l'A., è una teoria formale perchè si occupa della forma del diritto, cioè delle norme e degli ordinamenti nella loro specifica struttura e non già nei loro contenuti.
b) teoria della giustizia. Di solito tale teoria viene identificata con qualche concezione del diritto naturale determinato astrattamente e a priori. Secondo l'A., l'impostazione deve essere diversa, dato che compito della teoria della giustizia e indicata:
bl) in una ricerca comparativistica sui criteri di volta in volta assunti nelle diverse civiltà, epoche allo scopo di giudicare il giusto e l'ingiusto. L'A. parla di una fenomenologia della giustizia, all'interno della quale "giustizia" si intende l'insieme dei valori o beni o interessi per la cui protezione e per il cui incremento gli uomini fanno ricorso a quella tecnica di convivenza cui siamo soliti dare il nome di diritto:
b2) considerazione analitica (eseguita con i metodi della filosofia analitica) dei giudizi di valore che vengono formulati in termini di giustizia. L' A. auspica che con questi metodi venga ripresa la critica della tradizionale dottrina del diritto naturale.
b3) filosofia del diritto in senso stretto: dato che ogni filosofia ha un carattere ideologico, nel senso che un sistema di valori in base ai quali la realtà viene giudicata, la filosofia del diritto, di fronte al diritto, una teoria della giustizia, ovvero la determinazione "del valore che presiede al costituirsi della realtà giuridica"
c) teoria della scienza giuridica. Essa deve studiare i procedimenti intellettuali che i giuristi adoperano per accertare, interpretare, integrare, conciliare tra loro le regole di un sistema giuridico. Si tratterebbe, secondo l'A., non già di costruire un modello astratto di scienza del diritto da imporre al giurista, bensì di fare una analisi dei vari tipi di argomentazione usati dai giuristi, allo scopo di elaborare una nuova logica legalis, utilizzando i servigi della logica moderna, dalla logica simbolica alla nouvelle rhetorique di Perelman.
L'A. poi si sofferma a criticare nel cap. III intitolato La filosofia del diritto e i suoi problemi l'idea della filosofia del diritto quale filosofia applicata, così come era stata ampiamente intesa dalla letteratura giuridica italiana sotto l'influsso del neokantismo; secondo questa concezione esisterebbe la filosofia generale che tratta i temi fondamentali del pensiero riflesso e la filosofia del diritto alla quale sarebbe affidato il compito di trarre ispirazione e guida a principi elaborati dalla filosofia generale. La filosofia del diritto assumerebbe un ruolo di compagno minore della filosofia (la filosofia del diritto come "ancilla philosophiae"): tale impostazione presenta l'inconveniente che la filosofia applicata si limiterebbe alla trasposizione estrinseca di soluzioni da una disciplina all'altra con la conseguenza che i problemi generali del diritto non vengono studiati partendo dall' interno dell' esperienza giuridica stessa, ma dalle soluzioni date a problemi ancora più generali e comunque diversi. Secondo l'impostazione tradizionale della filosofia del diritto criticata dall'A. ad essa venivano affidati tre compiti essenziali: a) deontologico: dottrina di ciò che il diritto deve essere; b) ontologico: dottrina di ciò che il diritto è; c) fenomenologico: dottrina dell' evoluzione del diritto nella società: all'indicata tripartizione sfuggivano alcuni problemi appartenenti alla filosofia del diritto e segnatamente quello metodologico della scienza giuridica; tale ultimo problema si avvale, secondo l'A, del sussidio della teoria della conoscenza e della logica e si esprime nei due quesiti fondamentali: 1) se la giurisprudenza sia una scienza, 2) posto che lo sia, a quale tipo di scienza appartenga.
In definitiva, la mappa del sapere delineata dall'A. è costituita da cinque discipline : 1) teoria del diritto; 2) teoria della scienza giuridica; 3) teoria della giustizia, che a sua volta si suddivide in tre parti, la teoria sociologica, la teoria analitica e la teoria ideologica; 4) la scienza giuridica; 5) la sociologia del diritto. L'A. assegna quattro tipi di ricerca alla filosofia del diritto: 1) la ricerca deontologica; 2) la ricerca ontologica; 3) la ricerca fenomenologica; 4) la ricerca metodologica.
La seconda parte, intitolata Del positivismo giuridico, è dedicata all'analisi del concetto di positivismo giuridico. Dopo aver analizzato i significati del formalismo giuridico (cap. IV) nel quale si esprimerebbero le varie forme storiche del giuspositivismo, bersaglio abituale dei giusnaturalisti e realisti, l'A. riprende i diversi significati del positivismo giuridico, perfezionandoli, già esposti nell'opera precedentemente recensita (Bobbio, 1979), secondo le triplici nozioni di teoria, ideologia e metodo (cap. V: Aspetti del positivismo giuridico). In particolare l'ideologia è intesa quale la credenza che il diritto, per il solo fatto di esistere, costituisca un valore, e l'obbedienza alle norme giuridiche sia un dovere morale, intendendosi per dovere morale una obbligazione interna o in coscienza, cioè l'obbligazione dovuta per rispetto della legge in contrapposizione a quella esterna o per timore della sanzione. A sua volta la teoria è quella che "collega il fenomeno giuridico alla formazione di un potere sovrano capace di esercitare la coazione: lo stato". Infine il metodo è definito dall' A. come "un certo atteggiamento nei confronti della funzione stessa della ricerca"; tale atteggiamento scientifico riprende il termine alle scienze descrittive ed esplicative, ragion per cui si mantiene netta la distinzione "fra il diritto come fatto ed il diritto come valore", astenendosi da ogni presa di posizione di fronte alla realtà osservata, da ogni qual si voglia valutazione. L'atteggiamento descritto ha a che vedere con il positivismo filosofico, perchè consiste nella adozione del metodo "positivo" delle scienze descrittive ed esplicative nello studio del diritto.
Schematicamente, nel cap. VI intitolato Giusnaturalismo e positivismo giuridico l'A. descrive tre forme storiche di diritto naturale concepite di rango superiore al diritto positivo, sottoponendole agli argomenti critici che giuspositivisti gli hanno rivolto. Esse sono: a) il diritto naturale scolastico: il diritto naturale inteso come un insieme di principi etici generalissimi dai quali deriva per conclusione e determinazione il diritto positivo; le sue norme si dirigono al legislatore e il suddito dovrà obbedire talvolta alle leggi ingiuste, propter vitandum scandalum. Il positivismo per contrastare tale concezione si è valso soprattutto della critica storicista la quale ha posto in luce che non esistono principi etici autoevidenti intesi quali valori assoluti universali. In realtà, secondo l'A., le pretese leggi naturali primarie sono meramente formali e quindi riempibili di ogni contenuto e interpretabili da ciascuno a modo suo, dato che le leggi della condotta sono mutevoli nel tempo e il criterio del bene e del male è quello stabilito dall'autorità costituita; b) il diritto naturale razionalista: il diritto naturale è un insieme di dictamina rectae rationis, che costituiscono la parte precettiva della norma; il legislatore solo aggiunge la parte punitiva, esigita per la coesistenza civile; destinatario delle norme è l'individuo che possiede un diritto alla resistenza. La critica del giuspositivismo al riguardo è consistita nell'affermazione che non esistono materie privilegiate ma ogni comportamento può diventare il contenuto della norma giuridica; c) diritto naturale hobbesiano: il diritto naturale ha quale unico contenuto convalidare i mandati del sovrano; il precetto è esigere dai sudditi una obbedienza incondizionata. La critica del positivismo è consistita nel rivelare che non e concepibile una fondazione del diritto su altro diritto ma sul fatto, cioè sul principio di effettività. Anche il giusnaturalismo viene esaminato dall'autore secondo la esposta tripartizione. Egli indica in proposito:
a) secondo la teoria generale del diritto il giusnaturalismo è una teoria della morale, secondo la quale il fondamento delle regole della condotta umana non è rappresentato dalla volontà del legislatore (divino o umano), entità essenzialmente mutevole ma la costante, uniforme, sempiterna natura umana. Il giusnaturalismo non è un sistema di valori o di prescrizioni ma un insieme di considerazioni sulla natura umana destinati a fondare obiettivamente un sistema di valori, quale che essi siano. Di qui deriva la considerazione delle leggi della condotta espressi non sotto forma di comandi, ma come dictamina rationi; cioè nel vedere nella natura delle cose e non nella legislazione la fonte principale della produzione scientifica oltre alla considerazione che l'ordinamento giuridico appare intrinsecamente incompleto e bisognevole dell'azione integratrice del giudice e della libera investigazione del diritto;
b) come metodo il giusnaturalismo si caratterizza da una definizione valorativa del diritto, ossia da una definizione che considerando il diritto non come mero fatto ma come qualcosa che ha o realizza il valore e limiti l'uso del diritto al diritto giusto. Si tratta di introdurre nella definizione del diritto il riferimento al fine (bene comune, pace, giustizia e così via) che deve realizzare. La conseguenza per la scienza giuridica è che essa deve orientarsi fondamentalmente alla "critica delle leggi", perciò il giusnaturalismo contiene un invito ai giuristi ad avere in conto che il diritto è un fenomeno del mondo umano e che l'atteggiamento del giurista si esprime nell'attitudine dell' investigatore scrupoloso, imparziale, metodico ma anche nell'attitudine valutativa del critico; da questa attività propria del giurista dipende il mutamento, la trasformazione e l'evoluzione del diritto.
c) dal punto di vista dell'ideologia: per la versione radicale il giusnaturalismo afferma che le leggi devono essere obbedite solo in quanto sono giuste, e per questo il cittadino ha sempre un diritto alla disobbedienza e alla resistenza; per la versione moderata, esso ammette che in caso estremo, anche le leggi ingiuste devono essere obbedite.
La terza e ultima parte intitolata Del Giusnaturalismo costituisce un tentativo di interpretazione del giusnaturalismo e propone la tesi che questo sia non una morale ma una teoria della morale. L'A. si propone nel cap. VII intitolato Argomenti contro il Diritto Naturale, la critica della nozione di diritto naturale: vi sostiene che il diritto naturale non è diritto nel senso proprio della parola, e non è naturale nel senso che non deriva dalla natura. In proposito propone sei argomenti contro il diritto naturale, i primi tre contro la tesi che sia un diritto, i restanti tre contro la tesi che sia naturale. Essi sono:
1) il diritto naturale non è diritto alla stessa stregua del diritto positivo, perchè manca dell'attributo dell'efficacia;
2) il diritto naturale non riesce a raggiungere lo scopo che viene attribuito ai sistemi giuridici positivi, perchè non garantisce la pace e la sicurezza, la convivenza della società umana;
3) il diritto positivo ha invaso a poco a poco tutti i campi che venivano assegnati al diritto naturale, sicchè la funzione di quest'ultimo è da intendersi esaurita;
4) la nozione di natura è così equivoca che sono stati considerati come naturali diritti diametralmente opposti, sicchè il diritto naturale generi incertezza tra i cittadini;
5) e anche se l'accordo su ciò che è naturale fosse stato unanime non ne sarebbe derivato necessariamente l'accordo unanime su ciò che è giusto e ingiusto;
6) anche se l'accordo su ciò che è giusto perchè naturale fosse unanime ciò non implica la validità di questo accordo per il tempo presente.
L'A. poi svolge una interpretazione del giusnaturalismo nel cap. VIII intitolato Il giusnaturalismo come teoria della morale il giusnaturalismo viene inteso non come una morale ma come una teoria della morale, indicando come devono essere le norme morali per essere valide. Esse devono fondarsi sulla natura, ma la natura non può fondare niente dato che da fatti non si possono derivare valori, e la varietà dei giusnaturalismi storici mostra che il riferimento alla natura è ambiguo. Vi è però, secondo l'A., una valida esigenza in difesa del giusnaturalismo: quella di voler giudicare il diritto positivo secondo un criterio di giustizia che si ponga al di là della sua legalità o effettività. Ma per criticare il diritto vigente non occorre rifarsi ad un diritto naturale, come mostrano tanti teorici che hanno combattuto leggi ingiuste senza appellarsi necessariamente agli eterni dettami della natura. E' vero che nel corso della storia, le varie forme storiche assunte dal giusnaturalismo hanno tutte svolto una funzione essenziale, quella che l'A. unitariamente definisce nell'aver posto limiti al potere dello stato; è vero che tale funzione ha consentito storicamente l'elaborazione dei principi giuridico-costituzionali che hanno presieduto la formazione dello stato di diritto e del costituzionalismo moderno; ma l'anzi-detta funzione storica, per l'A., è definitivamente esaurita, dato che ormai gli orientamenti critici dell' ordinamento giuridico che sono andati formandosi nell' 800 e nel 900 hanno soppiantato il giusnaturalismo nella sua funzione. A conclusione di questa parte l'A. svolge un'esame della dottrina della natura delle cose.
PARTE SECONDA: VALUTAZIONE DOTTRINALE
Va osservato che la ricostruzione storica del giuspositivismo e del formarsi di tale orientamento circa il diritto è contenuta in un' opera universitaria che raccoglie appunti dalle lezione dell'A.. Se quindi, la materia trattata in più parti appare disomogenea, non compiuta e non particolarmente curata, (per una recente trattazione accurata dell'A. si veda da ultimo Bobbio, 1980, dove l'A. riprende in buona parte l' esposizione contenuta nell' opera che si recensisce) pure la nota introduttiva redatta dall'A., nell' edizione del 1979-ove si indica l'occasione storica che lo ha indotto alla risoluzione di tenere le lezioni universitarie sul "positivismo giuridico"— , attesta la piena paternità di quanto egli ha trattato nel testo che si esamina.
IV. La ricostruzione storica (Bobbio 1979, I parte)
Nella parte storica, l'A. sottolinea esattamente che una ricostruzione della nozione del diritto positivo non può essere adeguatamente compiuta sul piano storico se non unitariamente alla correlativa nozione di diritto naturale; però, nel corso della trattazione storica del binomio positivismo/giusnaturalismo, egli omette sostanzialmente di esaminare lo sviluppo dei concetti di diritto naturale e diritto positivo proprio nel periodo classico e medioevale. Manca quindi un serio approfondimento del diritto naturale classico (per una compiuta esposizione storica sull'argomento invece, Ambrosetti 1985; Pizzorni, 1978). Ricostruzione da intendersi quindi riduttiva perchè non affronta e indaga gli orientamenti di fondo, le premesse teoriche diverse del diritto naturale classico e della nuova scuola del diritto naturale il c.d. giusnaturalismo, e quindi delle correlative concezioni del diritto positivo: il primo si fonda sulla nozione metafisica di persona, padrona del proprio essere costitutivamente aperta alla socialità e alla storia; il secondo si presenta sulla base di una nozione di titolare del diritto interpretato secondo una prospettiva individualista ed antistorica. In particolare l'A. trascura che la nuova scuola del diritto naturale —così come gli studi storici hanno definitivamente accertato (Ambrosetti,1985)— muovendo da premesse nominalistiche concepisce l'uomo, sotto l'influsso della antropologia protestante, quale creatura abbandonata al peccato, sprovvista così di un equilibrio interiore e di un solido inserimento nella socialità (posizione individualista) dato che l'individuo è costitutivamente impossibilitato ad una apertura verso la comunità quale sviluppo della natura sociale della persona; creatura intesa, sulla base di premesse razionaliste astratte, incapace di situarsi nel significato degli accadimenti storici che è chiamato a vivere.
V. L'unità di funzione del giusnaturalismo secondo l'A.
La proposta ricostruzione delle forme storiche di giusnaturalismo da parte dell'A. sotto una complessiva unità di funzione riscontrabile a suo giudizio in tutto il corso della storia umana, unità di funzione identificata nella posizione di limite al potere del legislatore positivo, e più in generale dei pubblici poteri, si presta ad almeno due considerazioni critiche: a) l'eterogeneità delle manifestazioni storiche del giusnaturalismo non consente sul piano storico una univoca individuazione delle funzioni adempiute dal giusnaturalismo stesso; b) l'interpretazione del giusnaturalismo alla stregua della valutazione meramente politica, significa impoverire la nozione di diritto dato che prima di tutto, come si dirà più avanti, la dottrina del diritto naturale implica, per un'esatta impostazione, una definizione corretta del diritto e una nozione precisa di persona.
VI. La radice filosofica del giusnaturalismo razionalista e del giuspositivismo.
In una prospettiva più profonda la distinta concezione fra il diritto naturale classico e quello della scuola nuova del '600 corrisponde in definitiva alla contrapposizione tra due modi diversi di prospettive filosofiche in radicale contrasto tra di loro quanto al presupposto gnoseologico: tra posizioni di pensiero cioè, che ritengono possibile una conoscenza dell'ordine dell'essere (e quindi del giusto ordine sociale) e posizioni di pensiero che tale conoscenza non reputano possibile. E la negazione dell' esistenza di un ordine oggettivo distinto dal soggetto conoscente non è nata sul terreno del diritto, ma consegue alla penetrazione nella cultura giuridica del pensiero filosofico post-cartesiano; e i frutti di tale penetrazione sono rappresentati per l'appunto dal giusnaturalismo razionalista e dal giuspositivismo. Tutta la storia della filosofia dell'immanenza va vista come un progressivo approfondimento dell'elemento volontaristico già insito nel cogito che si presenta sempre di più come un volo cogitare: all'ordine oggettivo disvelato e riconosciuto dall'intelligenza si sostituisce, nel pensiero moderno (e quindi, in una sua specifica posizione giuridica, quella del giusnaturalismo e del conseguente giuspositivismo) un ordine etico normativo liberamente creato dalla volontà umana. Il razionalismo formalista in definitiva, quello proprio del pensiero moderno e del correlativo sviluppo, rivela la radice volontaristica, virtualmente secolarizzata ed atea (amplius: Fabro, 1969; Cardona, 1972; in una prospettiva storico-giuridica Rommen, 1947).
VII. Le conseguenze derivanti dal pensiero moderno nella definizione di diritto e nella organizzazione di pubblici poteri.
A seguito dell'indicato rovesciamento metafisico, viene negata dal pensiero moderno la possibilità di un fondamento oggettivo dell'essere e di un conseguente ordine oggettivo di verità e di valori; in tal modo il diritto non è inteso come una categoria oggettiva univocamente riconoscibile da ogni uomo dotato di retta ragione, ma si risolve in una etichetta ideologica variamente applicata dalla volontà del legislatore in un momento dato del divenire storico. Di conseguenza, le condotte non vengono più regolamentate dal legislatore perchè intrinsecamente buone o cattive, ma perchè la volontà del legislatore ha deciso, anche a prescindere dal carattere specificamente personale della natura umana, di regolamentare secondo un proprio arbitrario criterio giuridico l'azione umana.
Alla stregua di tale orientamento di pensiero, la libertà è la libera creazione della verità e dei valori da parte della coscienza, così che il fondamento ultimo del diritto è il soggetto giuridico —autorità o ente— che pone la norma vincolante e non già la persona umana qua talis. Alla luce di quanto esposto la chiave interpretativa espressa nella definizione di positivismo giuridico proposta dall'A., proprio perchè si incentra sui modi di produzione normativa, vale a dire sul momento volontaristico della produzione di un diritto vincolante, inteso quale momento costitutivo ed esclusivo del diritto vigente, attraverso i quali lo stato moderno nella odierna configurazione pone il diritto; l'A. non indaga invece le radici metafisiche del mutamento avvenuto nella visione generale dell'uomo nella società, risulta inadeguata a comprendere il fondamento volontaristico insito nel cogito e nei suoi sviluppi storici dal quale trova spiegazione le forme, prima, di giusnaturalismo e poi di giuspositivismo che si sono succedute nella storia moderna e contemporanea. La traduzione istituzionale del giuspositivismo va sintetizzata nelle seguenti proposizioni: non vi è altro diritto che quello positivo; il diritto positivo è creazione del potere legislativo mediante la legge; il potere giudiziario è subordinato al potere legislativo; la interpretazione della legge non ha carattere creativo. Da ciò deriva evidentemente un atteggiamento di fiducia incondizionata nel potere e nella legge (e non a caso la dogmatica giuridica si propone la razionalizzazione di quanto prescritto dal volente-legislatore), e di disimpegno critico per un controllo della razionalità del voluto-legge; atteggiamento che è stato rafforzato dal formarsi del fenomeno della codificazione quale derivato del principio assoluto della legge sulle altre fonti del diritto, nonché nel divieto della applicazione estensiva e analogica della legge. Ora, se da un canto l'affermazione della supremazia assoluta della legge come principio ordinatore dell' attività dello stato esprime l'assolutezza del potere statale, da un altro canto la negazione dell'applicazione estensiva e analogica della norma esprime il programma di centralizzazione e concentrazione del potere politico negli organi centrali dello stato attraverso la rigida subordinazione —funzionale e politica, ovvero soltanto funzionale— dell'autorità giudiziaria rispetto agli organi statali detentori della competenza legislativa: tramite l'ideologia e la pratica della legge si nega così, per un verso l'esistenza di un qualsivoglia vincolo superiore al legislatore , e per un altro verso si toglie ogni efficacia ad un eventuale freno proveniente dal basso, nei confronti del potere legislativo.
La supremazia assoluta della legge si fonda sulla concentrazione di ogni valore rappresentativo nelle istituzioni facenti parte dell'apparato dello stato e nella eliminazione dei vari corpi di autonomia sociale a vantaggio dell'unico corpo politico sovrano. Il diritto è ridotto al prodotto delle decisioni del potere sovrano, nel rispetto delle formalità predisposte dall'ordinamento giuridico costituito, nella trascuratezza della dialettica e del freno costituito dall' esistenza e dall'azione di poteri sociali esterni e talora contrapposto al potere sovrano: l'istituto della separazione dei poteri sembra così ridursi a formula della funzionalità giuridica, per cui vanno divise tra organi funzionalmente distinti attività logicamente distinguibili. Appaiono evidenti le conseguenze pregiudizievoli per la società di tale prospettiva quando si intenda dai pubblici poteri sottrarre all'iniziativa dei componenti di una comunità minore il potere autonomo spettante loro per legge naturale di disciplinare sfere di attività dirette a perfezionare se stessi e gli altri, secondo il principio di sussidiarietà dichiarato dalla dottrina sociale della Chiesa (Pio XI, Quadragesimo Anno).
VIII. La nozione classica di diritto, di diritto naturale e positivo.
Dal punto di vista più specificamente giuridico, le concezioni del giuspositivismo e del giusnaturalismo storicamente conseguente proposto dall'A., derivano da un'erronea nozione di diritto e della relazione tra il diritto naturale e quello positivo, alla luce del pensiero giuridico classico e dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa.
Innanzitutto il diritto naturale, contrariamente a quanto affermato dall'A., è da ritenersi un vero e proprio diritto vigente negli ordinamenti giuridici. Difatti secondo la prospettiva classica che si è snodata sulla base delle riflessioni di Aristotile, dell'esperienza pratica dei giuristi romani e del pensiero di Tommaso d'Aquino, il diritto viene definito quale la cosa giusta (res iusta) dovuta ad una persona secondo una certa relazione di eguaglianza; pertanto è nozione inseparabile dalla virtù della giustizia, della quale costituisce propriamente l'oggetto (Hervada, 1981; Villey, 1975). L'atto di giustizia, difatti, è inteso secondo la definizione classica quale l'atto di dare a ciascuno il suo (Aristotile) e consegue alla costituzione di un diritto, giacché postula il fatto dell'attribuzione e ripartizione delle cose alle persone. In definitiva l'atto di giustizia è un atto secondo rispetto all'atto primo di attribuzione e ripartizione dei beni, atto che costituisce il diritto. In tale indicata definizione si esclude che la volontà del legislatore — volontà costitutiva del diritto positivo, purché conforme alle esigenze della natura umana, — sia il titolo esclusivo del diritto (affermazione che sostanzia il dogma dell'onnipotenza del legislatore implicito in qualsiasi forma di giuspositivismo rigorosamente inteso): la legge, quale atto specifico del potere legislativo, inteso quest'ultimo quale potere preposto alla regolamentazione dell'esercizio dei diritti e dei doveri di tutti i membri della società in ordine al bene comune, è la causa e la regola del diritto (anche se, lo si ripete, negli attuali ordinamenti giuridici esso rappresenta il titolo prevalente ma non esclusivo del diritto) ma non è il diritto propriamente inteso dato che la legge dà a conoscere ai membri della società il dovuto giuridico, il giusto positivo. Esplicitamente San Tommaso afferma che "...la legge non è, propriamente parlando, il diritto medesimo, ma la norma remota del diritto —la ratio legis—" (S. Th. II,II q. 57a1ad2) e che la nota della positività non è il connotato costitutivo del diritto dato che "la formula scritta contiene il diritto naturale, ma non lo istituisce: esso infatti non riceve la sua forza dalla legge ma dalla natura" (S. Th. II,II q. 60a5).
E' insegnamento del Magistero della Chiesa che la volontà del legislatore manifestatasi nell'atto legislativo subisca dei limiti negli ordinamenti giuridici. I limiti sono determinati dall'ordine morale e dal diritto naturale, dal bene comune e dall'ordine giuridico legittimamente statuito (Gaudium et Spes, 1965). L'inosservanza dei menzionati obblighi gravanti sul legislatore comporta che la statuizione legislativa è nulla (Leone XIII, Diuturnum Illud 1881) e il componente della comunità politica è tenuto a non prestare obbedienza ad essa perchè il legislatore, abusando del potere ricevuto ha violato la volontà divina (Leone XIII, Libertas Praestantissimum 1888). Più compiutamente, la formazione del diritto vigente è data dalla concorrenza di due fattori necessari: le cose che vengono attribuite ad una persona in virtù della natura umana (il giusto naturale) e le cose che vengono attribuite ad una persona sulla base di una statuizione umana (il giusto positivo), la volontà del legislatore, purché come già si è indicato, essa sia conforme al giusto naturale; e ciò per la ragione derivante dalla definizione data di diritto, inteso come res iusta. In altri termini il diritto positivo necessita di quello naturale come proprio fondamento; quello naturale richiede quello positivo come applicazione, esplicitazione e complemento del primo. E' agevole intendere quindi che il diritto naturale non è un diritto ideale, non forma un ordine giuridico separato dal diritto positivo, così come invece ha sostenuto erroneamente la scuola razionalista del diritto naturale (Tommasio, Hobbes); e, come sotto l'influsso di quest'ultimo, l'A. (Bobbio, 1965) ha ripetuto: secondo l'A. difatti, il diritto naturale sarebbe sprovvisto dei connotati specifici del diritto e verrebbe ridotto a teoria della morale e più esattamente ad una tipologia della morale (Bobbio, 1965). E' evidente che l'esistenza del giusto naturale e di un diritto naturale come parte del diritto vigente, postula, per la definizione data di diritto, che l'uomo è un essere personale signore di sè, titolare di diritti e di libertà oltre che dei doveri correlativi, soggetto reale di natura razionale, soggetto di conoscenza intellettuale e di volere libero, creatura dotata di un grado superiore di partecipazione nell'essere. Quando invece si intende negare lo statuto ontologico della persona, così come ha fatto buona parte del pensiero moderno e contemporaneo cadendo in un errore antropologico, si perviene a dare una nozione inesatta di diritto e di conseguenza a negare l'esistenza di un diritto naturale.
IX. La nozione di filosofia del diritto e di scienza giuridica nella prospettiva positivistica dell'A.
I criteri di distinzione e di classificazione delle posizioni di pensiero giuspositivistiche e giusnaturalistiche adottate dall'A. oltre alla formulata classificazione e definizione della scienza giuridica, meritano alcune considerazioni.
La filosofia del diritto viene intesa dall'A. come metodologia delle scienze, una sorta di metascienza, cioè un accertamento rigoroso dei procedimenti con cui è condotta la ricerca della scienza giuridica. In tale visione i contenuti di valore, definiti ideologici, vengono intesi quali posizioni apodittiche di valore non suscettibili di una valutazione rigorosamente scientifica: è l'adesione alla corrente neo-positivista, caratterizzata da una forte polemica anti metafisica. Se si intende, difatti, come afferma l'A. che "l'espressione dell'atteggiamento puramente conoscitivo che l'uomo assume di fronte ad una certa realtà ed è quindi costituito da un complesso di giudizi di fatto che hanno come scopo esclusivo informare" (Bobbio, 1979) è quella propriamente scientifica mentre "l'espressione di un atteggiamento valutativo che l'uomo assume di fronte ad una certa realtà inteso quale complesso di giudizi di valore che hanno lo scopo di influire su tale realtà" (Bobbio, 1979) è quella definita ideologica, è conseguenziale pervenire alla conclusione che la scienza è la descrizione avalutativa della realtà e che il metodo positivistico, nel campo del diritto, è puramente e semplicemente il metodo scientifico e ove non lo si accolga non si fa scienza. E' quindi chiaro che la visione proposta implica a sua volta una specifica posizione dell'A. in ordine alla filosofia e alla scienza, la quale presuppone una chiara distinzione tra teoria e prassi, volontà e ragione, emozione e intelletto e quindi fra filosofia e scienza. Questo rilievo consente di vedere meglio circa i fondamenti filosofici dell'A. (Kelsen) e l'influenza esercitata proprio dal positivismo logico, specie per quanto riguarda appunto la concezione della filosofia come ideologia e soprattutto la netta distinzione tra giudizio di realtà e giudizio di valore da cui consegue la negazione del carattere di scientificità ad ogni discorso che contenga giudizi del secondo tipo (Caiani, 1954). L'intento di trattare "scientificamente", in maniera del tutto distaccata e imparziale, una determinata sfera di rapporti umani designati giuridici, rappresenta in realtà il risultato di una "scelta ideologica", dell'accettazione di una premessa di valore: optare per un metodo avalutativo di studio del diritto, un metodo che pretenda di produrre una teoria del diritto non compromessa da contaminazioni etiche ed ideologiche di sorta, significa negare che i fatti siano portatori di valore in contrasto con la concezione tomista secondo la quale l'essere è buono (ens et bonum convertuntur): il diritto è res e il valore è parte della realtà. Sotto altro aspetto, secondo l'impostazione dell'A., il sapere giuridico viene analizzato secondo la metodologia delle scienze esatte. L'aspirazione delle "scienze pratiche" alla precisione ha origine nel formarsi del pensiero moderno e si afferma fra l'altro come volontà di autonomia, una volta che il metodo e l'esattezza del sapere geometrico e matematico siano stati accettati come validi per ogni forma di sapere. Da tali premesse che hanno dato vita al razionalismo descrittivo è derivato il principio della neutralità valutativa della scienza sociale e quindi anche giuridica, di ispirazione positivistica.
In realtà, secondo il pensiero classico, all'azione umana non è applicabile un metodo scientifico esatto e rigoroso come quello applicato al mondo naturale, dato che l'agire umano è soggetto a differenze e fluttuazioni (Aristotile eth. nic., 1094 B) che rende impossibile una reale akribeia nel suo studio, contrariamente a quanto affermato poi da Descartes e Hobbes, in quanto le azioni umane sono conseguenza di decisioni libere: le azioni degli uomini non si lasciano misurare con la rigida squadra dell'intelletto.
Se la filosofia del diritto è parte della filosofia morale secondo l'impostazione classica, la scienza giuridica è un sapere pratico, è opera della ragione pratica perfezionata dalla prudenza. Non è un caso che storicamente la scienza giuridica è stata definita come giurisprudenza, l'ars iuris. Se si accetta la distinzione classica fra oggetto materiale o realtà conosciuta e oggetto formale o aspetto secondo il quale l'oggetto materiale è conosciuto, è agevole concludere, per quel che si è detto, che l'oggetto formale della scienza giuridica è il giusto, cioè la prospettiva della giustizia in ordine alle relazioni sociali (oggetto materiale della scienza giuridica).
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Si tratta di un manuale di filosofia del diritto di buon orientamento aperto alla considerazione dei valori. Si suddivide in tre parti: la filosofia del diritto; i momenti essenziali della coscienza giuridica occidentale; riflessioni sul diritto come valore: il diritto nell' esperienza pratica; la processualità del diritto; la giustizia.
L' A. si ispira alla filosofia dell'esperienza giuridica inaugurata da G. Capograssi del quale è stato uno dei primi allievi.
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